
- 224 pagine
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Informazioni su questo libro
Nel Settecento fa la sua comparsa nel mondo un nuovo fluido che affascina, intriga e stupisce: l'elettricità. Presto l'intensità, parametro attraverso cui viene misurata la potenza della corrente elettrica, comincia a scavalcare i confini della scienza rigorosa fino ad assumere una valenza simbolica fortissima e a informare di sé ogni aspetto della vita e della cultura dell'uomo occidentale. Nel corso di pochi secoli l'intensità diviene un ideale etico e morale per l'uomo e un concetto dotto della filosofia: la riconosciamo nella volontà di potenza di Nietzsche e nel vitalismo di Deleuze, nell'eccitazione nervosa dei libertini ma anche nell'adrenalina del desiderio incessante, nell'idea di progresso e nell'ideologia contemporanea della performance, persino nel crescente successo degli sport estremi. Oggigiorno l'intensità è un potere che organizza il mondo. "Dalla nascita alla morte", nota Garcia, "oscilliamo seguendo le variazioni di questa scossa tanto attesa e tanto temuta, che tentiamo di riprodurre quando ci manca, e di cui ognuno valuta a modo suo l'ampiezza e la frequenza". Sedotto da questo ideale, tuttavia, l'uomo contemporaneo rischia di ritrovarsi in una trappola che può produrre proprio il contrario di quanto la vita intensa sembra promettergli: il pericolo, come avvertono molti critici della contemporaneità, è che l'individuo non regga il livello d'intensità che da lui ci si aspetta e dunque crolli. Contro questa minaccia, ma allo stesso tempo senza rinunciare alla portata vitalista dell'intensità, il romanziere e filosofo Tristan Garcia chiama in causa il concetto di "resistenza" per tornare, finalmente, a una vita elettrica.
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Informazioni
1. Un’immagine
Quello che l’elettricità fa al pensiero
Il Bacio di Lipsia
Da dove ci viene questa eccitazione?
Per quasi un secolo si sono scritti numerosi trattati per spiegare il magnetismo e, fin dall’introduzione del termine “elettricità” (dal greco antico elektron, “ambra”), attorno al 1600, questo strano fenomeno naturale non ha cessato di incuriosire gli studiosi. Lo scienziato britannico Francis Hawksbee costruì i primi macchinari elettrici, poi fu la volta degli esperimenti compiuti con globi di vetro strofinati e bacchette di resina.
In pochi anni, attorno al 1740, il fenomeno inizia a suscitare grande meraviglia nei salotti europei e in particolare in Germania. Affascinato dagli esperimenti di Hawksbee e dagli scritti di Dufay, un giovane poeta e fisico di Lipsia di nome Georg Matthias Bose congegna una serie di prodigi tecnici destinati a impressionare un pubblico di gentildonne e gentiluomini smaniosi di ammirare lo spettacolo di questo fuoco moderno che sorge spontaneamente dalla materia, il cosiddetto “fluido elettrico”. In cosa consistono le sue invenzioni? Nella prima, Bose fa sedere gli astanti a un tavolo, avendo precedentemente avuto cura di isolarlo interamente assieme alla propria sedia. L’apprendista stregone tocca discretamente un sottile filamento di rame collegato a un generatore nascosto, azionato da un complice; poi con gravità posa la mano sul piano del tavolo, chiedendo agli altri di fare lo stesso. La corrente fluisce, risale dalle braccia dei partecipanti che si guardano tra loro, stupiti e formicolanti, eccitati da migliaia di scintille scoppiettanti fin su nei capelli. “È meraviglioso!” esclamano. Pochi mesi dopo, Bose inventa un beatificatore meccanico: si mette il “santo” su una sedia ben isolata, si ricopre la sommità della testa con un cappellino appuntito in metallo, come una corona di paccottiglia, e si aziona la corrente attraverso un lungo filo sospeso a un piatto metallico, situato a un solo centimetro sopra la corona; a quel punto iniziano a crepitare delle scintille, disegnando un’aureola sopra la testa dell’uomo santificato dalla scienza, di stucco per lo stupore.
Ma, soprattutto, Bose concepisce un’attrazione chiamata Bacio elettrico di Lipsia e ne consegna una descrizione particolarmente lirica al suo poema Venus electrificata. Una giovane donna avvenente, collegata a un generatore ma isolata dalla corrente, porge le labbra rivestite di un materiale conduttivo. Un membro del pubblico viene invitato ad alzarsi per baciare la signorina. L’uomo, un ventenne, avvicina le labbra impazienti a quelle della Venere e viene d’un tratto scosso da una violenta scarica: il pubblico sbalordito vede balenare un fulmine tra le due bocche. Letteralmente un colpo di fulmine, che nel giovane produce un attimo di spaesamento: la potenza dell’elettricità, quel fuoco scaturito dalla donna, gli ha spezzato il fiato. “Il dolore mi colse, le labbra mi tremarono. La bocca si rovesciò, i denti quasi si ruppero!”
