Fuori dalla mischia
eBook - ePub

Fuori dalla mischia

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Fuori dalla mischia

Informazioni su questo libro

Forza, determinazione, durezza; ma anche lealtà, cooperazione, rispetto e controllo di sé: il rugby è lo sport per eccellenza. È cultura dello stare insieme, senso di squadra, sostegno, è accettare a testa alta e con serenità vittoria e sconfitte, e la vita di Maxime Mbandà, terza linea delle Zebre e della Nazionale, ne è un esempio concreto.
Cresciuto nel nostro paese da padre congolese e madre italiana, nonostante una famiglia unita, solide amicizie e i successi nella palla ovale Maxime ha avuto esperienza diretta di quanto sia difficile la strada dell'integrazione. Per questo ha deciso di scrivere un libro in forma di lettera a Leone, il figlio di un anno. Durante la prima ondata della pandemia di Covid, proprio mentre lui e Cristiana aspettavano Leone, Maxime ha prestato servizio volontario sulle ambulanze a Parma: 12-13 ore al giorno senza sosta a contatto con la sofferenza, per affrontare un'emergenza sanitaria inconcepibile prima del 2020. Mai avrebbe pensato che il Covid potesse colpire gravemente anche i suoi genitori, come è accaduto pochi mesi dopo, per fortuna con il lieto fine.
Fuori dalla mischia è un inno alla vita e all'amore, il testamento emotivo di un uomo orgoglioso delle proprie origini africane tanto quanto di indossare la maglia azzurra. Una storia personale e familiare raccontata da padre a figlio, e a tutti noi, nella convinzione che dietro ai valori dello sport può nascondersi la speranza di un mondo migliore. Solidarietà, inclusione, uguaglianza non sono principi astratti, ma una meta per la quale tutti dobbiamo lottare, con la forza della responsabilità, facendo squadra, pronti a schivare i placcaggi dell'odio e dell'indifferenza.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Fuori dalla mischia di Maxime Mbandà, Michele Dalai in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

