Kronaka
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Viaggio nel cuore oscuro del Nord

  1. 176 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Viaggio nel cuore oscuro del Nord

Informazioni su questo libro

Una inchiesta giornalistica rigorosa, una scrittura narrativa serrata, otto storie di cronaca nera che lasciano increduli.«Le statistiche raccontano che il Nord Italia è la zona più ricca d'Europa. Ma sono anche altri i primati. Nella classifica della crescita dei delitti, tante province settentrionali occupano i primi posti. Il 45 per cento delle violenze in famiglia avviene proprio qui, dietro le finestre illuminate del Nord Italia.Bisogna tornare a conoscerla questa parte di paese. Non solo attraverso i primati delle fabbriche, dell'urbanizzazione e delle dichiarazioni dei redditi. C'è altro, molto altro, lungo le strade che percorrono la pianura e le zone pedemontane da ovest a est. I fiumi, che innervano il Nord, trasportano vicende a volte dimenticate.C'è un viaggio da fare, attraverso la ricca Lombardia e nel Veneto del miracolo. Un viaggio che inizia in un paese di nemmeno 10mila abitanti in provincia di Pavia, sulle sponde del Ticino»: si parte da Garlasco e si arriva a Gorgo (Treviso), passando per Somma Lombardo (Varese), Como, Chiavenna (Sondrio), Milano, Leno (Brescia) e Verona.Un giornalista decide di entrare nelle case di questo Nord, di chi uccide e di chi è stato ucciso, di scoprire le emozioni, i sentimenti, le passioni che stanno dietro i delitti più efferati, di indagare sui rituali più crudeli degli ultimi anni. Queste pagine sono il suo racconto.

Domande frequenti

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Informazioni

II. C’è un torrente che passa lento vicino a Garlasco...

C’è un torrente che passa lento vicino a Garlasco, il Terdoppio: è lungo poco più di ottanta chilometri, si lancia nella grande arteria del Po. Bisogna costeggiarlo controcorrente, andando verso nord, per iniziare a scorgere le nebbie fredde del Parco del Ticino e prima ancora le scie degli aerei che decollano e atterrano dall’aeroporto di Malpensa. È incessante il rombo, lo era anche di più qualche anno fa. Un tempo qui c’era solo un piccolo podere dominato da una cascina, la cascina Malpensa, si chiamava così perché il terreno attorno era arido e ghiaioso. I fratelli Caproni nel 1909 fecero di questa brughiera il “loro posto” per far volare gli aerei, e oggi c’è un aeroporto dove transitano milioni di persone all’anno. Doveva essere il più importante d’Italia, lo era diventato, altro che Roma Fiumicino: qui arriva il mondo, da qui si parte per cambiare l’Italia, pensava la gente. Poi qualcuno la Malpensa se l’è giocata in politica, perché questo è la politica, dare qualcosa per ottenere altro, l’hanno imparato bene da queste parti. Così il record dei 24 milioni di passeggeri raggiunto nel 2007 è rimasto lì, incontrastato, perché poi l’aeroporto è stato in qualche modo depotenziato e ci sono dei giorni che i suoi spazi enormi sembrano quasi deserti. Si parlava di una terza pista da costruire entro il 2015, ma quella storia ormai è finita.
Poco lontano da Malpensa il Ticino scende verso il Po. In tante mattine dell’anno la nebbia che sale dal fiume crea un muro che, visto dalle strade che costeggiano i boschi, sembra solido e spesso. Oltre quel muro ci sono i pioppeti, c’è la brughiera. E ci sono i fantasmi.

Somma Lombardo (Varese)

