Il nuovo dell'Italia è nel passato
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Il nuovo dell'Italia è nel passato

  1. 160 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il nuovo dell'Italia è nel passato

Informazioni su questo libro

Come si può progettare un futuro, anche il più audace e tecnologicamente spregiudicato, se non si è consapevoli del passato che ci ha preceduto ma che tuttavia perdura in noi? I beni culturali sono, con l'istruzione e la ricerca, non la ciliegina sulla torta, bensì la torta stessa dell'Italia futura.«Il nostro paesaggio sono gli avi, siamo noi, è il futuro dei nostri figli. Soltanto 83 generazioni ci separano dalla fondazione di Roma: sono queste generazioni le simboliche autrici delle nostre campagne e città. Non possiamo annientarle distruggendo in poco tempo millenni di fatiche e di ingegno».

Domande frequenti

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Informazioni

1. Una vocazione tardiva

D. Quando è arrivata la vocazione da archeologo, professor Carandini?
R. All’inizio dei miei studi universitari desideravo imitare un compagno del liceo e mi dedicai alla filologia classica. Volevo laurearmi con Ettore Paratore. Poi, per seguire una ragazza, assistetti a una lezione di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Rimasi folgorato da una diapositiva in bianco e nero che ritraeva il Kouros del Dipylon. Dimenticai la passione per la filologia e perfino la ragazza... Mi appassionai ai mosaici di Piazza Armerina, così africani, estranei a Roma; andai a fotografarli e a trovare i loro “parenti” in Tunisia. L’archeologia è stata una vocazione che si è rivelata nel tempo. Sostenni l’ultimo esame con Bianchi Bandinelli e capii che quella sarebbe stata la mia strada.
D. Che ruolo ha avuto Ranuccio Bianchi Bandinelli nella sua formazione?
R. Un ruolo chiave. Mi ha influenzato dal punto di vista culturale. Mi affascinava il gran signore dalla sapienza polimorfa. Aveva ogni sorta di talento, a partire dall’eleganza del tratto. Da giovane disegnava. Sua figlia Sandra mi ha regalato una sua sanguigna con Villa dei Quintili... Nel suo libro Dal diario di un borghese, raccontò che avrebbe potuto prendere varie strade: quella dell’attore, del diplomatico... La sua cultura sfaccettata era intrisa di germanesimo, sua madre era Margherita Ottilie von Korn. Era un italiano e un mitteleuropeo.
D. La personalità di Bianchi Bandinelli era complessa. Aveva un rapporto notoriamente conflittuale con le sue origini aristocratiche.
R. Visse con senso di colpa le origini «di classe»: proveniva da una famiglia di antica nobiltà senese, un palazzo in città, una villa in campagna e i campi. Nel dopoguerra, donò terre ai contadini. Non si trovava a suo agio nelle vesti di un aristocratico e neppure in quelle di un borghese. Se dovessi dare una definizione di Bianchi Bandinelli direi che è stato a un tempo un aristocratico scontento, un borghese scontento, un comunista italiano scontento e un grande intellettuale. A tredici anni era capace di leggere lo stile de La ronda di notte di Rembrandt.
D. Forse è in quel conflitto la chiave dell’adesione di Bianchi Bandinelli al Partito comunista italiano.
R. Penso di sì. Abbracciò la politica comunista in modo organico, come si fa con un credo; c’era il suo interesse giovanile per i mistici, il tolstoianesimo. Non condivise la decisione del Partito di espellere il gruppo del «Manifesto» ma alla fine, disciplinatamente, obbedì. Approvò l’invasione dell’Ungheria; respinse quella della Cecoslovacchia. Quei quattro aspetti – l’aristocratico, il borghese, il comunista e l’intellettuale – si sono intrecciati per concludersi nella più completa disillusione, il bilancio peggiore che un uomo possa fare alla fine: «Siamo delusi e disgustati», scrisse, come si sarebbe poi letto nella ultima edizione del suo Dal diario di un borghese. Teneva un teschio accanto al letto nella villa settecentesca di Geggiano.
