Skandar Smith fissava il poster appeso di fronte al letto. C’era già abbastanza luce per vedere le ali spiegate in pieno volo, l’armatura scintillante e argentata dell’unicorno che lasciava scoperti solo i selvaggi occhi rossi, l’enorme mascella e l’aguzzo corno grigio. Vortice di Ghiaccio era il suo preferito, sin dalla prima volta che si era qualificato per il Trofeo del Caos tre anni prima. Skandar ne era convinto: l’unicorno e la sua rider, Aspen McGrath, potevano vincere quel giorno.
Aveva ricevuto il poster tre mesi prima per il suo tredicesimo compleanno. L’aveva ammirato dalla vetrina della libreria, si era immaginato di essere davvero lì con Vortice di Ghiaccio, pronto a uscire dalla cornice del manifesto per gareggiare insieme. Aveva chiesto a suo padre di regalarglielo, ma poi si era sentito in colpa: la sua famiglia non aveva mai tanti soldi, e di solito evitava di avanzare pretese. Però lo aveva tanto desiderato e…
Giunse un baccano dalla cucina. Un qualsiasi altro giorno Skandar sarebbe saltato giù dal letto nel timore che un estraneo si fosse intrufolato in casa. Di solito erano lui o la sorella Kenna a preparare la colazione. Suo papà non era pigro, semplicemente la maggior parte delle volte non ce la faceva ad alzarsi, soprattutto se non aveva un lavoro ad aspettarlo, e da un bel po’ non ne trovava uno.
Quello però non era un giorno qualunque; era il giorno della grande sfida annuale. E per il padre di Skandar il Trofeo del Caos era meglio dei compleanni, meglio persino del Natale.
«La smetterai mai di fissare quello stupido poster?» mugugnò Kenna dal letto di fronte.
«Papà sta preparando la colazione» disse Skandar, sperando di tirarle su il morale.
«Non ho fame.» La ragazza si voltò verso il muro, i capelli castani che sbucavano da sotto il piumone. «E comunque, te lo sogni che oggi vincano Aspen e Vortice di Ghiaccio.»
«Credevo non t’interessasse.»
«Non m’interessa infatti, però…» Kenna si rigirò e lo fissò, gli occhi stretti alla luce del mattino. «Guarda le statistiche, Skar. Tra i venticinque in gara, Vortice di Ghiaccio ha un battito d’ali al minuto appena nella media. E poi c’è il problema del suo elemento affine, l’acqua.»
«Che problema?» Skandar ebbe un piccolo sussulto di felicità; poco importava se Kenna s’impuntava a dire che Aspen e Vortice di Ghiaccio non avrebbero vinto. Era passato così tanto dall’ultima volta che l’aveva sentita parlare di unicorni da aver quasi dimenticato il sapore delle loro discussioni. Da bambini trascorrevano un sacco di tempo a dibattere su quale sarebbe stato il loro elemento se fossero diventati rider. Kenna diceva sempre di voler essere un’incantatrice del fuoco, ma Skandar non sapeva mai decidersi.
«Hai scordato cosa ci hanno insegnato a Incubazione? Aspen e Vortice di Ghiaccio sono affini all’acqua, giusto? E tra i favoriti ci sono due incantatori dell’aria: Ema Templeton e Tom Nazari. Sappiamo entrambi che l’aria ha vantaggi sull’acqua!»
La sorella di Skandar era poggiata su un gomito, i capelli castani le incorniciavano il viso magro e pallido, ora acceso dalla discussione. Kenna aveva un anno in più, ma lei e il fratello si somigliavano talmente tanto che venivano spesso scambiati per gemelli.
«Vedrai» disse Skandar. «Aspen ha imparato dall’esperienza delle precedenti edizioni. Non userà soltanto l’acqua, è furba. L’anno scorso ha combinato gli elementi. Se fossi io il rider di Vortice di Ghiaccio scaglierei attacchi a base di fulmini e gorghi d’acqua…»
Kenna d’un tratto cambiò espressione. Gli occhi le si velarono di tristezza e il sorriso si spense. Si lasciò crollare sul letto e tornò a voltarsi verso il muro, stretta al piumone color corallo.
«Kenn, mi dispiace, non volevo…»
Da sotto la porta arrivava odore di bacon e toast. Skandar sentì lo stomaco brontolare.
«Kenna?»
«Lasciami stare, Skar.»
«Non guardi il Trofeo con me e papà?»
La sorella non gli rispose. Skandar si vestì nella penombra del mattino, un nodo alla gola di delusione e dispiacere. Non avrebbe dovuto dire: “Se fossi io il rider…”. Era una frase classica delle loro discussioni, prima che Kenna facesse l’esame di Incubazione, prima che tutti i suoi sogni si infrangessero.