Se guardi in alto quand’è notte, attraverso il buio e i rami fitti nei boschi intorno a Somma Lombardo, si scorgono le luci intermittenti che si alzano dall’aeroporto della Malpensa a una manciata di chilometri da qui. Si sente il rombo dei motori, i più esperti sanno dirti se l’aereo arriva o va via, se vola a est o a ovest. Chissà quante volte hanno guardato quelle luci, sognando di viaggiare lontano, i ragazzi che sono morti, che invece di volare in alto sono finiti coperti dalla terra dura dei boschi. Chissà quanto e cosa sognavano i loro amici, che oggi sono in galera e quelle luci intermittenti magari le vedono ancora dalle inferriate delle celle.
D’estate la brughiera di Somma Lombardo stringe di verde la strada che porta verso l’autostrada, e poi a Varese e a Milano, dove la gente va a lavorare. D’inverno il bosco diventa un deserto duro coperto di brina e ghiaccio, la nebbia si alza potente dal Ticino. Dicono che questa sia sempre stata la “fabbrica della nebbia”. L’umidità ti entra fin dentro il cuore.
Sono in tanti a Somma Lombardo ad avere soggezione della brughiera. È buia d’estate, figuriamoci d’inverno, in alcuni punti il bosco è ancora selvaggio ma lungo i sentieri si trovano le brandine divelte e le poltrone sfondate dove si siedono le prostitute. Quando ci si addentra, lungo i sentieri, c’è solo il silenzio. Qui sono passati in tanti, i Celti e i Romani che camminavano lenti verso le Gallie, e poi i Longobardi. Federico Barbarossa si fermò qui dopo le bastonate prese a Legnano e nelle scuole dell’alto Milanese si studia ancor bene il Parlamento di Carducci: «“Milanesi, fratelli, popol mio! / Vi sovvien” dice Alberto da Giussano...». Da questi boschi passarono anche i nazisti, presidiavano una zona strategica, ricca di fabbriche. Quella di Somma Lombardo è anche una storia di lavoro duro, di boom economico, di emigrazione. Nei quartieri di Somma sono arrivate le ondate dal Sud tanto che i vecchi rioni, come il Lazzaretto che ricordava la peste, hanno iniziato a chiamarli con nomi diversi, come Piccola Locri. Dagli anni cinquanta i centri abitati sono cresciuti parecchio diventando quasi un unico enorme agglomerato.
E poi c’è Malpensa, il grande aeroporto, l’orgoglio della zona. Questo è stato l’ombelico del mondo, ci sono passati e ci passano in milioni, lingue e storie diverse: una grande fonte di energia che sembrava destinata a crescere per sempre. Poi ci si è messa la politica, e la politica è contratto e mediazione: io ti do una cosa tu me ne dai un’altra. È così che il grande aeroporto internazionale della Malpensa si è fermato. Ridimensionamento è stata la parola d’ordine. Da queste parti non l’hanno presa bene, ma è la politica, che ci vuoi fare? È «Roma ladrona», dice qualcuno.
Però la Malpensa ha mantenuto un primato, è un brutto record, difficile da abbattere. È qui che arriva la droga, è qui che soprattutto dall’Oriente sbarcano quelli che si chiamano “ovulatori”: disperati che ingoiano ovuli e ovuli di cocaina per poi espellerli e consegnarli. Te li immagini trafficanti di professione, figure da film. Non è così: sono insospettabili signore dell’Est, modelle magrissime, invisibili uomini in grigio. Ogni tanto un ovulo si rompe nello stomaco e allora addio, tra dolori indicibili. Per questo ora a Malpensa hanno creato una struttura che si chiama Area S1, è una via di mezzo tra una clinica e una galera. Funziona ventiquattr’ore su ventiquattro, tutti i giorni: la polizia accompagna qui i sospetti ovulatori perché vengano sottoposti a raggi X. Se si scopre che il corriere ha effettivamente ingoiato gli ovuli, lo portano in uno strano WC con cinque pulsanti per la pulitura e la sterilizzazione che da solo è costato 20.000 euro. Poi c’è la cella: il corriere rimane lì finché non ha espulso tutto e ci possono volere anche parecchi giorni. Alcuni però ancora ce la fanno a passare e la cocaina da Malpensa viaggia verso tutta la Lombardia e il Nord, converge su Milano per poi irradiarsi in ogni parte d’Italia. Non poca rimane da queste parti, sono finiti i tempi in cui la provincia era al sicuro, ben al riparo. È da decenni ormai che non c’è più bisogno di andare in città per trovare fumo ed eroina, cocaina e sostanze chimiche. Al grande supermarket della provincia del Nord si trova di tutto e di più. Ne sa qualcosa la polizia: nei controlli fuori dai locali, il venerdì e il sabato notte, salta fuori di tutto. Le statistiche dicono che è soprattutto in provincia che i ragazzini provano qualsiasi sostanza sempre più presto, sempre più piccoli. E poi c’è l’alcol, miscugli micidiali che bruciano il cervello: sotto a chi tocca.