Bose, il professore di matematica Hausen e il giovane specialista di lingue orientali Winkler infiammarono Lipsia con i loro audaci esperimenti, a metà tra scienza fisica e intrattenimento circense; all’epoca la fata elettricità costituiva un divertimento magico prima ancora che scientifico, una promessa irrazionale della ragione. Presto i trastulli saranno sostituiti dalle teorie; ma intanto gli effluvi di questo fluido impalpabile, capace di dar fuoco all’etere, scaldano gli spiriti europei e forniscono al desiderio umano un nuovo corredo di forme. “Ora voi siete, signora, riempita di fuoco, un fuoco di prim’ordine, che non vi procurerà dolore fintanto che lo custodite in voi, ma che vi farà soffrire se solo lo comunicate ad altri”. Il desiderio sensuale suscitato dalla giovane donna si confonde con il fuoco interiore, latente e forse colpevole, che si rivela soltanto al momento del contatto con il pretendente, l’uomo che cerca di baciarla. Da una parte il desiderio viene assimilato alla potenza elettrica, dall’altra l’elettricità appare come una libido naturale che fa vibrare la materia e attende il suo pretendente – l’essere umano – per manifestarsi. Eppure, proprio come il desiderio, l’elettricità non è priva di pericoli, ma fa correre il brivido di una nuova intensità – quella del “fluido imponderabile”. Di questo fluido, in effetti, all’epoca non si conoscono né la natura né gli usi possibili. In queste prime manifestazioni della potenza elettrostatica, è ancora il corpo umano a servire da conduttore. È il fremito elettrico che lo attraversa a manifestare la potenza occulta attraverso la quale alcuni oggetti si respingono o si attraggono, scaldano, scintillano, producono una scarica mista di luce e di energia. Successivamente, negli esperimenti il corpo umano viene sostituito dal metallo. La carne, i muscoli e i nervi vengono messi al riparo dal misterioso influsso, che va a rifugiarsi nelle cose. Si costruiscono i primi generatori elettrostatici, le bottiglie di Leida e i cilindri a batteria.
Ma l’elettricità si è ormai insinuata nell’essere umano. Ha lasciato in lui una sorta di euforia che lo spirito moderno coltiverà. Scorrendo come sangue nelle vene della società, la luce elettrica ha serpeggiato fino alla scienza ottica dandole il potere di proiettare sugli schermi, al cinematografo, immagini favolose; ha diffranto l’immagine in mille frammenti di luce, l’ha decomposta e codificata in brevi impulsi trasmissibili a distanza, e propiziato la diffusione della televisione; ha investito la totalità dell’informazione, delle immagini, dei testi e dei suoni e si è messa al servizio dell’elettronica; ha acceso lampioni sulle strade delle grandi capitali e lampadine sopra i letti dei bambini che leggono fino a tarda notte; ha alimentato l’infaticabile motore del progresso e dello sviluppo; ha imposto la costruzione di dighe, generatori, centrali, pale eoliche; ha messo in movimento ogni cosa o quasi, a tal punto che l’uomo, senza nemmeno rendersene conto, è diventato il medium vivente di entità – cavi, telefoni, radio, pacemaker… – di cui a poco a poco ha dimenticato la natura elettrica. Eppure è sempre quell’ideale che lo anima, come se il Bacio di Lipsia, che sanciva l’alleanza moderna tra il desiderio e l’elettricità, non avesse mai cessato di consumarsi.
La promessa dell’Illuminismo elettrico
Tra le innumerevoli definizioni possibili della modernità, partiamo da questa, fondamentalmente la più semplice e concreta: la modernità è l’epoca dell’addomesticamento della corrente elettrica. Mentre attorno a questa nuova energia fioriscono gli studi, gli esperimenti al tempo stesso dotti e appariscenti, le spettacolarizzazioni incongrue, per quanto appassionate, delle sue potenziali applicazioni, l’epoca fa dell’elettricità la figura centrale di un’idea di modernità intesa come promessa magica fatta dalla ragione. Perché l’elettricità, prima ancora di essere l’umile servitrice dell’industrializzazione, come poi dell’elettronica e delle tecnologie dell’informazione, si è presentata all’Europa curiosa del Settecento sotto l’aspetto di una grande speranza, capace di emozionare le platee: non soltanto essa poteva trasformare ogni cosa, ma prometteva pure una conoscenza integrale della natura e dell’uomo, gettando sulle cose la sua nuova luce.
