1992. Tangentopoli
di Ilvo Diamanti
Benissimo, l’Italia non è soltanto quel paese vecchio un po’ immobile, è anche due paesi in uno, c’è il paese legale, che è sotto gli occhi di tutti, e c’è il paese sommerso, il paese illegale che tutti più o meno fanno finta di non vedere, e che è più forte in alcune regioni, in alcune grandi città , meno forte altrove. Il paese sommerso ha le sue leggi, diverse da quelle del paese legale, ha la sua politica o le sue politiche, ha la sua economia, un fiume di soldi che deve sfuggire alla contabilità dell’altro paese, quello alla luce del sole.
Sebastiano Vassalli, L’italiano
I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali ed associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Ma non credo che ci sia nessuno in questa aula, non credo che ci sia nessuno in questa aula responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo, perché presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.
Credo che non ci sia bisogno di presentazione. Né della figura del leader politico che citiamo, né del momento in cui viene pronunciato il discorso da cui è stralciata questa affermazione. È il 3 luglio 1992, ed è Bettino Craxi che in Parlamento, dopo aver sempre negato ciò che era evidente a tutti, come egli stesso sottolinea, per la prima volta, si incarica di chiarire in modo esplicito cosa fosse il sistema politico. Cosa fossero i partiti. Come fossero organizzate e intrecciate in modo diretto e pesante la politica, la società e l’economia.
È un discorso molto noto. Che verrà ribadito e articolato un anno e mezzo dopo, nel novembre 1993, nell’interrogatorio reso di fronte ad Antonio Di Pietro durante il processo Cusani. Craxi, a differenza di altri politici, precisa, definisce e presenta in modo chiaro, aperto il problema. Ebbene, ciò che mi sono detto è: aveva ragione. Cioè un partito di massa – e anche non di massa; un piccolo partito organizzato che disponesse di giornali, associazioni, organizzazioni – come avrebbe potuto mantenerli? Sopportarne i costi?
È vero anche il sottofondo del discorso di Craxi. Il fatto che il rapporto tra politica e interessi, tra partiti e imprese, nel dopoguerra, fosse palese. Anche se mai ammesso pubblicamente, prima. Neppure da Craxi. Però, tutti – chi più chi meno – sapevano. Basterebbe riprendere la famosa frase di un importante uomo di economia e anche di politica come Mattei, il quale negli anni Cinquanta affermava: «I partiti? Ma io i partiti li prendo come i taxi, li chiamo, ci salgo sopra, poi pago la corsa e scendo quando sono arrivato». Erano gli anni Cinquanta. Mattei era presidente dell’Eni, dopo aver occupato, prima, l’incarico di commissario dell’Agip. Una figura importante nella storia economica e politica italiana. Morto in circostanze, diciamo pure, misteriose.
Ma quanti altri momenti, quanti altri episodi ci hanno fornito occasione di verificare in modo esplicito l’esistenza di questi fenomeni? Non mi riferisco solo all’intreccio tra affari e politica, ma anche al conflitto tra la magistratura – nei suoi vari ordini inquirenti e giudicanti – e la politica. Un conflitto che in quest’anno, nel 1992, esplode in modo aperto.
Il titolo attribuito a questo intervento parla di Tangentopoli. E Tangentopoli sottolinea la scoperta del livello nascosto della nostra biografia. L’altra storia della nostra Repubblica: la «realtà sommersa», come scrive Vassalli. Non la corruzione politica, che è una cosa diversa. Non l’intreccio tra politica ed economia, che ne è una parte. Ma Tangentopoli. Dire Tangentopoli sottintende qualcosa d’altro, perché definisce una ‘città ’, una polis fondata sulle tangenti. La ‘Città corrotta’.
Tuttavia, quando si afferma questa idea, quando si utilizza Tangentopoli per catalogare e raffigurare questa fase, occorre rispondere a un’altra domanda: perché ciò avviene proprio nel 1992?
Lo ripeto, ciò che si scopre e viene denunciato quell’anno, in qualche misura, già si sapeva. Altre vicende, altrettanto inquietanti e significative, si erano verificate in precedenza. In Italia, d’altronde, gli episodi di corruzione politica non sono una novità . L’intervento dei magistrati sul rapporto tra politica ed economia, fra politici e imprenditori, non è una novità . In precedenza, meno di vent’anni prima, per vicende certamente non meno gravi si era dimesso un presidente della Repubblica. Erano state coinvolte figure istituzionali di primo piano. I ministri degli Interni, della Difesa, di un ex presidente del Consiglio. Ancora, negli anni Ottanta erano esplosi scandali di grande proporzione, sollevati da casi non propriamente piccoli: lo Ior, il Banco Ambrosiano... Ma il ‘sistema’ non era stato travolto. Le basi e i vertici delle istituzioni avevano retto, contrariamente a quanto avviene nel 1992 e negli anni seguenti. Perché? Perché la corruzione politica e il rapporto tra affari e politica esplode nel 1992, in questo modo, e non prima? Questo mi pare un problema poco indagato. Trattato come un’equazione la cui soluzione è data per scontata, come si può cogliere dallo stesso titolo che è stato attribuito al mio intervento: 1992. Tangentopoli. Tuttavia, davvero noi possiamo leggere il 1992 e quel che è avvenuto dopo soltanto alla luce di Tangentopoli? Tutto ciò che è successo in quell’anno, tutto ciò che ha prodotto quell’anno, può venire riassunto come il risultato, l’effetto di Tangentopoli?