Nelle notti che scandiscono i fine settimana, i piccoli spacciatori si muovono lungo le strade che costeggiano la brughiera di Somma Lombardo. Le prostitute africane e dell’Est Europa sembrano sentinelle di un altro mondo, un mondo a parte che vive al buio e si nasconde appena arriva la luce, quando la gente esce di casa e va a lavorare, verso Milano, verso la Malpensa.
Era un venerdì notte, il 23 gennaio 2004, quando Mariangela Pezzotta uscì di casa dopo aver ricevuto una telefonata di Andrea Volpe, il suo ex fidanzato. Faceva freddo davvero, la nebbia e il buio si mischiavano nascondendo i colori e attutendo i rumori. Mariangela abitava a Somma Lombardo in un complesso di case nuove, insieme alla mamma Annamaria, alla sorella Marina, al papà Silvio. Il Silvio, come si dice da queste parti con l’articolo sempre a precedere il nome, lo conoscono tutti. Alto, imponente, fa politica, nel 2004 era appassionato consigliere comunale di Forza Italia, oggi lo è del Popolo della Libertà. Ha un altro amore, la bicicletta: è presidente di un team di ciclismo, ci si dedica ogni fine settimana. La mattina esce presto di casa, va a lavorare alla Malpensa.
Anche Mariangela lavora duro, ha solo ventisette anni ma si dà da fare: ha lavorato in un negozio d’argenteria a Castellanza, poi a Il Gigante, l’ipermercato dove anche i carrelli della spesa sono enormi. Con un amico ha aperto un negozio di scarpe a Sesto Calende. È stato il papà ad aiutarla, con un prestito sulla parola. A Mariangela la droga, le sostanze, non sono mai interessate. Ha altri progetti, quel mondo non l’attrae, lo considera anche un po’ da sfigati. Però ha un problema Mariangela, un tormento. È l’ex fidanzato, Andrea Volpe, uno a cui lei vuole veramente bene. Non stanno più insieme da tempo, si erano conosciuti da ragazzini, avevano tutti e due sedici anni. In camera Mariangela ha le foto delle loro gite in montagna. Sono passati undici anni da quella cotta tra sedicenni, Mariangela e Andrea sono coetanei, adesso hanno ventisette anni. Tante cose sono successe da allora, Andrea era partito militare, Mariangela gli spediva schede telefoniche: «Chiamami». Gli aveva anche mandato un’immaginetta della Madonna. Andrea però era tornato diverso, aveva iniziato a farsi crescere capelli e barba, ora è magro e scavato. Lui sì che con le sostanze ci convive. E con l’alcol. L’ex ragazzino “si cala di tutto”, si fa di ecstasy e di acidi, qualsiasi cosa pur di andare fuori. Tanto la roba è facile da trovare. Lungo il bosco tutti i ragazzi sanno dove si può andare a comprare, soprattutto verso il Nautilus, la grande discoteca di Cardano al Campo che è un’istituzione, venerdì e sabato sera arrivano macchine da tutta la provincia e quando vanno via, la mattina all’alba, è un terno al lotto perché corrono veloci nella nebbia e in tanti ci hanno lasciato la pelle. L’8 dicembre del 2000, all’alba, un pizzaiolo di Ferno, un paese vicino, ammazzò a colpi di pistola due buttafuori che avevano picchiato il figlio. Il Nautilus divenne famoso in tutta Italia.
Anche Mariangela ci andava a ballare, come tutti. Ci ha passato tante serate con Andrea, prima che lui cambiasse. Prima che iniziasse a farsi chiamare Isidon, il dottore delle droghe, e che i suoi amici, quei ragazzetti con cui Mariangela tante volte aveva bevuto una birra, iniziassero a chiamarsi tra loro Evol, Daemon, Lioz, Putiferio, Caos. Ascoltavano musica insopportabile, roba da fanatici: il rock satanico, cose inascoltabili, pensava Mariangela. E si facevano, si facevano ogni sera. Però Andrea è da salvare, Mariangela non lo può mollare così. Annota puntigliosa su un diario scolastico azzurro di Lupo Alberto ogni discussione, ogni litigata. Scrive con rabbia: «Ti odio, ormai ne sono sicura. Sì, vai dai tuoi amici, fottutissimi pezzi di merda». E con dolcezza: «Sono contenta di aver fatto pace, mi mancava tanto». Ogni volta che lui chiama lei c’è, presta soldi, lo sta a sentire, lo aiuta. Quando Andrea Volpe ha bisogno, lei corre. Un’ultima volta, mormora sempre tra sé.