D. Immagino che, sia pure dopo tanto tempo, lei ancora si interroghi sulle scelte di Bianchi Bandinelli...
R. Rivedendo quella vita con gli occhi del nuovo millennio, c’è da chiedersi come sia stato possibile che uno spirito così schietto e razionale possa essere caduto, con tanta e duratura convinzione, nel sogno del comunismo... Però bisogna capire paure e slanci di quel tempo, pieno di ardori (incomprensibili in questo gelo). La sua fede di comunista organico era l’aspetto che meno mi interessava. Resta intatto il suo fascino intellettuale, di uomo multiforme costretto nella camicia di Nesso. La sua signorilità – termine impronunciabile – svelava un modo di vivere in cui lo stile aveva una posizione centrale, e soprattutto lo stile nell’arte. Conobbe Thomas Mann, che in una lettera gli scrisse: «Lei è piaciuto... a mia moglie e a me. Tanto di cappello al comunismo... Ma lei non deve irritarsi quando l’elemento innegabilmente aristocratico della sua tenue è sentito come un contrasto eccitante e un tantino divertente alle sue convinzioni politiche». Il ritratto non gli piacque.
D. Bianchi Bandinelli accompagnò Hitler durante la sua visita a Roma e gli illustrò le meraviglie degli scavi. Un’altra contraddizione?
R. Sì, un’altra contraddizione. Propose una spiegazione che non reggeva: stava preparando un attentato contro il dittatore… Per via della madre e degli studi padroneggiava il tedesco e nel 1938 fu scelto come guida del Führer. Non rifiutò, per curiosità, credo. Una discesa agli inferi... L’episodio pesò per il resto della vita: esistono molte fotografie che lo ritraggono accanto a Hitler. Bisognava farsi perdonare.
D. La vita di questo studioso assomiglia a un film. Forse è anche per questo motivo che lei ne ha subito il fascino.
R. Un film sui primi due terzi del Novecento, una biografia unica che ha lasciato un archivio sterminato, ordinato da Marcello Barbanera e raccontato nel suo Ranuccio Bianchi Bandinelli: biografia ed epistolario di un grande archeologo, edito da Skira nel 2003. Bianchi Bandinelli, come ho detto, disegnava, alla Segantini. Si appassionò alla Storia d’Italia di Croce. Studiò in Germania e tornato in Italia fondò con Carlo Ludovico Ragghianti «La critica d’arte», dove l’arte antica veniva trattata come quella moderna. Ranuccio fu uno storico dell’arte antica, non un archeologo. A Geggiano, durante l’occupazione nazista, si nascosero intellettuali ebrei come Umberto Saba e Carlo Levi. Venne arrestato dopo l’uccisione di Gentile. Fu amico di Bernard Berenson, che era il suo contrario. Diresse poi l’Istituto Gramsci e divenne amico di Renato Guttuso – amava l’organicità non l’astrazione – e anche di Eduardo De Filippo. Riuscì a concepire e a terminare il monumentale progetto dell’Enciclopedia dell’Arte Antica. Potrei continuare, ma mi fermo. Intorno a lui si formò una «scuola» di giovani archeologi, che l’amavano a tal punto che passarono la vita a litigare stupidamente pur stimandosi. Come Filippo Coarelli e io.
D. Cos’altro le ha fatto intuire, da ragazzo, che la sua vita sarebbe stata legata all’archeologia?
