Racconti di Odessa
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Racconti di Odessa

e altri racconti

  1. 256 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Racconti di Odessa

e altri racconti

Informazioni su questo libro

Odessa, la "Marsiglia russa", ha i caratteri della leggenda sin dalle prime righe di qualsiasi racconto di Babel', che sia ambientato nell'avventuroso mondo della malavita o nella variopinta comunità ebraica. Ma l'eccezionalità dell'Odessa di Babel' non fa che riflettere l'eccezionalità di questa città fuori del comune: internazionale e universale fin dalla sua fondazione, crocevia di lingue, religioni e popoli, Odessa è uno spazio infinito, proiettato in una dimensione eterna. Tra i suoi vicoli e i mercati, le banchine e le sinagoghe, le case di malaffare e i ricchi palazzi è un susseguirsi di feste nuziali, commerci (quasi mai onesti) e tenerezze, ma anche pogrom, violenze e funerali: tutta l'inesausta varietà della vita che in questi racconti, ambientati tra la fine dell'Impero zarista e gli anni della Rivoluzione, lo scrittore restituisce con uno stile essenziale, conciso, che sa essere nello stesso tempo favoloso, tragico e ironico.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
Print ISBN
9788804764342
eBook ISBN
9788835718031

ALTRI RACCONTI SU ODESSA

Elia Isaakovič e Margarita Prokof’evna

Gerškovič lasciò il brigadiere con il cuore oppresso. Gli aveva notificato che, se non fosse partito da Orël con il primo treno, l’avrebbero allontanato sotto scorta.1 Andarsene significava perdere l’affare.
Con la sua cartella in mano, lento e magrolino Gerškovič camminava per una via buia. Un’alta figura di donna, ritta a un angolo della via, lo apostrofò:
«Ehi, bello, ci vieni con me?»
Gerškovič alzò la testa, guardò la donna attraverso i suoi occhiali luccicanti, ci pensò un po’ su, e poi rispose in tono discreto:
«Ci vengo.»
La donna lo prese sottobraccio. Svoltarono l’angolo.
«Dove si va? In albergo?»
«Devo restare con te tutta la notte» rispose Gerškovič, «andiamo a casa tua.»
«Ti costerà tre rubli, vecchio mio.»
«Due» disse Gerškovič.
«Non mi conviene, vecchio mio…»
Si accordarono per due e mezzo. Ripresero il cammino.
La stanza della prostituta era piccola, pulita, con le tende lacere e un lume rosa.
Una volta arrivati, la donna si tolse il cappotto, si sbottonò la camicetta… e gli strizzò l’occhio.
«Uh» fece lui con una smorfia, «che sciocchezze.»
«Sei di malumore, vecchio mio.» E si sedette sulle ginocchia di Gerškovič.
«Mica male» fece lui, «quanto pesi, cinque pud?»
«Quattro e trenta.»
Lei gli diede un lungo bacio sulla guancia brizzolata.
«Uh» fece di nuovo Gerškovič con una smorfia, «sono stanco, ho voglia di dormire.»
La prostituta si alzò. Il viso le si era fatto cattivo.
«Sei ebreo?»
Lui la guardò attraverso gli occhiali e rispose:
«No.»
«Vecchio mio» disse lentamente la prostituta, «questo ti costerà dieci rubli.»
Gerškovič si alzò e si avviò alla porta.
«Cinque» disse la donna.
Gerškovič tornò indietro.
«Preparami il letto» disse con voce stanca l’ebreo. Si tolse la giacca e si guardò intorno in cerca di un posto dove appenderla. «Come ti chiami?»
«Margarita.»
«Cambia le lenzuola, Margarita.»
Il letto era largo, con un morbido piumino.
Gerškovič cominciò lentamente a spogliarsi, si sfilò i calzini bianchi, si sgranchì le dita sudate dei piedi, chiuse la porta a chiave, nascose la chiave sotto il cuscino e si coricò. Margarita, sbadigliando, si sfilò lentamente il vestito, storcendo gli occhi si strizzò un foruncolo sulla spalla e cominciò a farsi una treccia ben poco folta per la notte.
«Come ti chiami, vecchio mio?»
«Eli. Elia Isaakovič.»
«Fai il commerciante?»