Skandar entrò in cucina tra lo sfrigolio delle uova e le voci dei cronisti che già cominciavano a riferire le prime indiscrezioni sul Trofeo. Suo papà canticchiava, chino sulla padella, e lo accolse con un sorriso a trentadue denti. Skandar non ricordava l’ultima volta che l’aveva visto sorridere. Poi, notando che il figlio era solo, s’incupì. «Kenna non viene?»
«Dorme ancora» mentì lui per non guastargli l’umore.
«Quest’anno sarà dura per lei. La prima gara dopo…»
Skandar non aveva bisogno che completasse la frase. Era il primo Trofeo del Caos da quando Kenna era stata bocciata all’esame di Incubazione, perdendo la sua unica possibilità di diventare una rider di unicorni.
Il guaio era che il padre non li aveva mai preparati al peggio: superare l’esame non era poi così raro e complicato, a sentire lui. Amava alla follia gli unicorni e desiderava pazzamente che uno dei suoi figli diventasse rider. Era convinto che questo avrebbe risolto i problemi economici della famiglia, dato loro un futuro, riportato il buon umore… avrebbe persino posto fine ai giorni in cui non riusciva ad alzarsi dal letto. Dopotutto gli unicorni erano creature magiche.
Sin da quando Kenna era nata, aveva continuato a dire che la figlia avrebbe superato l’esame e sarebbe andata ad aprire la porta dell’Incubatore sull’Isola; che era destinata a un uovo di unicorno. Che avrebbe reso fiera sua mamma. E come se non bastasse Kenna era sempre stata la prima della classe al corso di Incubazione della Christchurch Secondary, fin dalla seconda media. Se c’era qualcuno cui spettava andare sull’Isola, dicevano gli insegnanti, quella era Kenna Smith. Ma poi era stata bocciata.
E adesso da mesi suo padre ripeteva la stessa cosa a lui: che era possibile, probabile, addirittura inevitabile che diventasse un rider. E pur sapendo quanto fosse difficile, pur avendo visto Kenna così delusa l’anno precedente, Skandar desiderava più di tutto che fosse vero.
«Quest’anno tocca a te, eh?» Gli scompigliò i capelli con la mano unta. «Guarda, il modo migliore per friggere il pane…» Suo papà dettava istruzioni e lui annuiva educatamente, fingendo di non sapere come si facesse. Ad altri ragazzi avrebbe dato fastidio, Skandar invece fu contento quando il padre gli batté il cinque per aver fatto il pane croccante al punto giusto.
Kenna non si presentò a tavola per colazione, ma il papà non sembrò badarci mentre con il figlio sbafava salsicce, bacon, uova, fagioli e pane fritto. Skandar aveva rinunciato a chiedersi dove avesse preso i soldi. Era il giorno della gara: era evidente che non voleva pensare a niente, e lo stesso valeva per lui. Almeno per quel giorno. Prese la maionese e la spruzzò su tutto quanto, accogliendo con un sorriso l’appagante splotch.
«Dunque, pensi ancora che Aspen McGrath e Vortice di Ghiaccio siano i favoriti?» domandò il padre masticando. «Non ci avevo pensato, ma se volevi invitare qualche amico per la gara non avrei avuto niente in contrario. Molti ragazzi si ritrovano a vederla, no? Non voglio che ti perdi quest’esperienza.»
Skandar abbassò gli occhi sul piatto. Da dove cominciare a spiegare che non aveva amici da invitare? E, cosa ancor peggiore, che la colpa era anche un po’ di suo papà?
Il problema era che per tener dietro al padre e al suo malessere, alla sua infelicità, Skandar si perdeva un sacco delle cose “normali” con le quali si coltivavano le amicizie. Non poteva mai restare al parco a perdere tempo con gli amici dopo la scuola; non aveva soldi per andare in sala giochi e non poteva mai svignarsela a sgranocchiare fish and chips alla spiaggia di Margate. Skandar aveva scoperto troppo tardi che era in quelle occasioni che si cementavano i rapporti, non nelle lezioni di letteratura o mangiando merendine schifose a ricreazione. E occuparsi del padre significava che Skandar spesso non aveva abiti puliti da indossare o non aveva il tempo di lavarsi i denti prima di andare a scuola. E gli altri intorno se ne accorgevano. Se ne accorgevano sempre, e non dimenticavano.
Kenna era riuscita a cavarsela un po’ meglio. Forse perché era più sicura di sé, supponeva Skandar. Quando lui cercava qualcosa di figo o di spiritoso da dire, il cervello gli si bloccava. Gli veniva in mente solo qualche minuto dopo, ma lì su due piedi di fronte a un compagno di classe in testa aveva soltanto uno strano ronzio, il vuoto assoluto. Kenna non aveva di questi problemi; una volta l’aveva sentita affrontare un gruppo di ragazze che bisbigliava su quanto fosse strano il loro padre. “Il papà è il mio, e sono affari miei” aveva dichiarato con tutta calma. “Attente a voi o ve ne pentirete.”