Lo riassume bene André Guillerme, a partire dagli studi di Daniel Roche: “L’elettricità è, nell’ultimo terzo del Settecento, più di una scienza popolare, più di una nuova scienza fisica o medica – è una vera e propria scienza sociale dei Lumi. Contemporaneamente meccanica, chimica, militare, biologica, psichica, farmacologica, filosofica, meteorologica, economica – non è forse nei nervi che Galvani ambisce a scoprire il motore dell’economia animale? –, e persino mineralogica nonché agronomica, essa attraversa tutti i campi del sapere e galvanizza lo spazio pubblico; propone una nuova immagine dell’uomo e svolge un ruolo di ‘rivelatore sensibile di tutte le trasformazioni’ che in quel momento sconvolgono la società occidentale”.
Il rivoluzionario francese Barbaroux dedica alcuni versi enfatici a questo “rivelatore”: “Tu fuoco sottile, anima del mondo, munifica elettricità / permei l’aria, la terra, il mare, il cielo e la sua immensità”. Un secolo dopo Raoul Dufy dipingerà la sua Fata elettricità, grandioso affresco che restituisce con colori vivaci il candore delle generazioni che hanno lodato la scoperta incredibile dell’elettricità, vedendo in essa l’energia motrice della modernità, capace di liberare gli esseri umani dall’ancestrale schiavitù dei lavori quotidiani (strofinare, lavare, scaldare, cuocere…), affinandone i sensi e potenziando l’energia naturale del corpo. Se l’epoca moderna, nel corso dei secoli, ha espresso un moto collettivo di entusiasmo che associava la fiducia nel progresso, la speranza di un’emancipazione definitiva dell’umanità, la fede nella tecnologia e la volontà di conoscere l’uomo e il mondo a partire da una manciata di principi verificabili, allora la fascinazione per l’elettricità è stata sicuramente il primo motore di questo entusiasmo. L’elettricità riconcilia teoria e pratica: nello stesso tempo agisce e spiega. In un trattato del 1786, il conte di Tressan descrive il fluido elettrico come un “agente universale” e, quattro anni dopo, Roucher-Deratte ne fa addirittura un principio vitale: il fluido elettrico animale, equivalente dell’anima dei metafisici ma empiricamente verificabile, sarebbe composto in parti uguali da elettricità e gas animale. Questo fluido determina la forza vitale e di conseguenza la libido: per esempio, uno dei personaggi del romanzo Illyrine di Madame de Morency non riesce a resistere alla “mano elettrica” del desiderio. L’impalpabile energia erotica prende così una forma fisica. Anche il principe di Ligne e il conte de Maistre ricorrono all’elettrizzazione per illustrare la disciplina militare e l’emulazione guerresca. André Chénier descrive l’entusiasmo di una platea parlando di “elettricità teatrale”. Il marchese de Sade, da parte sua, impiega il lessico elettrico per ridefinire le categorie della morale. Alla fine del Settecento, il dizionario dei neologismi dello Snetlage osserva che l’impiego dell’aggettivo “elettrico”, fino ad allora limitato ai corpi osservabili, era stato generalizzato per descrivere anche i moti e i sommovimenti dell’anima stessa. Per illustrarlo cita come esempio questa frase: “Il fuoco elettrico che arde i cuori di tutti i soldati della libertà”.
Come mostrato da Michel Delon nel suo L’idée d’énergie au tournant des Lumières (1988), l’attenzione rivolta al fenomeno elettrico permette di ripensare l’Illuminismo nel senso letterale del termine. L’Europa moderna è stata attraversata, proprio come gli spettatori della Venere elettrificata di Lipsia, da una scossa, un desiderio e una formidabile promessa d’illuminazione: le strade, le case, le fabbriche, ma anche i cuori e le coscienze venivano infiammati dall’energia dei temporali, un tempo proprietà esclusiva di Giove, dio del fulmine. L’essere umano avrebbe sottratto nuovamente il fuoco agli dei: questa volta, sotto forma di fluido elettrico.
Lo stesso fluido scorre nell’ambra, nella tempesta e nei nostri nervi
Sappiamo bene quanto la civiltà materiale deve all’elettricità, ma tendiamo a non riflettere abbastanza su ciò che l’elettricità ha fatto al pensiero e alla morale umani.