«I soliti nostri affarucci» rispose in tono vago Gerškovič.
Margarita spense il lume e si coricò…
«Mica male» disse Gerškovič. «Sei ben pasciuta.»
Ben presto si addormentarono.
Il mattino seguente la vivida luce del sole inondò la stanza. Gerškovič si svegliò, si vestì, andò alla finestra.
«Da noi c’è il mare, da voi i campi» disse. «Bello.»
«Di dove sei?» chiese Margarita.
«Di Odessa» rispose Gerškovič, «la prima città, una bella città.» E fece un sorriso furbesco.
«Sei di quelli che si trovano bene dappertutto» disse Margarita.
«Proprio così» rispose Gerškovič. «Sto bene ovunque c’è della gente.»
«Sei proprio uno stupido» fece Margarita, sollevandosi sul letto. «La gente è cattiva.»
«No» disse Gerškovič, «la gente è buona. Gli hanno insegnato a pensare che sono cattivi e loro se la sono bevuta.»
Margarita ci pensò un po’ su, poi sorrise.
«Sei un tipo curioso» mormorò lentamente e lo osservò con attenzione.
«Adesso voltati. Mi devo vestire.»
Poi fecero colazione, presero tè e ciambelle. Gerškovič insegnò a Margarita a imburrare il pane e a metterci sopra del salame in un certo modo speciale.
«Assaggialo, ma io intanto bisogna che me ne vada.»
Uscendo, Gerškovič disse:
«Fatemi tre rubli, Margarita. Credetemi, è un problema mettere insieme un copeco.»
Margarita sorrise.
«Avaraccio che non sei altro. Dammene tre. Vieni stasera?»
«Vengo.»
La sera Gerškovič portò la cena: un’aringa, una bottiglia di birra, del salame, delle mele. Margarita si era messa un abito scuro accollato. Mentre mangiavano si misero a chiacchierare.
«Cinquanta rubli al mese non bastano a niente» diceva Margarita. «Con il mestiere che faccio, se cerchi di risparmiare sui vestiti non ti guadagni neppure la minestra. La stanza mi costa quindici rubli, fa’ un po’ tu il conto…»
«Da noi, a Odessa» rispose Gerškovič, dopo averci pensato un po’ su, impegnato com’era a dividere l’aringa in parti uguali, «per dieci rubli alla Moldavanka avete una camera da re.»
«Tieni presente che ho sempre gente tra i piedi, nemmeno dagli ubriachi riesco a salvarmi…»
«Ognuno di noi ha i suoi guai» disse Gerškovič, e raccontò della sua famiglia, degli affari che andavano male, del figlio che era sotto le armi.
Margarita lo ascoltava con il capo appoggiato sul tavolo, e aveva il volto attento, tranquillo e pensieroso.
Finito di cenare Gerškovič, dopo essersi tolto la giacca e aver accuratamente pulito gli occhiali con un panno, si sedette al tavolino e, avvicinatosi la lampada, si mise a scrivere delle lettere commerciali. Margarita si lavava la testa.
Gerškovič scriveva senza fretta, con attenzione, sollevando le sopracciglia, fermandosi ogni tanto a riflettere e senza mai dimenticare di scuotere l’inchiostro di troppo, quando intingeva il pennino.
Quand’ebbe finito di scrivere, fece sedere Margarita sul copialettere.
«Davvero niente male, siete una signora di peso. Fatemi il piacere di sedervi qui sopra, Margarita Prokof’evna.»
Gerškovič sorrise, gli occhiali luccicavano e gli occhi gli si fecero scintillanti, piccoli, ridenti.
Il giorno dopo era di partenza. Mentre passeggiava lungo la banchina, qualche minuto prima della partenza del treno, Gerškovič scorse Margarita che veniva in fretta verso di lui con un cartoccio in mano. Nel cartoccio c’erano dei pasticcini salati che avevano macchiato di unto la carta.
Il volto di Margarita era rosso, pietoso, il petto le si sollevava per la corsa.
«Tanti saluti a Odessa» disse, «tanti saluti…»
«Grazie» rispose Gerškovič, prese i pasticcini salati, sollevò le sopracciglia, rifletté su qualcosa e incurvò le spalle.
Suonò la terza campana.2 I due si tesero la mano.
«Arrivederci, Margarita Prokof’evna.»
«Arrivederci, Elia Isaakovič.»
Gerškovič salì in vettura. Il treno si mosse.

