Manuale dell'antiturismo
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Manuale dell'antiturismo

Possiamo dirci ancora viaggiatori?

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Manuale dell'antiturismo

Possiamo dirci ancora viaggiatori?

Informazioni su questo libro

All'indomani dello stop imposto dalla pandemia, il turismo di massa sembra ripartire da dove si era fermato, trasformando gli spazi in non-luoghi e convertendo l'immaginazione del viaggiatore in un bene di consumo. Nonostante sia praticato solo dal 3, 5% della popolazione mondiale (ricca e occidentale), il turismo resta la prima industria del pianeta e nulla sembra essere in grado di fermare la sua "mondofagia": né l'inquinamento che comporta, né la scomparsa delle specificità culturali a cui mira e tanto meno la coscienza dell'Altro, ridotta sempre più a una relazione commerciale. Ma è ancora possibile sfuggire al turismo? Quali sono le pratiche indispensabili per potersi definire ancora viaggiatori? Rodolphe Christin ci invita a riscoprire l'essenza del viaggio: preferire la strada alla meta, e "scomparire" piuttosto che apparire ovunque.

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Informazioni

Editore
Bordeaux
Anno
2022
eBook ISBN
9791259631275
Categoria
Antropologia
Appendice.
Il turismo rinchiuso
Le minacce confuse sul turismo nel Terzo Mondo appartenevano alla forma mentis allucinata di qualche backpacker di ritorno da Goa o da Katmandu, con la mente annebbiata dall’erba e dalle anfetamine.
J.G. Ballard, Millenium people
Una definizione-valise1
Occorre, senza ingenuità, lasciarsi trasportare dalla magia delle parole. Turismo; questo termine evoca relax, sole, vacanze, luoghi incontaminati, apparentemente lontani dalla pressione del lavoro. Il “turista”, agli occhi del suo fratello siamese “il lavoratore” (in realtà i due sono tutt’uno), passa per un individuo senza responsabilità, un simpatico fannullone che vive lontano dalle cose serie della vita quotidiana. Il turista è una specie di piccolo beato che invidiamo in silenzio. La sua situazione temporanea di passeggero senza pensieri gli permette di sfuggire alle costrizioni della vita lavorativa e di dedicarsi a una vita ludica, in luoghi esenti da seccature. Si evoca allora questo personaggio con ironia, una piccola smorfia di scherno stampata sul viso, non senza la speranza che un giorno venga il nostro turno. Vivaddio!
Il turismo è diventato un fenomeno così diffuso e, in fondo, così banale che lo si dà per scontato. Essere in vacanza non è sufficiente, bisogna “andare in vacanza” per sentirsi nella norma. Questo fenomeno storicamente recente non suscita più inquietudine dell’interruzione di un pomeriggio di shopping per prendere qualcosa da bere in un bar all’aperto. Andare in ferie è come l’appagamento di un bisogno naturale dettato da una sorta di fisiologia sociale. La riduzione del tasso di partenze per la villeggiatura in Francia (constatata dall’inizio degli anni Duemila) non rimette in questione quest’aspirazione, anzi. Il turismo resta l’ideale banalizzato della società del lavoro e del tempo libero, un ideale dotato del privilegio di essere poco contestato.
La definizione ufficiale del turismo contribuisce a sopire le critiche, diluendo il fenomeno nell’ordinario dell’esistenza, a immagine di una necessità esistenziale infiltratasi nella nostra tabella di marcia: «Il turismo» ci informa l’Encyclopædia Universalis, «è l’espressione di una mobilità umana e sociale fondata su un’eccedenza di budget passibile di essere dedicato al tempo libero trascorso all’esterno della residenza principale. Implica almeno un pernottamento, ossia una notte passata fuori dal domicilio, sebbene secondo alcune definizioni siano necessarie quattro o cinque notti passate fuori casa. Riguarda uno spostamento di piacere e si incentra su uno o più tipi di attività ricreative coniugate o successive».
Una definizione simile, a meno che non se ne estrapolino una a una le parole chiave (mobilità, eccedenza di budget,
tempo libero, notte fuori dal domicilio, spostamento di piacere, attività ricreative), non dà molti appigli. Appiana le asperità storiche e sociali del fenomeno turistico. Si tratta di un effetto ottico dovuto a un’esigenza di oggettività della sintesi appartenente alle ultime riflessioni della “comunità scientifica”. Siccome però non c’è in realtà niente di meno comunitario della società scientifica, dove ci si azzuffa in maniera accesa (col pretesto di dispute tra scuole e tra interpretazioni, tra competenze e controcompetenze) ci si imbatte in un’esitazione: quante notti passate fuori dal domicilio sono sufficienti per rendere qualcuno un turista? Una, due, tre, quattro o cinque? Poco importa. L’essenziale risiede nella constatazione che segue e che occorre formulare senza mezzi termini: questa definizione manca di precisione. Come qualificare le attività ricreative turistiche? Le loro motivazioni sono identiche? La posta in gioco è la stessa?