R. Due sogni. Il primo lo feci al mio rientro dall’Inghilterra, dove ero stato in collegio nel 1946 a Kingston Hill. Mi trovavo nell’Underground e seguivo le indicazioni Way out. Ma queste, anziché verso l’alto e l’uscita, mi portavano sempre più giù, come nelle ricostruzioni grafiche dell’inferno dantesco. Al fondo dell’imbuto, una porticina; la apro e mi trovo in un piccolo cimitero inglese, ben tenuto, dove alcuni maggiordomi aprivano tombe di dame vittoriane e ne prelevavano i gioielli: lo scavo di una necropoli. Il messaggio, in seguito, si rivelò trasparente: la mia «via d’uscita» era rivolta non alla superficie, dove si svolge la vita pratica, ma alla terra profonda, alla ricerca di un passato perduto. La sindrome era legata a una carenza della figura paterna. Allora i padri si occupavano poco dei figli piccoli. Se un uomo faceva cose da donna veniva chiamato Giacu fumna, Giacomo femmina in piemontese. E poi mio padre, antifascista, spesso si nascondeva; poi ci furono l’impegno politico e infine quello diplomatico, gravosissimo: riguadagnare stima all’Italia. Secondo sogno. Cerco mio padre nell’Hotel Claridge’s di Londra, dove lui viveva prima del restauro dell’ambasciata. Lo vedo dall’alto, è in un giardino e sta mangiando con alcuni membri della casa reale inglese... Muovo gli occhi verso un’altra finestra e intravedo lo scavo del teatro romano di Londra. Un’altra «via d’uscita»! Oggi si evitano frustrazioni ai figli: troppe (His Majesty the child)! È la mancanza del padre all’origine della mia decisione di fare l’archeologo. The best is not always the better.
D. Anche l’analisi ha avuto un ruolo importante...
R. Sono stato in analisi per dieci anni con Ignacio Matte Blanco. Fondamentale è stata la lettura del suo L’inconscio come insiemi infiniti, pubblicato nel 1975: un classico. Basandosi su alcune osservazioni sparse di Freud, Matte Blanco ha studiato non l’inconscio rimosso ma quello strutturale, funzione essenziale dell’essere antinomica rispetto a quella della coscienza retta dalla ragione. Mentre la razionalità distingue i fatti e li mette in relazione fra loro senza confonderli, l’inconscio fa confusione all’interno di insiemi psichici, al modo delle emozioni. Quando ci innamoriamo, siamo convinti che la nostra donna sia la più bella del mondo, dell’insieme delle donne desiderabili, mentre non lo è. Del modo di procedere dell’inconscio strutturale Matte Blanco ha scritto la grammatica. Freud è ricorso spesso a metafore archeologiche, quando voleva descrivere un tempo assente e uno spazio a più di tre dimensioni. Scrive: «È come se potessimo vedere insieme, nello stesso tempo e nello stesso momento, un palazzo rinascimentale e il tempio di Giove Capitolino». Ho provato questa sensazione tempo fa a Passoscuro, quando in una Los Angeles in formazione sul Tirreno ho riconosciuto nella sala di un ristorante fra casupole le colonne di un capanno dal tetto di paglia che mio padre aveva eretto sulla spiaggia deserta quando eravamo bambini; senza volerlo, un tempio alla De Chirico. Allora eravamo soli, quel giorno c’era una gran folla. Privilegio e bellezza oppure democrazia e bruttura? Vedevo le due realtà allo stesso tempo, ero combattutissimo e provavo piacere, adolescente e vecchio in un momento.
D. Le capita di vivere sensazioni analoghe durante il suo lavoro di archeologo?
