
- 20 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Le rivolte giudaiche
Informazioni su questo libro
Contro il regno seleucidico prima e l'impero romano poi, una lotta per l'indipendenza nazionale che si trasformò in una guerra di chiara ispirazione apocalittica, coinvolgente cielo e terra, il Bene e il Male.
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Informazioni
Argomento
StoriaCategoria
Storia anticaeBook Laterza
Giulio Firpo
Le rivolte giudaiche

© 1999, Gius. Laterza & Figli
Prima edizione digitale novembre 2010
http://www.laterza.it
Proprietà letteraria riservata
Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari
Realizzato da Graphiservice s.r.l. - Bari (Italy)
per conto della
Gius. Laterza & Figli Spa
ISBN 9788858100110
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata
a Marzia
I prodromi
Intorno alla seconda metà del XIII secolo a.C. un nucleo consistente di ebrei abbandonò l’Egitto, dove secondo la tradizione i loro antenati si erano stabiliti da lungo tempo, e, guidato da Mosè, dopo molte peripezie riuscì a raggiungere la Palestina. Iniziava così una lunga fase storica, caratterizzata da attriti incessanti con le popolazioni vicine e dal progressivo consolidarsi delle posizioni degli ebrei, fino al conseguimento di una rispettabile potenza regionale che permise loro di conservare indipendenza politica, tradizioni culturali e costumi religiosi per vari secoli. In una prima fase, essi si organizzarono in una lega di dodici tribù, incentrata su un santuario federale presso il quale si discutevano periodicamente i problemi riguardanti l’intera comunità . Non era ammesso l’istituto monarchico, in quanto, per antico precetto, si riteneva che solo Dio potesse essere re del suo popolo.
Ma, col tempo, le cose cambiarono: la crescente pressione dei popoli confinanti indusse gli ebrei a cercare proprio nella monarchia il rimedio per far fronte a un pericolo che si avvertiva come sempre più minaccioso ed esiziale. Una trasformazione così rilevante non poteva avvenire senza il consenso divino: e infatti fu proprio Dio a sollecitare il profeta Samuele a consacrare Saul, della tribù di Beniamino, quale re di Israele. Iniziava così la fase più importante e significativa della storia di Israele indipendente, scandita dalla successione di David, della tribù di Giuda, a Saul e di Salomone a suo padre David. Questi sovrani ampliarono il regno, rendendone sicure le frontiere, e la fama della loro potenza e magnificenza travalicò i confini della regione, estendendosi a terre lontane: l’esempio più noto è la visita resa a Salomone dalla regina di Saba, una regione dell’Arabia sud-occidentale. Salomone, fra l’altro, edificò il primo tempio di Gerusalemme. Alla sua morte, il regno si divise in due parti: un regno del Nord, Israele, con capitale Samaria, e uno del Sud, Giuda, con capitale Gerusalemme. In seguito, il territorio venne conquistato dagli assiri, che abbatterono il regno del Nord e ne deportarono in Assiria la classe dirigente (721 a.C.), mentre il regno del Sud continuò a esistere come stato vassallo. Dopo il crollo della potenza assira (612-609 a.C.) la regione passò sotto il controllo degli egiziani; ma la loro dominazione durò solo pochi anni, poiché nel 605 a.C. il re babilonese Nabucodonosor sconfisse il faraone Necao a Karkemish, assicurandosi così il possesso della Siria-Palestina. Per due volte il regno di Giuda si ribellò a Nabucodonosor, con conseguenze disastrose; nella prima occasione, egli assalì e conquistò Gerusalemme, saccheggiando la città e il tempio e deportando a Babilonia il re Ioakin, gli alti funzionari e le famiglie aristocratiche (598 a.C.); la seconda volta, dette alle fiamme la città e il tempio, deportò a Babilonia tutta la popolazione di Gerusalemme e pose fine alla monarchia davidica, trasformando la Giudea in una provincia dell’impero (587 a.C.). Aveva così inizio il periodo dell’esilio, che si sarebbe concluso nel 538 a.C., quando il re persiano Ciro, dopo aver travolto la potenza babilonese, emanò un editto con cui consentiva il ritorno in patria dei deportati e la riedificazione del tempio distrutto da Nabucodonosor, che venne alfine consacrato nel 515 a.C.