Erano le undici di notte quando Mariangela ricevette l’ultima telefonata: la sua condanna a morte. Andrea Volpe disse: «Vieni, mi devi restituire quel dvd e poi ti voglio parlare, sono allo chalet». Mariangela sa dov’è lo chalet di Golasecca, Andrea vive lì con la sua nuova fidanzata, Elisabetta Ballarin: ha solo diciotto anni, nove meno di Andrea, ha smesso di andare a scuola. È bella, con i capelli scuri lunghi, gli occhi così azzurri che a volte fanno paura. Voleva essere libera, andarsene via, l’ha detto a sua mamma Cristina: «C’è questo ragazzo, Andrea, non te lo faccio conoscere perché tanto non ti piacerebbe». Elisabetta è andata a lavorare al duty free di Malpensa, a volte forse ha anche incrociato il papà di Mariangela, senza sapere chi è, senza capire quale destino finirà per unirli. Lo chalet è del papà di Elisabetta, Alberto Ballarin, giornalista alla «Gazzetta dello Sport», che tante volte ricorda alla figlia di quando Gianni Brera la teneva sulle ginocchia, da piccola. Poi è andato a lavorare alla «Padania»: Ballarin è un giornalista che sa tutto della Lega, l’ha seguita fin dall’inizio. Bossi è di Cassano Magnago, a soli venti chilometri da Somma Lombardo. L’Umberto ha iniziato a far politica nei paesi lungo le strade che spezzano i boschi, tutti si ricordano di quei primi comizi e di quando venne eletto al Senato nel 1987, è da allora che lo chiamano il Senatur. Era il solo della Lega in Parlamento, con le sue orribili giacchette strette e con le maniche corte, nessuno lo prendeva sul serio lì a Roma. Qui sì, in questi posti, a Somma Lombardo, Castano Primo, Cardano, Alzago, Busto Arsizio, Gallarate, Albizzate. Dicono che i paesi che finiscono “in ate” siano celtici, che è un’eredità della loro lingua. Chissà, però il Bossi qui l’hanno preso sempre sul serio e poi hanno imparato anche a Roma.
La notte del 24 gennaio 2004 Mariangela Pezzotta percorse veloce i quattro chilometri da casa sua a Golasecca. La strada la conosceva a memoria e chi è nato lungo queste strade non ha paura della nebbia. Lo chalet è isolato, alla fine di una stradina. Qui è pieno di reperti archeologici, c’erano le legioni romane un tempo, e i Cimbri. Hanno trovato una necropoli, ci sono i cromlech, come a Stonehenge, sulla sponda del fiume. Le leggende raccontano che in questi boschi infiniti che stringono il Ticino ci venissero le streghe a compiere i loro riti e che poi qui si nascondessero per sfuggire ai roghi. Ora gli unici fuochi che si vedono sono quelli delle ragazze dell’Est, piccole prostitute in balia del freddo e dei magnaccia.
Quella notte la Fiat Uno grigio metallizzato di Mariangela Pezzotta venne inghiottita dal buio.
La mattina dopo c’è ancora più nebbia della sera precedente: sono le otto quando il custode di una stamperia di Golasecca vede una Fiat Uno grigio metallizzato incastrata su un ponte del canale Villoresi. L’auto è ammaccata, piena di botte e poi, pensa l’uomo, sa il Signore come hanno fatto a incastrarla così. Un ragazzo, felpa blu con il cappuccio calato sulla testa, jeans e scarpe da trekking verdi, urla, piange e sputa. Quando arrivano i carabinieri racconta una storia strana: «Ero con la mia ragazza, ci hanno aggrediti in venti, in trenta. Mi chiamo Volpe. Volpe Andrea, vivo a Somma Lombardo». È strafatto di eroina e cocaina, ha ingoiato anche quattro Tavor, sta in piedi a malapena. Poco lontano c’è Elisabetta Ballarin, è riversa sul volante di una Honda Accord. Guarda i carabinieri e non dice nulla, rovescia la testa all’indietro. Racconterà poi: «In quei mesi vivevo nel buio, ci facevamo di tutto, in continuazione. Ero viva. Ma non lo ero».