1

Scrivere oggi ciò che dovrai sapere domani

Una stella, ecco cosa sei. Proprio come la parola finale del gioco che da pochi giorni abbiamo iniziato a fare. Un gioco dove al termine della famosa cantilena “Un, due, tre…” quando poi viene pronunciata la parola “stella” i giocatori devono rimanere immobili se non vogliono essere eliminati.
Tu hai poco più di un anno e ovviamente vai controcorrente agitandoti come un forsennato. Ridi buffamente, mentre io mi pietrifico per seguire le regole del gioco. Un blocco simile a quello che mi genera l’incanto che provo quando mi risveglio nel cuore della notte e tu dormi accanto a me, e io ti guardo con il cuore grondante d’amore.
Ancora non mi sembra vero, mi hai completamente rimbambito. In questo momento ti sei appena mosso come un sonnambulo, ti sei tirato su, hai gattonato fino al fondo del letto che abbiamo blindato con delle sponde per la tua incolumità, tua mamma ti ha ripreso e guidato verso la testata, dove ti sei ributtato giù tra le braccia di Morfeo, come se stessi sul trampolino di una piscina. Il tuo profilo mi ricorda la tua vena materna, ma poi mi vengono in mente le scene felici del giorno prima, dove come un appuntamento quotidiano non può mai mancare l’esplosione luminosa di quel tuo sorriso a otto denti e quelle fossette, identiche a quelle di tua nonna paterna, con il naso e quelle labbra carnose tipiche della tua discendenza africana da nonno Luwa. Passerei i giorni a osservare ogni tuo piccolo movimento, ogni tua espressione, per provare a immaginare cosa stai provando e cosa stai pensando, così dolce, minuscolo e indifeso.
Benvenuto Leone. Tikala malamu, direbbero a Kinshasa.
Da oggi la nostra famiglia ha un nuovo protagonista. Allo scopo di rispettare entrambe le tue culture di origine il tuo nome è stato un compromesso. Oltre a questo nome/simbolo che spero con tutto il cuore potrà rispecchiare il tuo carattere nella vita, ne hai altri. Per celebrare l’Africa che è in te, ti chiami anche Mata, che nella lingua delle nostre origini congolesi, il lingala, significa “primogenito”. Io stesso mi chiamo così, essendo il primo figlio di mio padre. Tua nonna acconsentì che il suo compagno onorasse questa tradizione e io ho chiesto a tua madre di fare lo stesso. Infine ti chiami anche Enrico, perché abbiamo voluto ricordare il tuo bisnonno materno che salvò tua madre quando ebbe delle complicazioni alla nascita.
Da quando ci sei tu la mia vita è cambiata completamente, e da figlio sono diventato padre. E poiché ho un milione di cose da dirti, prima ancora di sapere se vorrai ascoltarmi, e prima ancora di scoprire se ciò che ho dentro, la mia esperienza, potrà avere valore anche nella tua vita, voglio raccontarti tutto di me e della nostra famiglia, affinché tu, in ogni momento del futuro, possa ricordarti chi sei e da dove vieni. Un testamento emotivo, da fissare in questo momento indimenticabile della mia vita, che considero rinnovata da una nuova alba.
Questo voglio regalarti, perché nessuna delle emozioni che provo stringendoti rischi di andare perduta. Anche se sono ancora un uomo giovane, devo dire che ho fatto esperienze molto intense, specie negli ultimi mesi, fino alla tua nascita. Esperienze che mi hanno messo a tu per tu con molti degli “assoluti” della vita, come la morte, la malattia, l’amore, la paternità. Ecco perché ho deciso di dedicarti questo scritto.
Sono cresciuto in una famiglia multiculturale, che fin da subito, per affermare il proprio diritto di esistere e di celebrare i sentimenti che l’avevano creata, ha dovuto lottare moltissimo, sia in Italia, la nostra nazione di linea materna, dove viviamo e siamo nati, sia in Congo, la nostra terra d’origine di linea paterna, dove un giorno ti porterò affinché tu conosca tutto di te, di noi, a partire dalla storia dura e straordinaria di quella terra lontana, per molti secoli affranta dal colonialismo e dalla dittatura. Voglio parlarti di multiculturalismo, e dell’enorme potenziale creativo e conoscitivo che ogni varietà porta con sé. Voglio parlarti di come l’ho vissuto durante la mia adolescenza a Milano, nel quartiere di via Padova che un tempo era considerato il più malfamato, anche se sta a due passi dal centro. Lì vivevano le famiglie di immigrati con i loro figli, cinesi, salvadoregni, egiziani, sudamericani, marocchini, molti dei quali sono diventati miei amici per la vita, mostrandomi i loro mondi, la forza dell’amicizia, la vita che scorre nelle difficoltà economiche e sociali, ma anche… perché no, come si fa a imparare dai propri errori.