Odessa

Odessa è una città molto brutta. Lo sanno tutti. Invece di «una grande differenza» a Odessa dicono «due grandi differenze», e dicono anche «verso di là e verso di qua».1 A me però sembra che si possa dire molto di buono di questa notevole città, la più incantevole dell’impero russo. Immaginate una città dove la vita è facile, dove la vita è serena. Metà della sua popolazione è costituita da ebrei, e gli ebrei sono un popolo che ha saputo imparare bene alcune cose molto semplici. Si sposano per non vivere soli, si amano per vivere nei secoli dei secoli, mettono via i soldi per avere una casa e regalare alle loro mogli giacche di astrakan, sono amanti della prole perché è una cosa molto buona e anche necessaria amare i propri figli. I poveri ebrei di Odessa hanno la vita difficile per colpa dei governatori e delle loro circolari, ma smuoverli dalla loro posizione non è facile, perché la occupano ormai da molto tempo. Non si riesce a smuoverli, ma da loro si possono imparare tante cose. In notevole misura è grazie ai loro sforzi che si è creata quell’atmosfera di serenità e leggerezza che avvolge Odessa.
L’odessita è l’esatto opposto del pietrogradese. È ormai un assioma che gli odessiti trovino da sistemarsi bene a Pietrogrado. Guadagnano i soldi. Poiché sono bruni di capelli, fanno innamorare le signore morbide e bionde. E in generale l’odessita a Pietrogrado tende a stabilirsi sulla prospettiva Kamennoostrovskij.2 Diranno che sa di barzelletta. Nossignore. Si tratta di cose che hanno radici ben più profonde. Il fatto è che questi uomini bruni portano con sé un po’ di sole e di leggerezza.
Oltre a questi gentiluomini che portano un po’ di sole e molte sardine in confezione originale, penso che dovrà arrivare, e presto, anche la fruttuosa, vivificante influenza del meridione russo, dell’Odessa russa, forse (qui sait?) l’unica città russa dove può nascere quel Maupassant russo di cui abbiamo tanto bisogno. Io scorgo perfino dei piccoli, piccolissimi serpentelli che preannunciano il futuro – le cantanti di Odessa (parlo di Isa Kremer),3 dotate di una voce non troppo possente, ma di una gioia che si esprime artisticamente in tutto il loro essere, e di una passione, di una levità, di un affascinante senso, a volte malinconico, a volte toccante della vita – buona, cattiva e straordinariamente, quand même et malgré tout, interessante.
Ho visto Utočkin,4 odessita pur sang, spensierato e profondo, impavido e riflessivo, elegante e con le braccia lunghe, brillante e balbuziente. Lo ha distrutto la cocaina o la morfina, lo ha distrutto, a quanto si dice, dopo che è precipitato con l’aeroplano nelle paludi del governatorato di Novgorod. Povero Utočkin, è impazzito, eppure per me è chiaro che verrà il giorno in cui il governatorato di Novgorod arriverà sulle sue gambe a Odessa.
Anzitutto in questa città ci sono semplicemente le condizioni materiali, ad esempio, per coltivare un talento à la Maupassant. D’estate negli stabilimenti balneari brillano al sole i fisici bronzei e muscolosi dei giovani che praticano sport, i corpi possenti dei pescatori che lo sport non lo praticano, i corpaccioni panciuti e bonari dei «commercianti», di sparuti e pustolosi sognatori, di inventori e sensali. E poco distante dal vasto mare fumano le ciminiere delle fabbriche e Karl Marx fa il suo solito lavoro.
A Odessa c’è un ghetto ebraico molto povero, popoloso e sofferente, una borghesia molto soddisfatta di sé e una Duma cittadina5 molto filo-centurie nere.6