A pochi chilometri da Golasecca, Silvio Pezzotta è già al lavoro nel suo ufficio a Malpensa, suona il cellulare, è la moglie: «Guarda che la Mariangela non è tornata a casa stanotte». Silvio sale in auto, punta verso casa. I carabinieri intanto hanno controllato i documenti della Fiat Uno: è intestata ad Annamaria Pe, la mamma di Mariangela. È il maresciallo dei carabinieri di Somma Lombardo a telefonare a Pezzotta: «Silvio, ti dice niente il nome Andrea Volpe?». In quel momento il papà di Mariangela è fermo a un semaforo. Dirà dopo: «Ho lasciato il telefono e ho sentito un freddo che non avevo mai provato prima. Mi sono portato le mani alla faccia e ho detto, come se qualcuno potesse ascoltarmi: “Me l’ha ammazzata, Dio santo me l’ha ammazzata”».
Andrea Volpe ed Elisabetta Ballarin vengono portati in ospedale. I carabinieri chiedono: «Al volante di quella Fiat Uno ci doveva essere Mariangela Pezzotta. Dov’è lei?». Elisabetta risponde urlando: «Chi cazzo è Mariangela? Ne esistono milioni di Mariangela». Poi alla ragazza si avvicina la mamma di Andrea Volpe: «Che cosa è successo, Elisabetta? Che cosa avete combinato?». La risposta è secca: «È morta». Nella camera da letto dello chalet i carabinieri trovano una statuetta, Andrea Volpe la chiama il Militante, è una specie di totem. I carabinieri lo troveranno vicino a un cero nero che sta ancora bruciando dalla sera prima. Su un mobile accanto, una teca con dentro un serpente.
Mariangela è nella serra dello chalet, sepolta sotto un dito di terra, i carabinieri vedono prima le scarpe che spuntano. Basta rimuovere un po’ di fogliame e spunta il corpo, il volto è stato devastato, cancellato, un carabiniere si sente male, sviene. Le mani della ragazza sono ancora calde, l’hanno sepolta che era viva. Antonio Pizzi, procuratore capo della Repubblica a Busto Arsizio, mormora: «No, no. Chi ha fatto questo, chi l’ha ridotta così, non può scamparsela senza pagare».
Che cosa è successo in quel bosco? Andrea Volpe inventa storie, cambia versioni, dice che gli è partito un colpo dalla pistola che aveva in mano. Poi racconta. È stato lui a sparare a Mariangela con una pistola che era nello chalet: Smith&Wesson a tamburo calibro 38 a cinque colpi. L’ha centrata in faccia, ma Mariangela non è morta. Andrea ed Elisabetta chiamano un amico, Nicola Sapone. Colpiscono Mariangela al volto con una vanga, uno dei colpi è così forte che le solleva la calotta cranica. Picchiano presi da una furia selvaggia, poi caricano la ragazza su una carriola e la portano nella serra, i carabinieri troveranno anche un coltello e una sega. Sapone se ne va, dirà poi: «Mentre voltavo le spalle ad Andrea per lasciare lo chalet pensavo che avrebbe ucciso anche me».
Perché è successo? Forse era tutto preordinato, forse no. Forse Andrea ed Elisabetta erano solo fatti, forse l’assassinio di Mariangela era per loro l’ennesimo passaggio di una discesa agli inferi.
La notizia viaggia veloce a Somma Lombardo, è inverno, la gente compra la «Prealpina», alza il bavero e va via. Nel caldo di McDonald’s i ragazzini si raccontano i particolari e lo stesso fanno i genitori nell’ipermercato di fronte, Il Gigante, e alla chiesa evangelica che è vicina al centro abbronzatura e al bar Barlafuss. Quella sera di gennaio si ritroveranno a casa, genitori e figli, ben chiusi dentro, la nebbia gelida lasciata fuori. Si racconteranno quella giornata. Padri e madri davanti alla televisione saranno sicuri di aver chiuso fuori a tripla mandata il male, ma se guardassero bene nella cameretta accanto scoprirebbero che il male è lì, bastava dare un’occhiata più attenta.
E mentre i giornali parlano di droga, forse di soldi, e della vita balorda di Andrea Volpe e di Elisabetta Ballarin, dai boschi il vento gelido pr...

Indice dei contenuti

  1. — Cartina
  2. Prologo
  3. I. Tanti anni fa nelle immense distese d’acqua...
  4. II. C’è un torrente che passa lento vicino a Garlasco...
  5. III. Dal Ticino vicino a Somma Lombardo...
  6. IV. Da Como partono i battelli che tagliano tutto il lago...
  7. V. Chiavenna è attraversata da un fiume, il Mera...
  8. VI. Da Milano a Brescia ci sono poco più di cento chilometri...
  9. VII. Sul lago di Garda arrivano ogni anno...
  10. VIII. Potrebbe continuare a lungo questo viaggio...