Ecco, gli errori. Non dovrai mai aver paura di commetterne, perché è inevitabile, ma la vera lezione che ti arricchirà giorno dopo giorno, sarà imparare a riconoscerli. Io ho provato a farlo, grazie agli insegnamenti dei tuoi nonni, che mi hanno inculcato il valore dell’etica e offerto una scala di valori. Mi hanno spiegato che i valori etici e la profondità del proprio animo contano di più dei valori materiali e delle apparenze, e mi hanno insegnato a combattere contro il razzismo, che a volte andrebbe chiamato semplicemente ignoranza. Perché sì, il razzismo esiste – te ne accorgerai – e si può combattere solo a colpi di cultura.
Il rugby ne è la prova. È cultura dello stare insieme, è senso di squadra, è sostegno, è accettare a testa alta e con serenità vittoria e sconfitte. È una parte importante della mia vita ed è la mia professione, mi fa sentire realizzato e forte. È un orgoglio rappresentare la mia nazione nei grandi tornei internazionali, come i Mondiali o il Sei Nazioni, e io ne ho vissuti tanti. Il rugby mi fa provare emozioni incredibili che in queste pagine proverò a descriverti, come quando con la maglia azzurra dell’Italia ho affrontato i fantastici All Blacks neozelandesi assistendo alla mitica Haka, o come quando siamo andati vicini a battere squadre dalla forza poderosa come il Galles o l’Inghilterra nell’immenso stadio di Twickenham, a Londra.
Il rugby per me è stato anche grande crescita personale. Per i momenti belli, certo, ma anche per quelli brutti, come gli infortuni. Ma non voglio cancellare niente, perché anche le difficoltà, e la forza con cui si affrontano e si superano, sono importanti per forgiarci e far vedere chi siamo.
E poi sì, è naturale, non vedo l’ora di giocare insieme a te… anche se poi penso che per farlo dovrai prima crescere e non voglio che tu cresca troppo in fretta. Voglio godermi la tua infanzia e dividerla con Cristiana, tua madre, che mi ha insegnato tanto e mi è stata vicina nei momenti difficili, quelli dell’infortunio. Ti racconterò come ci siamo innamorati e cosa sei stato per noi sin dal primo istante. Lei, i miei genitori, e ora tu, figlio mio, siete le colonne portanti del mio mondo emotivo. Un mondo che è ricco di amore e bellezza.
Grazie a voi mi sento fortunato. Anche se negli ultimi anni sono capitate anche cose brutte, come i tumori di mia madre e il Covid-19 in forma grave che ha colpito entrambi i tuoi nonni, insieme siamo sempre riusciti a superare tutto con la forza d’animo e un po’ di fortuna. Ecco perché, a pandemia inoltrata, ho deciso di fare il volontario nella Croce Gialla e aiutare chi ne aveva bisogno. Un’esperienza per me profondissima che tengo a raccontarti. Mi sembrava giusto restituire al mondo un po’ dell’amore che ho, che ho avuto, che tutti voi mi date. È stata un’esperienza straordinaria che spero di riuscire a esprimerti con tutta la sincerità di cui sono capace, perché mi ha davvero cambiato la vita.
Nel rugby il mio ruolo è la terza linea, nel pieno del pacchetto di mischia. In ogni partita sono coinvolto in decine di mischie, ordinate e non. Ma crescendo, man mano che sono maturato e diventato adulto, più sicuro di me e responsabile, ho provato sempre più a condurre una vita “fuori dalla mischia”. Che non significa necessariamente controcorrente, o chissà cos’altro. Significa fedele a ciò che sono, senza conformarmi alle cose del mondo che reputo sbagliate.
Ecco allora un consiglio che sento di poterti dare, senza alcuna remora. Mi auguro che tu possa vivere la vita senza tradire ciò che sei. Perché quella che leggerai è la mia storia, e proverò a raccontarla nei dettagli, non tralasciando nulla di ciò che sono, nel bene e nel male.
Spero che quando potrai leggerla, ti renderà fiero di me.
2

