La guerra delle parole
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La guerra delle parole

Il grande viaggio della comunicazione

  1. 208 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La guerra delle parole

Il grande viaggio della comunicazione

Informazioni su questo libro

Dalle rappresentazioni mitiche degli antichi greci alle battaglie retoriche dei romani, dal lungo silenzio medioevale alla nascita della stampa, dalle rivoluzioni liberali alla supremazia di Internet, la comunicazione è il tratto distintivo di un'evoluzione che ci ha condotti fin qui, forgiando le nostre società e il nostro modo di vivere. La guerra delle parole è il racconto, che attraversa la storia e la cultura, della più antica e straordinaria abilità umana. Un viaggio inedito tra le parole e le immagini che hanno reso possibile la costruzione di un mondo comune di valori e di visioni, oggi in piena trasformazione.

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Informazioni

1.
In principio era un dio.
I greci tra mito e storia

L’origine della comunicazione umana si perde nella notte dei tempi. Le sue forme più remote non ci hanno lasciato testimonianze apprezzabili, anche se sappiamo che l’uomo ancestrale era un attivo comunicatore ben prima che i nostri predecessori si riunissero in luoghi che chiamiamo, da allora, città, e creassero sofisticati alfabeti e complessi sistemi di comunicazione. Era l’alba dell’umanità, quando cominciò la rivoluzione cognitiva ed emerse il linguaggio insieme alla capacità di creare finzioni1. Le cronache dei primi esseri umani, le più arcaiche forme di storytelling, per dirla con uno straripante neologismo, sono incise sulle pareti di rocce esposte alla vista e ci hanno tramandato resoconti di caccia, di vita quotidiana, di divinità e di forze della natura in azione.
Segni, pittogrammi, graffiti impressi nella pietra che sono a tutti gli effetti messaggi e insegnamenti destinati agli uomini e agli dèi, prime testimonianze di una specie che si era separata da tempo dai suoi antenati scimmie, grazie proprio all’abilità innata, ed esclusiva, di rappresentare il mondo e di condividerne i significati con i propri simili. Forme antichissime di scrittura, unite alla capacità di verbalizzare che, come ha scritto Desmond Morris nella sua opera più famosa, si sono “sviluppate come i nostri principali mezzi per trasmettere e ricordare le informazioni, ma sono state anche utilizzate come mezzi di esplorazione estetica su vasta scala”2.
Era una civiltà fatta più di immagini che di parole, che infatti non ci sono rimaste. O di stupendi segni e disegni, lettere sacre: è questa l’etimologia greca del termine ‘geroglifico’, un sistema di scrittura che gli studiosi hanno imparato a decifrare cinquemila anni dopo la sua invenzione, grazie – come è noto – al casuale ritrovamento di una stele.
Sono loro, gli antichi egizi, a dare vita tra i primi a una produzione letteraria che conosciamo attraverso i resti monumentali della loro cultura e i miti fondativi di una religione millenaria, che si è poi in parte trasfusa nella creatività dei greci, loro dirimpettai nel Mediterraneo, il grande mare dei miti e dei racconti3.
Accanto a loro, nel primordiale caleidoscopio della storia dell’uomo, le civiltà tra il Tigri e l’Eufrate, con le eleganti incisioni a forma di cuneo di codici e prescrizioni, le vicende, avvolte nell’oscurità, di antichissimi regni. I primi racconti, risalenti al IV millennio a.C., risparmiati alla distruzione perché scolpiti su lapidi o intagliati nell’argilla e nel legno, di un’umanità in espansione.
Tutti, allora, comunicavano con tutti, anche se noi stentiamo a crederlo, e commerciavano tra loro, mischiando le loro lingue a quelle veloci e pragmatiche di genti avvezze alla navigazione e al commercio, come i fenici, inventori dei nostri alfabeti, e conoscevano i nomi, e anche qualcuna delle vicissitudini, delle antiche moltitudini che abitavano quel quadrante della terra.