Andare a trovare degli amici per qualche giorno è la stessa cosa che trascorrere un soggiorno in un parco tematico? Ovviamente no, ammesso che si possa chiamare turismo un soggiorno senza implicazioni commerciali presso parenti e amici che vivono lontani.
Occorre dire se delle attività con ripercussioni e intenzioni differenti sono passibili di entrare alla rinfusa nella definizione di turismo, trasformando così il termine in un vero e proprio mot-valise.
Mescolare tutto, per esempio non facendo distinzioni tra il soggiorno gratuito a casa di amici e il soggiorno balneare a pagamento, priva il turismo dei suoi appigli. Esso ci appare allora come un oggetto neutro e innocuo reso inafferrabile dalla sua apparente banalità. Farne un fenomeno “naturale” è in effetti il miglior modo di giustificare implicitamente il turismo e di tenerlo al riparo da valutazioni che non siano contabili ed economiche.
Ora, il turismo, fenomeno la cui espansione è intimamente legata alla società del lavoro dipendente, alla generalizzazione delle ferie pagate e allo sviluppo del ceto medio, nelle sue forme contemporanee appare caratterizzato dai seguenti aspetti:
  • implica una mobilità di piacere organizzata, pianificata in funzione di attrazioni di divertimento debitamente identificate e valorizzate come tali, sia soggettivamente dai turisti che ne sono attirati, che oggettivamente dagli “sviluppatori” (pianificatori, promotori, agenti di sviluppo, operatori, amministratori...) che ne elaborano l’attrattiva simbolica (attraverso la comunicazione) e la portata commerciale (attraverso la promozione);
  • è ormai il risultato di un’ingegneria sociale dedicata all’adeguamento dello spazio e all’organizzazione di offerte commerciali appropriate. Questa ingegneria si manifesta attraverso dispositivi territoriali di controllo sociale, in particolare per quel che riguarda la gestione dei flussi e la valorizzazione degli spazi, normalizzati secondo criteri estetici, economici, di sicurezza e ambientali, dalle forme riconoscibili e dai contenuti specifici, spesso ricreativi, a volte pedagogici.
In quanto turisti, noi siamo gli strumenti dell’industrializzazione del benessere. Consumare il mondo dovrebbe servire al nostro pieno appagamento individuale, e quindi giustificherebbe il sistema turistico innalzandone le virtù a beneficio di ciascuno. Questo presuppone che la nostra vita, qui, non sia sufficiente. Il turismo è l’indispensabile industria di un capitalismo della mobilità che alimenta la domanda facendo leva sull’insoddisfazione permanente propria del desiderio di consumo. Questa forma di frustrazione determina il movimento. Sul piano psicologico, vivere qui non deve essere sufficiente. Altrove si possono trovare delle riserve di relax, di divertimento e di sensazioni rinnovate. Occorre approfittarne, altrimenti la vita perderebbe d’intensità e diventerebbe addirittura impossibile. Al limite, partire permette di tenere duro in una quotidianità resa invivibile da molteplici pressioni se fossimo costretti a restarvi tutto l’anno, privati del piacere turistico. L’altrove è diventato una condizione di vivibilità del qui, a patto di essere approntato per tale compito. Il divertimento fa dimenticare la molle durezza delle condizioni di vita, nonostante un livello di confort materiale ineguagliato che non riesce a dissimulare l’angoscia generale e la noia sorda che attanagliano le nostre società. Il consumatore-produttore ha quindi bisogno di essere distratto da una moltitudine di sollecitazioni, che deviano la sua attenzione mentre lo spingono a consumare. Il turismo fa proposte che possono far dimenticare le proprie preoccupazioni, non potendosi permettere di risolvere i problemi.
Sul piano economico, gli organi decisionali e i gestori (pubblici o privati) devono orientare questa insoddisfazione verso mercati socio-geografici da cui scaturiscano promesse di relax e benessere. Le destinazioni diventano oggetti di consumo, indicate dal conformismo della moda, “scelte” secondo vari criteri: il costo della vita, il piacere che fanno pr...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione all’edizione italiana. Perché il turismo?
  2. Prefazione all’edizione canadese
  3. Capitolo primo. La mondofagia turistica
  4. Capitolo secondo. Tutti turisti!?
  5. Capitolo terzo. Il produttivismo delle vacanze
  6. Capitolo quarto. Il pianeta inscatolato
  7. Capitolo quinto. Piaceri simulati, godimenti programmati: la standardizzazione del mondo
  8. Capitolo sesto. Rifuggire il turismo?
  9. Appendice. Il turismo rinchiuso
  10. Bibliografia