Una famiglia speciale

Leone mio, sei nato in una famiglia speciale.
In noi coesistono culture diverse, e mondi lontani. Per metà le nostre radici affondano nella terra assolata del Sud Italia. Mia madre, cioè tua nonna, è nata a Pannarano, in provincia di Benevento. Mio padre, cioè tuo nonno, viene dalla Repubblica Democratica del Congo, l’Africa più autentica e piena di contraddizioni.
Perché siamo speciali? Perché quando due culture diverse s’incontrano e danno vita a una nuova famiglia si crea un enorme potenziale di bellezza, un grande serbatoio di conoscenza e sensibilità di cui bisogna saper approfittare. È come se due mezzelune lontane che rappresentano ognuna l’universo spirituale dei propri genitori s’incastrassero alla perfezione per formare una luna completa, e più luminosa.
Io sono quella fusione. Sono il frutto biologico e culturale della loro unione magica, come tu lo sei dell’unione magica tra me e tua madre. Un accadimento meraviglioso. Il valore più profondo della vita.
Già il fatto che due persone nate a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, con vite e ambienti totalmente differenti finiscano per incontrarsi in un momento preciso, in un luogo preciso, in un giorno preciso della storia del mondo per puro caso, e finiscano addirittura per innamorarsi, mi sembra un fatto miracoloso.
Un po’ come vincere mille lotterie consecutivamente. Con i tuoi nonni quante probabilità c’erano?
Mio padre è il quinto figlio di una famiglia numerosa, altri nove fratelli e un padre pescatore che li ha sempre mantenuti tutti. Si chiama Luwa e ha sempre amato alla follia lo studio, tanto che a 19 anni è stato tra i pochissimi giovani del suo paese in grado di vincere una borsa di studio per proseguire la facoltà di medicina all’estero. Poteva scegliere tra Italia, Francia, Belgio, Germania e Olanda, e scelse l’Italia, dove è arrivato nel 1975, vivendo prima a Bari, poi a Roma. Qualche anno prima del suo arrivo nella capitale, a Roma arrivò anche mia madre, che si chiama Luisa, e che da Pannarano si trasferì con la famiglia, per seguire il suo istinto.
Si conobbero a una conferenza sull’Africa al teatro Manzoni. Fu un caso, perché mia madre non voleva neanche andarci a quella conferenza. Poi una volta che il destino li aveva portati lì alla stessa ora dello stesso giorno, mio padre le si avvicinò e nacque tra loro una simpatia speciale.
La loro storia d’amore è sempre stata tutt’altro che semplice.
Il fatto che mio padre fosse africano non andava giù ai genitori di mia madre, e in particolare a mio nonno Ugo. Per molto tempo il loro rapporto fu tenuto segreto: lo zio Filippo, suo fratello, e la moglie Eutilia aiutarono mia madre a tenere in piedi una vera e propria relazione clandestina. La mentalità di Pannarano non era apertissima – per usare un eufemismo – e il nonno, che oggi ha quasi 98 anni, veniva da un’altra epoca, un’epoca nella quale vigono regole ancestrali e indiscutibili che non possono mai essere messe in discussione, né tantomeno sovvertite. A Pannarano si doveva fare come dice il proverbio: mogli e buoi dei paesi tuoi!
Anche quando mia madre seguì liberamente i suoi sentimenti, mettendo i nonni di fronte al fatto compiuto, la loro relazione non fu mai accettata a pieno, tanto che per moltissimo tempo mio nonno materno si è rifiutato di conoscermi. Era il suo modo per punire la figlia, per infliggerle una sofferenza di pari entità a quella che secondo lui aveva ricevuto.
Tuttavia non è stata soltanto la famiglia di mio padre a giudicare male quella relazione. La paura iniziale dei miei nonni africani fu quella che mio padre, mettendosi con una donna europea, si lasciasse condizionare e dimenticasse addirittura le sue origini. Quando avevo appena compiuto tre anni, nel 1996, mio padre organizzò il mio primo viaggio in Congo per far sì che i nonni e gli zii potessero conoscermi. A quei tempi l’utilizzo dei cellulari, soprattutto per comunicazioni tra l’Europa e l’Africa, non era così facile e, per strane congiunzioni astrali, mio nonno Camillo il giorno prima del mio arrivo si mosse in direzione di Makanza (conosciuta anche col nome di Nuova Anversa), il suo villaggio natio che ancora oggi è fuori dalla rete stradale Nazionale e si può raggiungere soltanto in barca. Doveva tornare lì per continuare la sua impresa da pescatore e mandare avanti la famiglia numerosa. Mio padre ci restò male, in primis perché sperava che suo padre, del quale ha avuto sempre una stima enorme, mi conoscesse, ma anche perché avrebbe voluto fargli capire personalmente che lui non avrebbe mai abbandonato la famiglia. Anche perché da quando si era trasferito in Italia e aveva cominciato ad affermarsi come medico, aveva sempre inviato molti aiuti economici a casa, tanto che uno dei ricordi più nitidi della mia infanzia sono le ore in fila ai Money Transfer.
