
- 144 pagine
- Italian
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Il viaggio di Aristea
Informazioni su questo libro
«È singolare vedere che il capo di una religione volta ad annientare i libri possiede una biblioteca», scriveva Stendhal dopo una visita in Vaticano. Estremizzava. La biblioteca da lui visitata era il Salone Sistino. Affrescato sotto Sisto V, esso schematizza con tratti da realismo socialista ciò che è bene e ciò che è male nel mondo dei libri.Questo studio si propone di ricostruire la nascita di una riflessione sulla storia delle biblioteche: dall'antichità al ciclo pittorico di Sisto V, che è insieme trionfo del libro e legittimazione della censura.
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Informazioni
III. La tradizione greca
Non appare esatta la formulazione di Oswyn Murray1 secondo cui, tranne Zonara2, non vi sarebbero in epoca bizantina altri riferimenti alla Lettera di Aristea. Questa veduta è, a rigore, già smentita dalla raccolta di testimonia posta dal Wendland in appendice alla sua edizione3. Basti ricordare pseudo-Atanasio, Giorgio Sincello, Giorgio Monaco, Giorgio Cedreno, Niceta di Eraclea, la Synopsis Chroniké edita dal Sathas nella Mesaionikè Bibliothéke4. In alcuni casi – proprio in quello di Zonara – Wendland è fin troppo riduttivo: la ripresa da Aristea è infatti molto più ampia di quanto egli indichi ed occupa le colonne da 360 a 364 del vol. 134 della PG. Zonara riprende la vicenda della traduzione del Pentateuco con ampiezza e con inserti letterali: ha in mente l’analogo modo di procedere adottato da Giuseppe Flavio al principio del XII libro delle Antichità giudaiche.
C’è poi da osservare che la Lettera di Aristea circola, in epoca bizantina, in testi diffusissimi: innanzi tutto come premessa alla Catena di commenti all’Ottateuco messa insieme da Procopio di Gaza5, catena diffusissima, come sappiamo da Fozio, Biblioteca 206; inoltre nelle Antichità di Giuseppe (XII, 11-119), nella Praeparatio Evangelica di Eusebio (VIII, 2,1 - 5,11), nonché in un’«opera di consultazione» quale il De mensuris et ponderibus di Epifanio (PG 43, 249-256) da cui è stato estratto ad un certo punto il racconto «de LXX interpretibus» ed ha circolato autonomamente in manoscritti già di X secolo6. Tutto questo significa che, sia nella sua forma integrale sia in riassunti o epitomi, la Lettera di Aristea è uno dei testi più diffusi e più noti alla cristianità di lingua greca. Giorgio Sincello vi fa riferimento con il titolo τὰ Πτολεμαικά7.
Una delle forme in cui la Lettera circola è il cosiddetto «opuscolo delle sette traduzioni»8, noto in varie redazioni: pseudo-Atanasio, Synopsis Scripturae Sanctae; pseudo-Teodoreto, Hypomnestica; Pseudo-Theodoreti tractatus ineditus9. A queste redazioni dell’opuscolo, note al Wendland, bisogna aggiungere quella tramandata nel Laur. plut. 6, 3, f 3v, che figura di seguito all’estratto da Epifanio intitolato Sui settanta interpreti10 (ff 1-3r). L’anonimo testo è intitolato Le versioni della Sacra Scrittura dall’ebraico in greco11: in modo piuttosto approssimativo il Bandini, nel suo Catalogo dei Laurenziani greci (I, p. 87), lo definisce «desunto dalla Synopsis di Atanasio», ma subito soggiunge: «Discrepant autem multis in locis, ac praecipue in fine». Il testimonio è particolarmente rilevante: è un esemplare di X/XI secolo, dunque un autorevole testimonio sia per l’estratto da Epifanio sia per questa ulteriore versione dell’opuscolo delle sette traduzioni.