«Sono impegnati con le loro famiglie» borbottò infine, sentendosi arrossire, come gli succedeva sempre quando non diceva la verità. Suo padre non ci badò, preso com’era a sparecchiare, visione così insolita che Skandar batté le palpebre due volte per essere certo di non stare sognando.
«E Owen? È un tuo caro amico, no?»
Owen era il peggiore di tutti. Suo papà credeva che fosse un amico perché un giorno aveva visto centinaia di sue notifiche sul cellulare di Skandar. E il figlio non aveva perso tempo a spiegare che si trattava di messaggi tutt’altro che carini e gentili.
«Sì, Owen adora il Trofeo del Caos.» Skandar si alzò per dare una mano. «Lo guarda dai nonni però, abitano lontano.» Non era neppure una bugia, l’aveva sentito lamentarsene con la sua cricca. Poco prima di strappargli tre pagine dal libro di matematica, appallottolarle e buttargliele in faccia.
«KENNA!» gridò d’un tratto il padre. «Sta per cominciare!» Poi, visto che non giungeva risposta, andò dritto in cameretta mentre Skandar prendeva posto sul divano, il collegamento televisivo ormai nel pieno.
In quel momento un cronista stava intervistando un rider che aveva partecipato a edizioni precedenti del Trofeo. Erano nell’arena principale, proprio davanti alla sbarra di partenza. Skandar alzò il volume. «… e credi che oggi vedremo battaglie elementali agguerrite?» Il cronista era tutto rosso in viso e non faceva nulla per nascondere l’emozione.
«Senza dubbio, Tim» rispose il rider e annuì convinto. «I concorrenti hanno abilità molto diverse fra loro. Tanti insistono sulla forza di fuoco di Federico Jones e Sangue del Tramonto, ma che mi dici di Ema Templeton e Montagna della Paura? La rider e il suo unicorno sono affini all’aria, ma decisamente eclettici. Si tende a dimenticare che i migliori rider del Trofeo del Caos eccellono in tutti e quattro gli elementi, non solo in quello affine.»
I quattro elementi: l’argomento centrale dell’esame di Incubazione. Skandar aveva trascorso ore e ore a imparare quali unicorni e rider celebri fossero affini all’acqua, alla terra, al fuoco o all’aria, quali attacchi e difese tendessero a preferire nelle battaglie aeree. Si sentiva lo stomaco sottosopra, non riusciva a credere che mancassero solo due giorni all’esame.
Il padre ritornò, cupo in viso. «Viene tra poco» disse, mettendosi seduto accanto a Skandar sul vecchio divano malconcio.
«È difficile per voi ragazzi capire fino in fondo» sospirò, fissando lo schermo. «Tredici anni fa, quando la mia generazione ha assistito per prima al Trofeo del Caos, era già incredibile essere venuti a sapere dell’esistenza dell’Isola. Ero troppo grande per diventare un rider. Ma la gara, gli unicorni, gli elementi… era tutto magico per noi… per me, per tua mamma.»
Skandar rimase impalato: non osò staccare gli occhi dallo schermo mentre gli unicorni facevano ingresso nell’arena. Suo papà parlava della mamma solo in occasione del Trofeo del Caos. Dal suo settimo compleanno Skandar aveva imparato a non chiedere di lei in nessun’altra circostanza; la cosa irritava e intristiva suo padre al punto che finiva con il chiudersi per giorni in camera da letto.
«Non ho mai visto tua madre così emozionata come al primo Trofeo del Caos» proseguì intanto. «Stava seduta lì dove sei tu adesso, sorridente, commossa, e ti teneva fra le braccia. Avevi appena un paio di mesi.»
Skandar aveva già sentito quella storia, ma non era un problema: lui e Kenna non chiedevano di meglio che sentir parlare di mamma Rosemary. Capitava che la nonna paterna raccontasse qualcosa di lei, ma preferivano quando a farlo era lui, che l’aveva amata più di chiunque altro. E ogni volta che accadeva venivano fuori nuovi dettagli, per esempio il fatto che lei lo chiamava Bertie, mai Robert. O il fatto che la mamma amava cantare nella vasca da bagno, che i suoi fiori preferiti erano le viole del pensiero, o che il suo elemento preferito, nel primo e ultimo Trofeo del Caos cui avesse mai assistito, era l’acqua.
«Non lo dimenticherò mai» continuò il padre, fissando Skandar, «alla fine di quel primo Trofeo del Caos ti prese la manina, con un dito ti tracciò un disegnino sul palmo e mormorò piano, come una preghiera: “Ti prometto un unicorno, piccolo mio”.»
Skandar deglutì. Suo papà non gli aveva mai raccontato prima questo dettaglio. Forse l’aveva tenuto da parte per l’anno in cui a...