Purtroppo quell’incontro non avvenne mai. Quando mio padre organizzò il mio secondo viaggio avevo cinque anni, e fu per il funerale di mio nonno.
Eppure, nonostante gli aiuti economici, e nonostante il supporto che lui non aveva mai fatto mancare ai suoi familiari, il mio arrivo inizialmente non fu accettato. Ma per fortuna il tempo è galantuomo. Con il passare degli anni la reticenza è finita, la situazione si è normalizzata e ora tutti mi vogliono bene. Però è stata dura. Io stesso da bambino ci riflettevo di frequente… Perché quella rigidità, quella chiusura, quel rifiuto aprioristico? Ci soffrivo ma non lo chiamavo razzismo, perché il problema non era tanto il colore della pelle. Io la chiamavo, e la chiamo tuttora, ignoranza o superficialità. Per me era solo pigrizia mentale. Era più facile restare fermi nelle proprie convinzioni secolari e pensare che due mondi lontani, due culture diverse, dovessero per forza scontrarsi senza poter convivere. Era più facile nascondermi ed evitare di dare spiegazioni alla propria cerchia sociale, sperando di non essere oggetto di pettegolezzi o commenti cattivi. Era più facile rifiutare di concedere affetto a una creatura del tutto innocente come me e considerarmi la pecora nera, piuttosto che mettersi in gioco e scoprire che ero un bambino a cui si poteva voler bene serenamente. Ecco. Se tra le mie due famiglie di origine c’erano sicuramente delle diversità, be’, c’era anche un grande punto in comune: la chiusura verso ciò che non era socialmente codificato e la scarsa propensione alla comprensione, all’amore libero e ai gesti di affetto, come i baci e gli abbracci.
Nonostante queste difficoltà iniziali, o forse proprio grazie al fatto che la lontananza fredda dei familiari ha finito per cementare la loro unione, i miei genitori vantano oggi un bel vissuto condiviso. Stanno insieme da trent’anni, e hanno in comune il senso di libertà con cui affrontano la vita, l’indipendenza, la capacità di andare controcorrente, senza preoccuparsi troppo di quello che dice la gente. Ma al tempo stesso per loro vale anche la legge degli opposti che si attraggono, perché sotto certi aspetti sono molto diversi. Uno tra tutti? La politica. Mia madre è una donna di sinistra convinta, che non ha mai permesso a nessuno di metterle i piedi in testa e ha sempre voluto lo stesso per i propri colleghi. Testimonianza di questo è una vecchia videocassetta che ormai purtroppo non trovo più: custodiva un servizio del Tg2 del 1994 sulla manifestazione pacifica di alcuni lavoratori sotto la sede della CGIL. Prima immagine? Era l’inquadratura di un passeggino, e in quel passeggino ero adagiato proprio io, ignaro di quello che mi stava succedendo attorno. Mia madre pur di non mancare aveva portato anche me!
Mio padre invece in passato è stato un berlusconiano altrettanto convinto. Non ti dico le discussioni davanti a Porta a Porta! Io in quei momenti, quando loro cominciavano a discutere, scappavo via da Ciccio, Mathias o Samir, amici di una vita che conoscerai presto.
I tuoi nonni, uno di fianco all’altro, formano l’articolo “IL”.
Se tutti per semplicità mi chiamano Max, incredibilmente mia madre è l’unica che mi abbia sempre e solo chiamato Maxime per intero. È alta un metro e cinquantotto centimetri, ha un sorriso smagliante sempre pronto ad aprirsi al prossimo. Ebbene sì, quel sorriso l’ho preso da lei. È minuta, ma ha una forza interiore incredibile, e lo ha dimostrato affrontando ciò che nella vita di un essere umano è la minaccia più grande: la malattia. Nel 2001, quando avevo appena compiuto otto anni, le è stato diagnosticato il primo tumore al seno. Fu costretta a subire una mastectomia, e si è rifiutata di ricostruire la zona amputata. In quel periodo non ha mai perso il buon umore, neanche quando, qualche anno dopo, la minaccia della malattia tornò ancora più violenta. Quando stavo per compiere sedici anni, un giorno, mio padre venne da me e mi prese in disparte, dicendomi che mi doveva parlare. Io lo conoscevo bene, sapevo che quella ritrosia un po’ cerimoniosa a entrare nell’argomento e fare giri di parol...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione. di Michele Dalai
  4. 1. Scrivere oggi ciò che dovrai sapere domani
  5. 2. Una famiglia speciale
  6. 3. L’infanzia che ho vissuto tra Roma e Milano
  7. 4. L’infanzia che vorrei per te
  8. 5. Le nostre origini: il Congo
  9. 6. Crescere con i valori dello sport (e del rugby)
  10. 7. Il razzismo è orribile
  11. 8. La mia nuova famiglia
  12. 9. Tra la gravidanza e il Coronavirus
  13. 10. L’emozione dell’amore in tutte le sue forme
  14. 11. La Nazionale, il Calvisano e le Zebre
  15. 12. Il mondo che vorrei per te
  16. Tutto ciò che non ti ho detto sul rugby e lo sport che non puoi ancora chiedermi…
  17. Ringraziamenti speciali
  18. Inserto fotografico
  19. Copyright