Una ripresa dell’opuscolo, anch’essa trascurata dal Wendland, è nella Quaestio 154 degli Amphilochia di Fozio12. Westerink presenta il capitolo foziano (Quante versioni ci sono state della Scrittura?13) come desunto dalla Synopsis di pseudo-Atanasio. Ma non si tratta di una pura e semplice ripresa: il capitolo foziano presenta varianti sia rispetto allo pseudo-Atanasio che rispetto alle due stesure dello pseudo-Teodoreto. Una divergenza significativa riguarda un dato di rilievo, e cioè la cronologia della realizzazione della versione dei LXXII in rapporto alla «incarnazione» di Cristo. Dato di rilievo, giacché una tale cronologia ribadisce di per sé il carattere ‘provvidenziale’ della traduzione in greco dell’Antico Testamento: allo stesso modo che la ‘provvidenziale’ traduzione identica ad opera dei 72 interpreti. Tutti elementi estranei ad Aristea, e miranti ad inglobare la vicenda narrata da Aristea nella «praeparatio» dell’avvento di Cristo; dunque altrettante tappe nella cristianizzazione della Lettera: un processo che va di pari passo con la assunzione della traduzione dei LXX nella canonicità stabilita dalla Chiesa cristiana, di contro alla freddezza (se non ostilità) della tradizione ebraica (o di una parte di essa) verso la traduzione dei LXX. Orbene proprio il dato relativo alla cronologia della versione in rapporto all’avvento di Cristo varia in queste diverse redazioni dell’opuscolo: probabilmente a causa della scarsa conoscenza della esatta cronologia dei Tolomei, e in particolare del Filadelfo. Così accade che nello pseudo-Atanasio gli anni sono 23014, nello pseudo-Teodoreto sono 33015, mentre nel Tractatus ineditus qual è stampato dal Wendland (p. 153, 12) gli anni sono 31. Invece in Fozio e nell’anonimo del Laur. plut. 6, 3 nonché nella anonima rielaborazione dello pseudo-Atanasio che figura ai ff. 608-609 del Paris. Gr. 128, sono 301: indicazione più vicina al vero delle altre, ma comunque inesatta perché il Filadelfo salì sul trono nel 285 (dunque 285 anni prima di Cristo) e nacque nel 309. Si può peraltro sospettare che l’unica cifra autentica – al di là delle deformazioni intervenute già quando queste compilazioni furono confezionate e poi nel corso della tradizione di ciascuna di esse – sia da considerarsi appunto quella data da Fozio e dai due anonimi: 301 (TA). Giacché il 30 di 230 o 330 può derivare dallo scambio tra A(=1) e Λ (=30); e altrettanto facile è lo scambio tra τριακοσίου e τριακοστοῦ che si legge nel Tractatus ineditus. Non va dimenticato peraltro che Fozio parla della traduzione greca dell’Antico Testamento fatta ad Alessandria anche al termine della Quaestio subito precedente (153): e qui – inopinatamente – pone quella traduzione «non più di cent’anni prima della venuta di Cristo»; un dato che si ritrova nella rielaborazione araba dell’opuscolo delle sette traduzioni presente nell’ambito della prefazione alla trad. araba dell’Antico Testamento. La riferiamo qui di seguito dal II vol. della Bibliotheca graeco-latina veterum patrum di André Galland [1766], p. 819:
C’erano presso gli Ebrei sei esemplari di versioni dei libri di cui si è detto: Origene li raccolse e li mise a confronto. La prima versione di quest’opera così disposta e vergata era quella dei Settantadue Sapienti Ebrei di Tiberiade, che furono fatti chiamare da Tolomeo, re d’Egitto, con il compito di volgere questi libri dall’ebraico in greco, naturalmente sulla base dell’esemplare vergato con lettere d’oro che a quel tempo a tale re i dottori ebrei della legge avevano inviato. Tolomeo dispose i settantadue sapienti in modo che ve ne fossero due per ogni cella: essi, come ho detto, tradussero questi libri e lo fecero in tal modo che, confrontate le versioni l’una con l’altra, se ne constatava l’assoluta coincidenza e somiglianza e l’assenza di qualsiasi discrepanza, in eccesso o in difetto, in relazione al senso: pertanto l’opera fu al sicuro da ...
Indice dei contenuti
- Introduzione
- I. La leggenda di Aristea
- II. Epifanio
- III. La tradizione greca
- IV. La tradizione araba
- V. Il «De Bibliothecis» di Petrarca
- VI. Niccolò V come Tolomeo II
- VII. La «Epistola de Bibliothecis» di Brassicanus
- VIII. Il «de bibliothecis» di Neander, luterano
- IX. Sisto V come Tolomeo II: il Salone Sistino
- Appendice. Il «Prologus» della «Bibbia di San Paolo»
- Elenco delle fonti
- Elenco dei manoscritti