“Sei sicura che è quello che vuoi? Sei stata tu a deciderlo?”
Le parole di Ade mi raggiungono anche ora che sono chiusa nel buio della mia stanza. Ruggiscono nella mia testa, non se ne vanno. Il tono tagliente con cui sono state pronunciate mi ferisce ancora.
Mi tiene in pugno, ormai. La sicurezza che ostenta mi schiaccia a terra: io non sono forte come lui. Le mie lamentele sono i capricci di una ragazzina che non sa chi è né che cosa vuole, e si schiantano contro la sua fermezza andando in mille pezzi.
“Non puoi essere figlia per l’eternità.”
E moglie, allora? Regina degli Inferi? Chi è lui per decidere chi devo essere?
Afferro alcune vesti pulite riposte nella cesta accanto al letto. Le scaglio con tutte le mie forze addosso al grande specchio rotondo, che vacilla fino a rovesciarsi a terra. Si frantuma ai miei piedi, alcune schegge mi raggiungono.
La porta alle mie spalle si spalanca.
«Persefone!» È Tisifone, mi fissa con occhi sgranati.
«Che vuoi?» le urlo contro. Prendo un altro chitone dal mucchio e glielo tiro addosso. «Lasciami stare!»
Il volto rugoso di Tisifone si contrae in una smorfia infastidita. I solchi neri sulle guance si assottigliano, rendendola ancora più spaventosa. «Volevo solo assicurarmi…»
«Stavi origliando! Ade mi ha messo le guardie alla porta, adesso?»
Sbuffa, poi risponde stizzita: «Volevo solo assicurarmi che non ti fossi fatta male…».
Mi avvicino, le schegge di vetro pungono i miei piedi nudi, si conficcano nella carne. Le calpesto senza mostrare il minimo turbamento.
«Vattene, ora.» Alzo una mano verso di lei. L’Erinni arretra di scatto e dalla sua chioma schizzano alcuni serpenti, che spalancano le fauci minacciosi contro di me.
«Persefone, devi calmarti.»
«Non dirmi che cosa devo fare!» riprendo a gridare. «Perché dovete sempre dirmi tutti che cosa devo fare?»
Resto con i miei occhi nei suoi per dimostrarle che non temo il suo sguardo, anche se è profondo come l’abisso dal quale proviene.
I serpentelli rientrano nella fitta chioma canuta, e il suo viso si distende leggermente. Cerca di essere conciliante.
«Sarebbe meglio che ti calmassi… ma se vuoi continuare a urlare ti capisco. Sei stata umiliata da quell’uomo orribile.»
Sto per ribattere, ma le parole mi si spengono in gola. Ha appena definito Ade un uomo orribile? La guardo confusa.
Tisifone mi fa cenno di lasciarla entrare nella stanza. Non ho voglia di parlare, ma lei mi lancia un’occhiata complice, facendomi capire che sa più di quanto io non creda.
Mi scanso dalla porta e la lascio passare. Le schegge di vetro scrocchiano sotto i suoi piedi, il solo rumore mi dà i brividi. Lei nemmeno se ne accorge. Si appoggia sul mio letto e sospira. Si guarda intorno e prende ad attorcigliarsi al dito una ciocca di capelli già abbastanza ingarbugliata.
«Quell’uomo orribile… ti ha messo nei guai.»
«Stai parlando di…»
Alza le spalle e mi fissa. «Sisifo.»
Le mie guance prendono fuoco, le sento avvampare per la vergogna. Vorrei lasciare la stanza ora, rifugiarmi da qualche parte dove nessuno può vedermi.
«Come fai a saperlo…?»
L’Erinni si alza e comincia a raccogliere le vesti da terra. Le ripiega in silenzio, poi le dispone in una pila nella cesta.
«Tisifone, ti ho chiesto come fai a saperlo.»