La Giudea restava provincia dell’impero persiano, ma con una notevole autonomia; la cura dei problemi amministrativi, sociali e religiosi venne assunta ora dalla classe sacerdotale, al cui vertice si trovava il sommo sacerdote, coadiuvato da un consiglio di anziani, il sinedrio. A dire il vero, durante l’esilio babilonese era stato deciso di affidare la guida del popolo non più a un solo personaggio, ma a due, di estrazione rispettivamente laica e sacerdotale; in effetti, questa soluzione venne adottata nei primi tempi (fine V secolo a.C.) successivi al ritorno in Palestina dall’esilio, quando furono appunto in due, Zorobabele e Giosuè, a reggere le sorti della comunità , ma si trattò di un esperimento di breve durata, poiché la figura del capo laico scomparve ben presto dalla scena, mentre quella del sommo sacerdote assunse il ruolo di supremo detentore del potere civile e religioso.
Le funzioni sacerdotali vennero riservate ai sadociti, cioè agli appartenenti alla discendenza di Sadoq, capo della gerarchia sacerdotale gerosolimitana al tempo di Salomone, secondo quanto era stato stabilito durante l’esilio, grazie soprattutto alle sollecitazioni del profeta Ezechiele.
Nel 332 a.C. Alessandro Magno invase la Palestina, nel contesto della spedizione che l’avrebbe portato alla conquista dell’impero persiano. Alla sua morte, avvenuta nel 323 a.C., ebbe inizio una lunga fase di lotte convulse tra i suoi generali e successori, i cosiddetti Diadochi, nel corso della quale, a partire dal 301 a.C., la Palestina passò sotto la dominazione dei Tolemei, sovrani d’Egitto. Ma questo territorio rivestiva un’importanza strategica enorme, essendo il passaggio obbligato tra l’Egitto stesso e l’Asia: seguirono pertanto numerose guerre tra i Tolemei e i Seleucidi, re di Siria, fino a che nel 200 a.C. questi ultimi, con il re Antioco III, riuscirono a imporsi definitivamente sulla regione.
L’ellenizzazione della Palestina e la crisi della società giudaica fra III e II secolo a.C.
1. L’ellenizzazione
Per quasi quattro secoli dopo la fine dell’esilio babilonese (538 a.C.) ai giudei vennero garantite le ampie sfere di autonomia amministrativa e religiosa concesse a suo tempo da Ciro; questo fece sì che l’indipendenza non diventasse mai un problema attuale, né che venisse proposta in termini concreti. Il rigido controllo sociale e ideologico esercitato dalla gerarchia sacerdotale al potere rappresentò per i sovrani stranieri la miglior garanzia di continuità e affidabilità .
La situazione cambiò a seguito della conquista macedone. Abbattendo l’impero persiano, Alessandro non aveva solo eliminato la minaccia che incombeva sulla grecità dagli inizi del V secolo a.C., cioè dal tempo delle guerre persiane, ma aveva anche trasformato profondamente i rapporti tra il mondo greco e l’esterno. All’assetto politico precedente, caratterizzato dalla frammentazione del mondo ellenico e dalle incessanti lotte per la supremazia tra le varie poleis (città -stato, come Atene, Sparta, Tebe, ecc.), che ne avevano inevitabilmente prodotto l’indebolimento e la decadenza, era subentrata adesso una realtà istituzionale nuova, di amplissimo respiro e dagli orizzonti infiniti, che faceva proprie, sotto vari aspetti, talune fondamentali caratteristiche dell’impero vinto. Alessandro compì anche l’impresa, impensabile solo fino a pochi decenni prima, di abbattere gli antichi confini culturali e psicologici tra la grecità e la barbarie, intesa come connotazione intrinseca di tutto ciò che greco non era. Questa nuova dimensione a un tempo politica e spirituale, che va sotto il nome di ellenismo, vide la cultura greca aprirsi fruttuosamente alle influenze esterne, pur conservando una posizione preminente, ed esercitare ovunque, in tale sua inedita configurazione, un formidabile potere di attrazione. Anche le condizioni dell’individuo subirono una radicale trasformazione. Se in precedenza tutte le sue energie erano state assorbite e condizionate dagli stretti vincoli imposti dalle esigenze della polis, adesso tendevano a gravitare progressivamente verso l’esterno: ai confini angusti delle città d’origine si sostituivano, quale ambito aperto alle capacità e alle ambizioni individuali, le corti dei sovrani ellenistici e i centri culturali rappresentati dalle città greche d’Oriente di nuova fondazione.