R. Faccio due esempi, perché non posso ripercorrere il corso dei miei studi [si veda la Bibliografia, in fondo al volume]. Poco tempo fa ho potuto visitare finalmente, insieme a un allievo, alcune murature romane sotto Palazzo Valentini, dietro Piazza Venezia. Un’area discussa da sempre, a proposito del tempio di Traiano e Plotina, che sarebbe stato eretto da Adriano quando divinizzò i suoi genitori adottivi: una canonizzazione ante litteram. Quando osservo la corte pontificia, mi viene in mente non Cristo ma gli imperatori. E infatti il papa attuale ha prontamente, anticipatamente, beatificato il predecessore. Gli assolutismi universali hanno le loro regole... La Chiesa cattolica è fondata sulla tomba di Pietro, un contesto archeologico che sto riesaminando con un altro mio allievo. Nella Roma antica era venerato il luogo dove Romolo era stato ucciso: il Lapis niger nel Volcanal al Foro. Nella cultura i tempi sono distinti ma molti fili legano il presente al passato, confondendo i secoli. La Roma capitale d’Italia potrebbe essere un luogo di confronto culturale universale, come fu in antico e come fu poi, ma che oggi più non è: discutibile trono di una casta politica privilegiata, mentre tutto affonda.
D. Torniamo al tempio di Traiano e Plotina.
R. La Soprintendenza di Stato, con i suoi scavi a Piazza Venezia per la metropolitana, ha dimostrato che, all’epoca di Adriano, alcune aule a gradini si disponevano intorno a una piazza curvilinea, che si trovava davanti alla colonna Traiana, appunto sotto Palazzo Valentini. Nella base della colonna erano custodite le ceneri dell’imperatore e di sua moglie. Queste aule, la piazza curvilinea, preziosi carotaggi eseguiti per la metropolitana e le rovine e le colonne larghe due metri sotto il Palazzo della Provincia, appartenenti al tempio, hanno permesso di ricostruire, con maggiore esattezza di un tempo, il tempio di Traiano e Plotina, davanti all’ingresso traianeo del Foro, illustrato da una moneta. In quel momento ho rivisto davanti a me, finalmente completo, il più grandioso monumento di Roma, tra ruderi affioranti e cantine. Scoprire grandi cose tramite indizi – Roma è stata in gran parte spogliata – è ancora più appassionante che contemplare intatto il Pantheon... È la differenza fra un romanzo poliziesco e un delitto compiuto in pubblico. E le aule che circondavano la piazza appartenevano, probabilmente, all’Atheneum di Adriano, ludus ingenuarum artium: il centro intellettuale di Roma. Connettendo tra loro parti diverse, vecchie e nuove, si è materializzato davanti ai miei occhi un affascinante tessuto urbano: i muraglioni probabilmente colonnati che separavano la piazza del tempio dagli isolati retrostanti, la via Flaminia con infinite tabernae, la vita quotidiana e pubblica si rianimava davanti ai miei occhi. Passare da questo a una ricostruzione in CAD per il nostro sistema informativo archeologico su Roma antica è stato il passo successivo, compiuto da Fabio Cavallero (in «Archeologia Viva», settembre 2011). Risuscitare Traiano, Adriano, l’architetto Apollodoro di Damasco e, al tempo stesso, vivere oggi e capire servendosi della maturità culturale e dell’innovazione tecnologica è un grande piacere. Alcuni specialisti, di idee diverse, si sono dispiaciuti e mi hanno redarguito, ma Roma è di tutti e il suo commento è libero e interminabile.
D. Qual è stata la più forte emozione che ha provato di fronte al risultato del suo lavoro?
R. Per l’archeologo le emozioni di fronte a uno scavo possono essere di due ordini. Quando faccio un ritrovamento eccezionale, ma qui c’entra più la fortuna che l’intelligenza, e a me questa caccia al tesoro poco interessa. Oppure quando, raccogliendo indizi e con lo studio, riesco a risuscitare una realtà nuova: un paesaggio rurale o urbano, un complesso di costruzioni o una architettura. Pe...

Indice dei contenuti

  1. — epigrafe
  2. 1. Una vocazione tardiva
  3. 2. Elogio della moderazione
  4. 3. La morte della borghesia italiana
  5. 4. Una società volgare
  6. 5. La cultura come risorsa
  7. 6. La scommessa di Pompei
  8. 7. Storia e bellezza
  9. 8. La Repubblica ieri e oggi
  10. Appendice
  11. Bibliografia di Andrea Carandini