A Odessa ci sono serate primaverili dolci e opprimenti, c’è l’acre profumo delle acacie e una luna piena di luce uniforme e irresistibile sul mare buio.
A Odessa, la sera, nelle loro ridicole villette da borghesucci, sotto un cielo nero e vellutato, grassi e ridicoli borghesi con i calzini bianchi se ne stanno stesi sui canapè a digerire l’abbondante cena… Dietro i cespugli le loro mogli incipriate, ingrassate nell’ozio e ingenuamente strizzate nei loro corsetti, si abbandonano all’abbraccio appassionato di focosi medici e giuristi.
A Odessa i cosiddetti «uomini d’aria»7 girano intorno ai caffè nella speranza di guadagnare un rublo per far mangiare la famiglia, ma non c’è modo di guadagnarselo, e poi perché mai si dovrebbe far guadagnare qualcosa a un uomo inutile, a un «uomo d’aria»?
A Odessa c’è il porto, e nel porto ci sono piroscafi provenienti da Newcastle, Cardiff, Marsiglia e Porto Said; ci sono negri, inglesi, francesi, americani. Odessa ha conosciuto tempi di splendore, ora conosce tempi di decadenza, una decadenza poetica, appena venata di noncuranza e molto indifesa.
«Ma Odessa» dirà alla fin fine il lettore «è una città come tutte le altre; è solo che voi siete eccessivamente parziale.»
È proprio vero, sono effettivamente parziale, e forse lo sono anche intenzionalmente, eppure, parole d’honneur, ha qualcosa. E questo qualcosa lo orecchierà un uomo vero, e dirà che la vita è triste, monotona – è tutto vero – ma tuttavia, quand même et malgré tout, è straordinariamente, straordinariamente interessante.
Da queste considerazioni su Odessa il mio pensiero si volge a cose più profonde. A pensarci bene, non appare forse evidente che nella letteratura russa non c’è ancora stata una descrizione del sole veramente gioiosa, limpida?
Turgenev ha cantato il mattino rugiadoso, la pace della notte. In Dostoevskij si può sentire il selciato ineguale e grigio calpestato da Karamazov che se ne va alla bettola, la nebbia greve e misteriosa di Pietroburgo. Quelle strade grigie e quella coltre di nebbia hanno soffocato gli uomini, e dopo averli soffocati li hanno storpiati in modo buffo e terribile, hanno generato il fumo e i miasmi delle passioni, hanno costretto gli uomini a dibattersi nel mondo così consueto dell’umana vanità. Ricordate forse un sole splendente e fecondo in Gogol’, un uomo che veniva dall’Ucraina? Se simili descrizioni si incontrano, sono episodiche. Ma non sono degli episodi Il naso, Il cappotto, Il ritratto e Le memorie di un pazzo. Pietroburgo ha trionfato sul governatorato di Poltava, Akakij Akakievič, timidamente, ma con spaventosa autorità, ha cancellato Gricko, e padre Matvej ha concluso l’opera iniziata da Taras.8 Il primo che ha parlato in un libro russo del sole, e che ne ha parlato entusiasticamente e appassionatamente, è stato Gor’kij. Ma, proprio per il fatto che ne parla entusiasticamente e appassionatamente, il suo sole non è ancora del tutto autentico.
Gor’kij è un antesignano, ed è il più forte ai nostri giorni. Ma non è un cantore del sole, bensì un araldo della verità: se c’è qualcosa che valga la pena di cantare, ebbene, sappiatelo, questo è il sole. Nell’amore di Gor’kij per il sole c’è qualcosa di cerebrale; soltanto grazie al suo immenso talento egli riesce a superare questo ostacolo.
Gor’kij ama il sole perché in Russia tutto è marcio e tortuoso, perché tanto a Nižnij quanto a Pskov e a Kazan’ gli uomini sono molli e pesanti, ora incomprensibili, ora toccanti, ora così smoda...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Racconti di Odessa. e altri racconti
  4. RACCONTI DI ODESSA
  5. ALTRI RACCONTI SU ODESSA
  6. Note
  7. Copyright