«Voi giovani divinità siete stolte e presuntuose» sbotta lei. «Non avete coscienza del mondo che abitate, e vi muovete ignare delle conseguenze delle vostre azioni.»
«Io credo che…»
«No, Persefone. Siete come bambini che hanno in mano delle armi troppo potenti.» Fa una pausa, e finisce di sistemare gli ultimi vestiti. «Forse tu non sei consapevole del tuo potere, ma io sì. Sono molto più anziana di te.»
Ci risiamo. Anche lei ora mi dirà che sono una stupida. Sento la rabbia attraversarmi: è come un forte vento che si abbatte sui rami sottili delle betulle, fustigandoli al suo passaggio.
«Io conosco il mio potere.»
«Ti sbagli. Hai liberato quell’uomo senza avere la minima idea di ciò che stavi facendo.»
«Vuoi dirmi, una volta per tutte, come fai a saperlo?»
«Solo tu puoi avergli dato il permesso di abbandonare gli Inferi!» La sua voce è stridula. «Tu e Ade avete questo potere, nessun altro.»
«Curioso, no?» scoppio a ridere, le mani strette a pugno. Vorrei scagliarle su di lei, su tutto ciò che ho intorno. «Ho il potere di liberare gli altri, ma non me.»
Io non posso fuggire.
Vorrei urlare.
Tisifone mi viene incontro e chiude la porta alle mie spalle. Immobile, la lascio fare, stando ben attenta a non incrociare il suo sguardo.
«Ora, già che ci siamo, vorrei sapere che fine ha fatto il mio corno.»
Le sue parole sono uno schiaffo in pieno viso, l’ennesimo colpo alla mia autostima. Il colpo di grazia.
«Il tuo…»
«Il mio corno» mi sussurra all’orecchio. «Quello che conteneva il dòron che abbiamo dato a Tantalo…»
«Io…»
«Vedi?» tuona. Mi fa sobbalzare. «Voi giovani divinità pensate che non siamo alla vostra altezza.» Comincia a girarmi intorno velocemente, emettendo suoni profondi, cavernosi. I suoi piedi frantumano il vetro a terra. «Siamo povere divinità arcaiche, noi Erinni, dico bene? Non meritiamo il vostro rispetto!»
La sua voce sembra scaturire dalle profondità del Tartaro. Mi scuote. Stringo le braccia al petto per proteggermi.
«Pensavi di prendermi in giro, Persefone? Pensavi che non me ne sarei accorta?»
«Io… non l’ho rubato» sussurro, e chiudo gli occhi terrorizzata. «È rimasto nella mia veste, ma te l’avrei ridato…»
«Dimmi che cosa vuoi farci» mi ordina. Continua a girare vorticosamente intorno a me, come se volesse risucchiarmi in un gorgo profondo creato dal suono nero della sua voce. Perdo l’equilibrio, mentre tutta la rabbia che provavo fino a un attimo fa comincia a sciogliersi in un pianto che mi muore in gola.
Deve essere così che si sentono gli umani quando vengono perseguitati dalle Erinni. Percepisco l’oblio della pazzia, il punto di non ritorno che conduce alla caduta nel buio eterno.
«Volevo solo farli parlare!» La mia voce esce a fatica, soffocata dal nodo alla gola che quasi non mi fa respirare. Scoppio a piangere e crollo a terra. I vetri mi tagliano le ginocchia.
«Proprio come abbiamo fatto con Tantalo, io… volevo solo farli parlare!» ripeto implorante, tra i singhiozzi.
«Perché?» La voce di Tisifone rimbomba nelle mie orecchie, sembra voglia farle esplodere.
«Perché volevo sapere dov’è mia madre!» urlo, con le ultime forze che mi rimangono. «Volevo sapere come sta!»
Mi lascio cadere sul fianco, svuotata. Tisifone, sopra di me, si ferma. Un silenzio improvviso inghiotte la stanza.
