Geografia umana
Catania contiene circa 315.000 corpi, disposti su una superficie di 182,9 chilometri quadrati.
Ovviamente non sono distribuiti in maniera uniforme. Se fossero distribuiti in maniera uniforme dentro ogni chilometro quadrato dovremmo contare circa 1700 corpi; in realtà le cose vanno in maniera diversa. Quasi un corpo su quattro abita all’interno di una superficie di circa 30 chilometri quadrati in un territorio fisicamente separato dal resto della città che gli autoctoni chiamano centro. Il resto dei corpi vive sparso su uno spazio differente, molto più dispersivo, chiamato periferia.
Questi due spezzoni di territorio sono, a loro volta, ulteriormente divisi in circoscrizioni e quartieri. Ciò rende più agibile la vita dei pignoli che desiderano rispondere alla domanda dove abiti? con una precisa connotazione geografica.
Tuttavia, pur se separati da barriere urbanistiche e architettoniche di ogni tipo, i due gruppi di corpi tendono continuamente a mescolarsi. I motivi sono svariati, molti di essi legati al reperimento dei seguenti beni: cibo, abiti, denaro, lavoro, droga.
Contrariamente a quanto si potrebbe ritenere, i travasi non avvengono semplicemente dalla periferia al centro, ma è ravvisabile anche un consistente flusso di corpi nel senso opposto, dal centro alla periferia, specie in alcune unità temporali ben determinate, definite fine settimana.
Nel territorio occupato dalle periferie, infatti, col passare del tempo è sorta una spessa barriera naturale formata prevalentemente da centri commerciali, all’interno della quale si addensano numerose attività umane legate allo scambio di denaro in cambio di merce di consumo. Si tratta di organismi autosufficienti nati in seguito a stratificazioni successive di investimenti virtuosi e riciclaggio di denaro sporco, spesso circondati da parcheggi, capaci di costituire un richiamo irresistibile per i corpi residenti in centro.
Gli spostamenti avvengono per lo più su veicoli muniti di ruote, sospinti da motori a scoppio, dalla capienza limitata a un massimo di cinque corpi, le autovetture. L’utilizzo di veicoli a due ruote è molto raro, per via dei frequenti cambi di quota del terreno e della guida sanguinaria degli autoctoni.
In teoria esistono anche altri mezzi di locomozione molto più capienti, adibiti al trasporto di un numero maggiore di corpi, ma la particolare conformazione urbanistica della città rende decisamente poco conveniente il loro utilizzo, specie negli spostamenti dal centro alla periferia e viceversa.
Le linee urbane sono addensate al centro, e debolmente ramificate nelle periferie, in una tipica conformazione a stella. Ciò rende molto più agibile il loro utilizzo per brevi percorsi localizzabili all’interno del perimetro del centro e dei suoi immediati dintorni, anche in ragione di una frequenza oraria facilmente calcolabile e comunque stimabile in unità temporali abbastanza brevi da non scoraggiare il possibile avventore. In periferia, invece, frequenze, distanze e tempi di percorrenza sono talmente dilatati da rendere l’utilizzo di questo tipo particolare di autovetture ostaggio della benevolenza della sorte.
Non v’è nulla di cui stupirsi se la percezione del servizio di trasporto collettivo è differente nei due gruppi di corpi. Una manna dal cielo per il primo gruppo, il preludio di un inferno privo di speranze e redenzione per il secondo.
Ad ogni modo, nessun punto della barriera dei centri commerciali è raggiungibile tramite il trasporto pubblico, e ciò rappresenta un enorme disincentivo a utilizzare mezzi di locomozione differenti dalle automobili.
Ciascun corpo appartiene a una specifica fascia di reddito. In virtù di tale appartenenza si disloca sul territorio assieme ad altri corpi che posseggono fasce di reddito simili, secondo schemi d’aggregazione molto rigidi. Gli spazi abitativi occupati dai corpi così aggregati riflettono anch’essi in maniera scrupolosa la posizione di ciascun corpo in relazione alla sua fascia di reddito d’appartenenza.
I passaggi da una fascia di reddito inferiore a una superiore sono limitati e comunque in numero molto minore rispetto ai passaggi opposti.