Il suo effetto più importante, non necessariamente il più visibile, sta nell’aver suggerito la possibilità di riunificare ciò che i nostri saperi avevano separato. La materia, la vita e il pensiero, in quanto similmente attraversati dalla corrente elettrica, potevano essere di nuovo concepiti come elementi di un medesimo spettro, e non come una successione di stati o di regni rigidamente distinti. Da molto tempo si sapeva che la natura inorganica è impregnata di elettricità, i cui sintomi visibili erano l’ambra e il fulmine; ma ora si scopriva che ogni corpo sensibile era nervoso, e che l’informazione riguardo alla sensibilità, al dolore e al piacere veniva comunicata nell’organismo attraverso la circolazione di questo stesso fluido sottile, l’elettricità, che scaturiva dallo strofinamento dell’ambra oppure si manifestava durante le tempeste. Sviluppando le scoperte di La Caze, l’articolo “Génération” dell’Encyclopédie esamina l’ipotesi che esista una “materia elettrica” nascosta, che opera nel seme maschile e nella matrice femminile. Sostiene Marat, nelle sue ricerche fisiche sull’elettricità, che questa energia elettrica è un “agente generale” della natura: è la forza che la percorre, la mette in movimento e si diffonde in tutto ciò che vibra, soffre e sente.
Vivere, insomma, significa essere elettrico.
Fin dagli anni ottanta del Settecento, Bertholon evoca l’idea di un’“elettricità animale” e di un’“elettricità umana”; ma è l’opuscolo di Luigi Galvani, De viribus electricitatis in motu musculari commentarius, pubblicato nel 1791, che diffonde in tutta l’Europa colta (fu un considerevole successo editoriale) l’ipotesi rivoluzionaria della natura elettrica delle cause del movimento muscolare e nervoso negli organismi animali. Galvani, usando delle rane come cavie, oppone la nuova elettricità alla vecchia ipotesi degli spiriti animali, generalmente ammessa ed enunciata in particolare da Haller e dagli halleristi, che studiavano all’epoca “l’irritabilità fisiologica”.
L’idea dell’elettricità come forza vitale non resisterà a lungo all’analisi. Pur convertito alle idee di Galvani, Alessandro Volta si chiede se la rana non sia semplicemente una specie di bottiglia di Leida e se non si possa aggiungere o sottrarre l’elettricità prodotta artificialmente con un condensatore a quella, muscolare e nervosa, dell’animale. I suoi esperimenti lo portano presto a opporre a Galvani la teoria del potere elettromotore dei metalli. La realizzazione della sua celebre pila, che apre la via a una nuova fonte di energia – ovvero l’energia chimica prodotta dal contatto tra i metalli – gli garantisce una solida credibilità: l’elettricità, secondo questa concezione, è un fenomeno del mondo inorganico, che effettivamente viene trasmesso al vivente, senza tuttavia essere un principio connaturato agli stessi organismi sensibili. L’elettricità non è l’essenza della vita ma un’energia condivisa dall’organico e dall’inorganico. Che è precisamente quello in cui crediamo oggi: di certo non la consideriamo come una forza vitale. E tuttavia, emendando le debolezze del mesmerismo esoterico, il galvanismo era comunque riuscito a imprimere nello spirito europeo una concezione fantasmatica, quella di un’elettricità biologica. Forse, si sperava, una nuova armonia tra vita e materia era possibile.
L’elettricità animale – o il magnetismo animale, insomma la scoperta della natura elettrica di ciò che percorre i nervi degli organismi provvisti di sensibilità su fino al cervello – come un cavallo di Troia ha introdotto l’intensità nella vita e nel pensiero. In quanto sensibile la vita è nervosa, e in quanto nervosa, è elettrica. Ugualmente nervoso è il pensiero, in quanto cerebrale, e dunque anch’esso elettrico. Presto si imparerà a rilevare i differenziali di potenza elettrica sulla superficie del cranio umano, e attraverso l’elettroencefalogramma si offrirà per la prima volta un accesso alla rappresentazione visiva dell’attività cerebrale.
La scoperta affascinata dell’elettricità non ha soltanto condizionato lo sviluppo moderno delle tecniche e dei modi di produzione e di riproduzione; ha anche trasformato il pensiero più astratto rivelandogli quanto ha in comune con la vita sensibile, e quanto la vita sensibile ha in comune con la materia inerte. “Elettricità” era il nome di questa corrente naturale – reale ma anche proiezione immaginifica – capace di spiegare contemporaneamente il magnetismo, la vita sensibile e il funzionamento concreto della mente, attraverso lo scorrere di un fluido o di un fuoco naturale.