«Lei sta soffrendo, ne sono sicura, e io…» prendo un respiro per riuscire a finire la frase, «io volevo solo sapere dov’è, se mi sta cercando.»
Resto ferma, con gli occhi chiusi, consapevole di aver toccato il fondo in tutti i sensi possibili.
Sisifo, Ade, e ora anche Tisifone. Una serie infinita di inganni, bugie e fallimenti che mi hanno trascinato ancora più giù di quanto già non fossi. E adesso non voglio fare altro che restare qui, sdraiata su questo pavimento. Immobile nel mio dolore.
«Volevo solo sapere se mamma…» sussurro. La mia voce è un filo sottile, e io sono esausta. Non ho più nemmeno la forza per piangere.
Tisifone mi aiuta a rialzarmi. Mi fa stendere sul letto, mi accarezza le guance per asciugarmi le lacrime. Sento il suo sguardo premuroso su di me, e per un attimo ho la sensazione che al suo posto ci sia mia madre, o una delle mie amiche. Mi passa la mano fra i capelli per calmarmi, in silenzio.
«Hai dei capelli molto belli…» sussurra dopo un po’.
«… a parte quelle ciocche ramate, le odio…» le rispondo a bassa voce.
«Sono bellissime, danno luce al tuo viso. I miei invece…» ridacchia.
Approfitto del suo tono disteso. «Mi punirete per aver rubato il corno?» le chiedo.
Tisifone smette di accarezzarmi e si tira su lentamente.
«No, Persefone. I tuoi intenti non erano malvagi.»
«Ho preso anche del dòron…»
«Immaginavo» risponde secca. «Ma non è questo il punto» aggiunge subito dopo.
Trovo finalmente il coraggio di guardarla. È assorta in una smorfia pensierosa e malinconica allo stesso tempo. Mi sorprende la velocità con cui riesce a cambiare modi e umore, così come la vasta gamma di ruoli che ricopre, tutti in contraddizione tra loro. Tortura gli uomini gettandoli per sempre negli antri più bui della loro follia, ma allo stesso tempo difende la giustizia vendicando crimini orribili. Ha un corpo da ragazza, sinuoso e ben proporzionato, ma il viso da vecchia, solcato da rughe profonde. È una divinità altera e rude, ma sa anche consolare con carezze dolcissime.
«Persefone, ormai sai bene qual è il compito di noi Erinni. Giustizia e famiglia sono i valori che abbiamo a cuore e che tuteliamo… a nostro modo.» Si passa una mano tra i capelli e li arruffa ancora di più. «Dopotutto» riprende, «ognuno ha il suo ruolo. Questo è il nostro.»
«Sì, lo so…» sussurro, senza capire dove voglia arrivare.
Resta incantata un istante a fissare il vuoto, poi si riscuote improvvisamente e mi chiede quale sia il mio, di ruolo.
«Io e mia madre vegliamo sulla natura, insieme a lei garantisco la fertilità dei campi e la ricchezza dei raccolti» le rispondo prontamente. «O almeno, questo era il mio compito sulla Terra. Qui sotto invece non ho ancora capito che cosa ci si aspetta da me.»
«Tu e tua madre siete due divinità complementari. Quasi, vi sovrapponete» riflette ad alta voce. «E tu sei stata portata via da lei. Stai soffrendo molto…»
Una sensazione di speranza comincia a farsi largo nel mio petto. «Terribilmente. Io e mia madre siamo unite da un legame fortissimo, non potremmo mai stare lontane l’una dall’altra.»
Tisifone annuisce. Poi cambia all’improvviso espressione, e comincia a scuotere la testa. Sembra contrariata. «Non posso intervenire nelle scelte di Ade, anche se non le condivido. Il tuo rapimento non mi riguarda, te l’ho già spiegato» ribadisce con tono assertivo. «Ma il tuo dolore di figlia non mi può essere indifferente.»
Sospiro. Intravedo una nuova possibilità che fino a questo mom...