Vicende che hanno permeato la vita delle più antiche civiltà, nel pieno di scambi culturali “che potrebbero forse spiegare le analogie tra la Saga di Gilgamesh e la successiva Iliade di Omero o tra il Mito di Kumarbi degli ittiti e la successiva Teogonia di Esiodo”4. Storie degli albori, dalla straordinaria potenza narrativa.
La confusione biblica di Babele era, forse, la metafora di un mondo che brulicava di linguaggi, di traffici, di conflitti e dove la comunicazione consentiva di isolare e conservare notizie di fatti rilevanti, ‘storici’, che sono arrivati sino a noi. Come quelli, osservati dalle coste egizie o da quelle turche, relativi al collasso della civiltà minoica, all’impatto devastante dei misteriosi popoli del mare, al cataclisma che seppellì mezza Santorini e generò, probabilmente, il mito di Atlantide.
O, ancora, le prime, confuse notizie riguardanti le operazioni belliche di una nuova aggressiva potenza regionale, composta da una genia di combattenti che avrebbe reso celebre quel mondo: gli achei, “Ahhiyawa” per gli ittiti, come testimonia il ritrovamento di una lettera, inviata a un re acheo da un re ittita che protesta per un atto di pirateria. Achei, “Tanaju”, forse, per gli egizi5, che li vedevano oltre i loro confini già impegnati nella contesa con Troia.
Dopo la lunga permanenza nello stato di soggezione alle forze della natura e a divinità imperscrutabili, gli uomini antichi, ormai associati nella vita di città e nazioni e partecipi di valori e credenze comuni, avevano cominciato a dialogare tra loro e con le potenze del cielo e della terra, a dare loro nomi e identità. A farle parlare e agire nello scenario di un mondo fantastico e minaccioso.
Ma è ai greci, soprattutto a loro, con la loro ‘nuova’ lingua che affiora dal mar Egeo alla fine del III millennio a.C., che dobbiamo la produzione del più ricco repertorio di temi e motivi, così profondo e vario, così potente e coinvolgente che ogni volta che ci cimentiamo nella costruzione di qualcosa di autenticamente nuovo nel campo del mito, della poesia, dell’arte come in quello del discorso pubblico ci accorgiamo della loro incombente presenza.
Ci sono state altre importanti civiltà prima di quella greca, ciascuna con grandiose ed eloquenti testimonianze delle propria cultura, che suscitano ancora ammirazione e curiosità. Ma nessuna ci ha lasciato un patrimonio paragonabile, per dimensioni e profondità, a quello della Grecia antica. Un patrimonio che, grazie alle opere e agli scritti di quel popolo e delle sue élites, possiamo rileggere e studiare ancora. L’onda greca, per dirla con Toynbee6, che prima ha sedotto e contagiato Roma, non si è più fermata e imbeve, in modi spesso inconsapevoli, tutta la civiltà dei moderni.
Sullo sfondo della nostra storia si staglia la grandezza di un’esperienza intellettuale che non abbiamo ancora finito di esplorare e che proprio nella comunicazione, nel racconto, nell’oratoria ha saputo trovare la sua espressione più riuscita e più potente. Un’eredità, ancora viva, che ci ha reso quello che siamo: l’Occidente, luogo di scontri sanguinosi, di invenzioni spettacolari, di lunghe guerre fratricide e di tragedie senza pari. Terra idealizzata di libertà, approdo di popoli senza speranza, bengodi immaginario di tutti coloro che non ne fanno parte.
L’Occidente che, oggi, sembra volersi ritirare da sé stesso, che non è più davvero amato da chi ne fa parte e che forse ha perso la voglia di raccontarsi, quell’Occidente è nato lì. “We are all Greeks”, scriverà nel 1821 il poeta inglese Percy Shelley, per il quale “le nostre leggi, la nostra religione, le nostre arti hanno le loro radici in Grecia. Se non fosse stato per la Grecia saremmo ancora selvaggi o idolatri”7. Una romantica dichiarazione di identità che ancora ci condiziona.