Misurando la corrente
La corrente elettrica si è inizialmente manifestata all’immaginazione in forma di fluido occulto, parzialmente sottratto alla percezione dell’uomo: una sorta di torrente vivace, intangibile e invisibile, che scorre segretamente al cuore della materia e della vita, rivelando le sue qualità latenti, la sua forza e la sua potenza soltanto a patto di deviarne il corso, a nostro vantaggio, con dei dispositivi sperimentali – proprio come l’uomo primitivo aveva imparato a manipolare il flusso dell’acqua.
Per secoli lo scorrimento dell’acqua è servito come immagine per eccellenza del divenire; per secoli si è immaginato il corso delle cose come se fossero trascinate dalla corrente di un fiume: è il fiume di Eraclito (“Non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume”) ma anche quello di Lao Zi, sulla riva del quale il saggio vede galleggiare il cadavere del proprio nemico; è il fiume in piena della fortuna, secondo la metafora di Machiavelli, che può essere orientato con una diga ma che riesce sempre ad aggirarla, ed è ugualmente l’iconografia della cascata, opposta alla roccia impassibile, nella pittura cinese della dinastia Song.
Tra tutte le cose visibili su scala umana, l’acqua era l’elemento che meglio manifestava l’impermanenza, il passaggio e contemporaneamente la potenza del divenire. Questa potenza dipendeva dalla capacità dell’acqua di assumere tutte le forme, e vincere ogni resistenza con la sua fluidità.
Così, quando si dovette trovare un modo di rappresentare l’elettricità, della quale non si scorgeva altro che alcuni effetti spettacolari, l’immagine dell’acqua si è imposta da sé. L’elettricità è diventata una specie di acqua invisibile, annidata al cuore stesso della materia e per questo inizialmente definita appunto “fluido sottile”: un’acqua di fuoco insomma, che unisce le caratteristiche della prima (movimento e fluidità) con quelle del secondo (calore e luce) al fine di formare un’energia inedita. E poiché l’immagine dell’acqua che scorre aveva sempre portato con sé le rappresentazioni del divenire, del cambiamento perpetuo, la corrente elettrica ha ereditato per forza di cose questa connotazione ed è diventata, senza che ce ne rendessimo conto, un nuovo simbolo del divenire universale. Lo è diventata indirettamente, per via di una delle sue prime caratteristiche misurabili, paragonata a quella dell’acqua dei fiumi: l’intensità.
Sappiamo che fin dai primi anni d’interesse per il magnetismo fu la “scienza madre” dell’idrologia a servire come modello per la concezione e la misurazione dei fluidi imponderabili e dei semi-fluidi. L’elettricità era il flusso di qualche cosa che, sebbene invisibile, contrariamente all’acqua, si comportava in modo simile a quest’ultima. E allora ci si interrogava, come in idrologia, sulla conservazione dell’energia di questo flusso. Ci si interrogava anche sugli effetti di idiosincrasia, ovvero sulla conduzione e sulla resistenza al flusso, in funzione della natura dell’ambiente. Misurando con sempre più precisione la carica, la spinta, il consumo o il flusso, il potenziale, le polarità e la tensione di questa corrente, si è ancora conservata la metafora idraulica: quello che si è deciso di chiamare “intensità elettrica” non era nulla di granché diverso, all’apparenza, del flusso della corrente di un fiume. Proprio come il calcolo della distanza tra il punto più elevato e il punto più basso di un corso d’acqua, lungo un segmento di larghezza e profondità identiche, permette idealmente di calcolare la quantità di acqua che circola, similmente la differenza di carica tra le due estremità di un circuito permette di fare una stima della quantità di cariche positive o negative che circolano in un punto dato, in un tempo dato. Per convenzione, si sceglie di definire in questo modo il flusso di carica elettrica attraverso una superficie data, per esempio lungo la sezione di un filo elettrico: l’intensità della corrente, misurata in ampere, è uguale al differenzial...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Nota dell’editore
- Frontespizio
- Colophon
- Indice
- Introduzione
- 1. Un’immagine. Quello che l’elettricità fa al pensiero
- 2. Un’idea. Per confrontare una cosa con se stessa
- 3. Un concetto. “Bisognerebbe interpretare tutto sul piano dell’intensità”
- 4. Un ideale morale. L’uomo intenso
- 5. Un ideale etico. Vivere intensamente
- 6. Un concetto opposto. L’effetto di routine
- 7. Un’idea opposta. Nella tenaglia etica
- 8. Un’immagine opposta. Qualcosa che resiste
- Ringraziamenti