Tali passaggi avvengono tramite il miscuglio di due fattori: il grado di occupazione di quel corpo e, naturalmente, il caso. Il fatto che circa 50 corpi su 100 non abbiano alcun tipo di occupazione rende più probabile l’appartenenza a una fascia di reddito molto bassa, al netto del contributo del caso. Ciò concorre non poco a disegnare il profilo della città.
I redditi alti (circa il 3 per cento della popolazione totale) vivono principalmente al centro, all’interno di abitazioni confortevoli, situate vicino a scuole non degradate, poco distanti dagli uffici in cui lavorano, in contesti tutto sommato soddisfacenti. In alcuni casi, possono persino concedersi il lusso di andare a piedi.
Gli altri – tutti gli altri – vivono alla rinfusa, in aggregati urbani variegati, la cui viabilità è spesso machiavellica, lontani dal proprio posto di lavoro, lontani dalle scuole, lontani dalla vita culturale della città, in zone all’interno delle quali qualsiasi relazione è negata alla radice.
Gli uni e gli altri sono convinti che il turismo salverà la città.
Per tale ragione hanno sacrificato una porzione di città al flusso di stranieri provenienti da fuori, svuotandola di ogni funzione sociale, adibendola a mero spazio commerciale sopra il quale mettere in scena la città.
Nel timore di deludere le aspettative dei capitali provenienti dall’esterno, ogni forma di rappresentazione del reale è stata bandita a favore di una teatralizzazione di ciò che quei capitali si aspettano di trovare a Catania: negozi, negozietti, trenini turistici, localini sofisticati, ristoranti stellati, mercatini caratteristici, pub, mostre, bookshop, tutti da esperire rigorosamente a piedi, all’interno di perimetri nei quali qualsiasi tipo di autovettura è vietata.
La rigida divisione della città in zone serve anche a tenere i turisti lontani dalla città reale.
Ammesso che questi vogliano anche soltanto vedere una piccola fetta di Catania non edulcorata, le distanze da percorrere sono tali da scoraggiare qualunque ardente desiderio di realismo. Basta consultare il quadro orario di qualunque mezzo di trasporto pubblico per rendersi conto della follia del proposito.
Malgrado ciò, ogni tanto capita di vedere qualche turista dove non dovrebbe stare. È raro, ma succede.
Solitamente quando la sera tornano al B&B lamentano di aver perso una giornata intera del loro itinerario turistico, di essere stati in luoghi in cui non c’era nulla da vedere. Il guaio è che quel nulla era Catania. Catania priva di orpelli, Catania nuda e cruda, talmente nuda e cruda da risultare invisibile.
I proprietari del B&B prenderanno quelle parole per quel che sono: una probabile recensione negativa in uno dei tanti siti che pubblicizzano la loro attività. Tentando di salvare il salvabile, proporranno agli stranieri di buttarsi l’imprevisto alle spalle, affogando i dispiaceri nel cibo, nella speranza che le gioie della carne di cavallo fungano da anestetico per le aspettative deluse. Nove volte su dieci funziona.
D’altronde, Catania è famosa per il suo consumo smodato di carne di cavallo. È possibile reperirla cucinata in decine di ricette differenti.
Ci sono intere zone della città interamente adibite all’uopo, all’interno delle quali l’offerta è multiforme e variegata: si va dal braciere improvvisato, dove puoi pagare pochi spiccioli per il tuo panino riempito di polpette di cavallo, al ristorante con pretese di raffinatezza nel quale quelle stesse polpette sono adagiate su un letto di salsette strane di diverse consistenze, sormontate da un ciuffetto di salvia e smerciate a prezzi esorbitanti. Ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni.
Una tale disponibilità di cavallo farebbe pensare a un grande numero di allevamenti variamente dislocati sul territorio. Sarebbe logico dedurre che ci siano cavalli ovunque: nella piana di Catania, sull’Etna, nelle campagne circostanti le periferie più grandi, a pascolare ai lati delle carreggiate della tangenziale.
Tuttavia non è così. La maggior parte della carne consumata proviene dalla Polonia. Lì i cavalli vengono acquistati all’interno di “fiere” improvvisate, picchiati, storditi, rinchiusi dentro dei camion, spediti in Italia e macellati in maniera clandestina dentro stalle di fortuna, prima di finire sul piatto di qualche turista, servito come una specialità del luogo.
Per inciso: i turisti non sono gli unici stranieri presenti in città. Ce ne sono anche altri, ma sono stranieri particolari, solitamente separati dal resto dei forestie...