Ma come si comunicava in un mondo come quello che ha partorito Gaia, Urano, Crono, gli dèi olimpici, lo splendente Apollo, la bellissima Afrodite, lo straniante Dioniso, la forza immensa di Eracle, i viaggi e gli amori di Teseo, le avventure degli Argonauti, prima che la Storia con la S maiuscola vi facesse definitivamente irruzione?
Comunicavano gli uomini, ovviamente, con le loro parole. Le stesse che gli aedi e i poeti mettevano in bocca a un dio, a una dea, al daimon di un luogo, al protettore di una città, alla presenza invisibile nella battaglia decisiva, alla potenza imbattibile di Zeus travestito da fulmine o tuono, al portavoce di disposizioni e messaggi divini.
Le divinità greche, infatti, erano piuttosto loquaci. Lo stile assertivo dominava la dialettica ultraterrena. Nel mettere in scena una delle prime assemblee della storia dell’umanità, Omero immagina che Zeus in persona la convochi, con modalità alquanto brusche. Siamo nell’VIII libro dell’Iliade e l’adunanza divina viene chiamata dal padre degli dèi per una dichiarazione perentoria: “Uditemi, dèi e dee […] se vedrò uno di voi che, all’insaputa degli altri, cerca di aiutare Danai o Teucri, colpito dal fulmine, se ne tornerà in Olimpo in malo modo; oppure lo scaglierò nel Tartaro tenebroso”8.
Nessuna interferenza, dunque, nello scontro tra ­troiani e achei, pena la severissima reazione dello stesso Zeus. L’intemerata del figlio di Crono, come sappiamo, non sarà a lungo rispettata, ma il messaggio non lascia spazio a dubbi.
La modalità della comunicazione è arcaica. C’è un monarca assoluto che parla e impone senza mezzi termini il suo volere. Nasce, da quell’incontro, un breve dibattito che parte però dall’indiscutibilità della prescrizione. C’è quindi un contrasto evidente tra il modo, l’assemblea, che ricorre con frequenza in Omero, e il metodo decisionale, piuttosto autoritario.
Contrasto che si legge anche nell’interpretazione che i greci ‘moderni’, alle prese con la gestione del potere in piena epoca classica, daranno del potere olimpico. Mentre Omero ci racconta, di fatto, di un editto imperiale imposto rabbiosamente, le mani sapienti di Fidia, lo scultore insuperato del Partenone, ritrarranno, in un fregio del tempio greco più famoso, uno Zeus benevolo, seduto in mezzo ad altre divinità, che assiste, distratto dalle loro conversazioni, alla cerimonia del peplo. Il padre degli dèi si mostra qui riflessivo, in ascolto, come un patriarca o un moderno leader. C’è armonia, in cielo, tra gli dèi raccolti in assemblea. L’opera del grande Fidia vuole comunicare a chi la guarda, cioè i cittadini della polis per antonomasia, Atene, nel pieno dell’epopea di Pericle, che la consuetudine di riunirsi ha origini divine, è un patrimonio originario della civiltà greca ed è l’unico antidoto alla stasis, il conflitto civile, la condizione in assoluto più...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. L’arte di comunicare
  2. 1. In principio era un dio. I greci tra mito e storia
  3. 2. Tutti insieme sulla collina.La lezione di Atene
  4. 3. La guerra delle parole nell’impero più grande. Maestri di retorica e poeti per la gloria di Roma
  5. 4. L’eclisse del discorso, tra superstizione e dottrina. I secoli di mezzo
  6. 5. Si torna agli antichi (ma nascono le news). La rivoluzione della stampa
  7. 6. Romantiche battaglie tra Restaurazione e libertà. Il discorso pubblico in Italia
  8. 7. Conflitti globali, totalitarismi, innovazioni. La comunicazione nel secolo degli eccessi
  9. 8. Epica e impresa. Il nuovo racconto dell’economia
  10. 9. Tra declino e nuove identità. La grande trasformazione dei media
  11. Conclusioni. La nuova (incerta) età della comunicazione