Questa straordinaria atmosfera spirituale favorì il sorgere e la rapida diffusione del fenomeno della diaspora, cioè della «dispersione» dei giudei nel nuovo mondo nato dall’impresa di Alessandro. Già nei secoli precedenti alcuni gruppi di ebrei si erano stanziati spontaneamente fuori della Palestina, come ad esempio in Siria e in Egitto: ma si era trattato di fatti sporadici e di non grandi dimensioni. Per la diaspora d’età ellenistica fu decisiva la fondazione di Alessandria d’Egitto da parte di Alessandro Magno, che vi attirò molti giudei palestinesi grazie alla concessione degli stessi diritti garantiti alla parte greca della popolazione. La città divenne ben presto il porto più rilevante del Mediterraneo, nonché il terminale privilegiato delle vie commerciali verso l’Africa occidentale, specialmente Cirene, e i territori a meridione dell’Egitto, fino alle sorgenti del Nilo; da lì i giudei, che continuarono ad affluirvi in misura cospicua, poterono agevolmente irradiarsi in un gran numero di città del bacino mediterraneo, dalle Colonne d’Ercole all’Asia Minore, dalla Grecia al Ponto Eusino. Il secondo, grande centro della diaspora sviluppatosi nella prima età ellenistica, anche se non paragonabile ad Alessandria, fu Antiochia, la capitale del regno seleucide di Siria, anch’essa in favorevolissima posizione strategica in quanto collegava le sponde del Mediterraneo alle vie carovaniere che si dirigevano verso l’Armenia e la Mesopotamia, sede di antichi insediamenti ebraici. Per importanza e per cronologia, il terzo nodo della rete mondiale della diaspora fu rappresentato dalla comunità di Roma, che a partire dalla seconda metà del I secolo a.C. divenne il principale centro di irradiazione in Occidente.
Nelle città della diaspora, la convivenza tra giudei e greci fu spesso turbolenta: la contrapposizione nasceva da motivi complessi e interagenti. In un mondo ormai aperto a ogni tipo di integrazione, riusciva incomprensibile l’attaccamento tenace ed esclusivo dei giudei alle loro tradizioni religiose e la loro opposizione ad adattarle e a fonderle con i costumi degli altri popoli: di qui le ricorrenti accuse di empietà e di ateismo, di autoisolamenÂto e di rifiuto della civile convivenza, corredate da una serie impressionante di luoghi comuni e dicerie frutto di malanimo o di ignoranza: tra le più significative, la discendenza degli ebrei da lebbrosi e la loro adorazione di una testa d’asino o di un suino. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questo patrimonio non traeva le sue origini dagli strati inferiori della popolazione, ove semmai trovò fertile terreno di diffusione, ma in ambienti intellettuali; e la prima e più importante fabbrica di queste calunnie fu proprio la dotta e cosmopolita Alessandria, dove non per nulla dissidi e scontri fra giudei e greci si protrassero per secoli, fino ai primi decenni del II secolo d.C. Alla fine del IV secolo a.C., Ecateo di Abdera, nella sua opera storica sugli egizi, aveva parlato di misantropia e xenofobia dei giudei, raccogliendo evidentemente voci e informazioni proprio ad Alessandria; ma l’attacco più violento fu portato, nel secolo successivo, da Manetone, un sacerdote egizio grecofono, a cui fecero seguito numerosi altri autori, sia nel mondo ellenistico che, più tardi, a Roma. A cio si aggiungevano, specialmente nelle città della diaspora vicino-orientale, motivi di tensione di natura politica e sociale, soprattutto là dove il separatismo religioso si coniugava con un Âalto livello economico e demografico delle comunità Âgiudaiche.
La situazione in Palestina ebbe una evoluzione diversa rispetto a quella della diaspora. Per tutto il III secolo, i giudei di Palestina seppero difendersi con successo, almeno negli aspetti esteriori quotidiani, dalle influenze esterne; ma l’inevitabile contatto con la cultura ellenistica, favorito dalla struttura amministrativa tolemaica e dai rapporti con la comunità giudaica di Alessandria, grecofona fin dall’inizio, produsse inesorabilmente i suoi effetti, tanto più insidiosi in quanto caratterizzati da ritmi lenti e da scarsa percettibilità . Tale processo subì una brusca accelerazione col passaggio dalla dominazione tolemaica a quella seleucidica, a partire dal 200 a.C.: l’ellenismo conquistò consensi e proseliti, infrangendo con le sue espressioni più vistose e negative – individualismo, sete di potere e di ricchezza, apertura ai costumi e ai culti stranieri – le barriere religiose, culturali e psicologiche che avevano caratterizzato l’età precedente.
Queste vicende s’inserivano in un conte...
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