Io credo di no. Personalmente, sono contrario a usare Tangentopoli come paradigma di ciò che è avvenuto in quegli anni. E credo che oggi non riusciamo ancora a liberarci di ciò che è avvenuto in quella fase anche perché l’abbiamo rielaborato successivamente, in base a valutazioni retrospettive. Ma cosa è successo davvero nel 1992? E perché quei fatti hanno prodotto tanta emozione, tante conseguenze proprio allora e non prima, anche se avevano una lunga storia? Anche se ‘tutti ne parlavano’? E perché proprio qui e non altrove? L’Italia è forse l’unico paese dove vi sia corruzione politica? È il paese dove c’è più corruzione politica? Probabilmente non si conosce il Giappone. L’Italia è l’unico paese dove un presidente, o un leader politico, si sia dimesso per finanziamento illecito ai partiti? Mi limito a rammentare un precedente importante: la Germania. Il presidente e leader della Cdu, del Partito popolare tedesco, Helmut Kohl. Colui che ha realizzato l’unificazione della Germania e ha guidato una lunga stagione di crescita economica e politica del paese a livello internazionale. Ebbene, anch’egli ha dovuto dimettersi, abbandonare la vita pubblica, la vita politica. Ma il sistema politico tedesco non è crollato. Non solo: non è crollata neppure la Cdu. Il Partito popolare tedesco governa ancora, guidato da Angela Merkel, chiamata a succedergli dallo stesso Kohl. Infine, non se ne è andato – non ha dovuto andarsene – dal paese, per sfuggire ai processi e alla magistratura. Tutto questo, invece, in Italia è successo. Ed è avvenuto proprio in quegli anni.
La questione, a mio avviso, va riletta in questa chiave. Rinunciando a dare per scontate le risposte che, in seguito, sono divenute di senso comune. Senza dimenticare che quegli anni sono stati, per molti versi, terribili, ma non deprimenti. A chi li ha attraversati sono apparsi carichi di inquietudine, ma anche di attese; paure e speranze si mischiavano, allora. Tutti si sono accorti che erano anni di cambiamento, in cui si voltava pagina. Il problema è che, forse, è ancora presto per giudicarli con il necessario distacco. D’altronde, penso che sia stato chiesto proprio a me di affrontare il 1992 perché è un anno troppo vicino per essere oggetto di analisi storica. I colleghi storici che mi hanno preceduto, per questo, lo affiderebbero al massimo a un politologo, a un sociologo. Cioè a uno come me. Che, a loro avviso, si occupa del presente. Della cronaca. Al più, della memoria recente. Allo stesso tempo, il 1992 è tanto vicino da poter essere riletto attraverso i testi della narrazione quotidiana, attraverso i giornali. Materia da giornalisti. Allora chi meglio di uno che fa il politologo o il sociologo e scrive anche sui giornali, per affrontarlo? Perché la memoria del 1992 è ancora vicina a noi. Per questo è difficile ricostruire quegli anni. Solo su una valutazione siamo d’accordo: che quegli anni sono stati fondamentali, perché hanno segnato la fine di un ciclo, la conclusione di una fase. Il 1992 è un anno di frontiera, un discrimine. Puoi tracciare una linea e dire: prima e dopo, al di qua e al di là di questo solco ci sono due mondi diversi. Due ere e due epoche diverse. Così è prima e dopo il 1992. Due epoche diverse per l’Italia. Il 1992 segna di fatto la fine della Prima Repubblica. Il 1992 segna l’avvio di ciò che verrà dopo.
Su cosa sia avvenuto dopo il dibattito è ancora aperto.
Cosa è successo dopo? Non c’è accordo sul nome da dare al periodo seguente. La Seconda Repubblica? La transizione? Oppure, la Prima Repubblica e mezzo? L’hanno chiamata così alcuni giornalisti, intellettuali, politici per suggerire che, nella sostanza, non era cambiato nulla, dopo il 1992. Sbagliano. Nel 1992 è cambiato tutto. Ma servirsi di Tangentopoli per spiegare tutto è altrettanto sbagliato. Usare Tangentopoli come quella che gli statistici chiamano ‘variabile indipendente’, la causa di tutto, significa affermare che la Seconda Repubblica è stata costrui...