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Hitler, fronte interno
La vita nella Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale
- 131 pagine
- Italian
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Hitler, fronte interno
La vita nella Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale
Informazioni su questo libro
Spaziando dai drammatici eventi che hanno interessato il fronte orientale alle più semplici difficoltà domestiche affrontate dalle donne di casa costrette ad arrangiarsi con cibi sintetici e surrogati, "Hitler, fronte interno" costituisce un interessante ed esaustivo resoconto anno per anno della vita durante la II Guerra Mondiale in Germania, ricco di aneddoti relativi a cittadini comuni che, per quanto possibile, tentavano di trovare un briciolo di normalità durante un'emergenza senza precedenti. Questo libro è stato scritto grazie a preziose risorse che hanno permesso all'autore di ricostruire piccoli e grandi eventi: razionamenti, crimini, restrizioni, bombardamenti e malcontento generale della popolazione sono tra i principali argomenti trattati. I giornali ufficiali dell'epoca come "Das Reich", "Völkischer Beobachter" e "Der Angriff" mostrano come i cittadini siano stati informati, non sempre in maniera veritiera, dei successi e fallimenti della propria Nazione durante il periodo bellico. Anche stralci di quotidiani e periodici tedeschi, insieme a relazioni delle forze dell'ordine, diari dei cittadini e dei gerarchi stessi, discorsi, lettere inedite, trasmissioni del "Deutsche Wochenschau" e testimonianze dirette sono di fondamentale importanza per la costruzione di un'immagine dell'epoca nazista.
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CAPITOLO 1 - 1939


Lore Walb, una studentessa di Alzey, a sud ovest di Magonza, ricorda il primo settembre 1939 come il giorno “in cui la Germania ha preso la decisione più giusta”. Lore non si dimenticherà mai di quando, seduta al tavolo della cucina, ascoltava alla radio la voce di un inviato che raccontava ciò che accadeva sul confine polacco. La ragazza, all’epoca ventiquattrenne, bionda e con gli occhi azzurri come il cielo, si stava concentrando su ogni parola della trasmissione radiofonica, mentre le truppe di Hitler superavano la frontiera. “La Polonia è colpevole” aveva scritto Lore sul suo diario. “Proprio come lo scorso anno sotto i cechi, i tedeschi in Polonia stanno soffrendo per mano del regime del terrore polacco.” Lore considerava i polacchi responsabili degli attacchi contro la Germania la cui popolazione, stando alle pubblicazioni dei giornali nazisti, avrebbe subito angherie, torture, maltrattamenti e omicidi.
Ogni giorno, tramite il sistema di informazione, sentiamo parlare degli atti spregevoli commessi dai polacchi. Al confine, le sofferenze di quei poveretti [i tedeschi] aumentano sempre di più.[1]
Dopo un’attenta riflessione, Lore era giunta alla conclusione che, l’invasione contro la Polonia, fosse in realtà una nobile lotta. La ragazza non era l’unica a pensare che la Germania rappresentasse la parte offesa, anzi, si diffuse sempre più l’idea che i tedeschi avessero attaccato i polacchi per difendersi a seguito di un attacco ai danni di un inviato tedesco a Gliwice. In realtà, la verità era un’altra: le truppe delle SS avevano indossato delle uniformi polacche per inscenare l’intero incidente.
Prima della fine della giornata, sia la Francia che la Gran Bretagna chiesero che le truppe tedesche fossero ritirate dal territorio polacco entro quarantotto ore ma, un ormai imperturbabile Hitler che si crogiolava nel successo da poco ottenuto, decise di ignorare l’ultimatum inconsapevole della piega che gli eventi avrebbero preso nel giro di pochissimo tempo.
Tramite la moltitudine di notizie pubblicata sui giornali, una nuovissima parola entrò a far parte del vocabolario della gente: “Blitzkrieg”, un neologismo utilizzato per identificare un nuovo regime del terrore. Raggiunta la massima potenza dal punto di vista bellico, senza ostacoli in vista, le truppe della Germania rasero al suolo le campagne polacche, distruggendo qualsiasi cosa tentasse di intralciare il loro cammino. Il susseguirsi degli eventi fu rapido e inaspettato, come se le lancette dell’orologio avessero, tutt’a un tratto, cominciato a scorrere in maniera eccessivamente veloce.
Nonostante Hitler fosse alto un metro e settantacinque, agli occhi di Lore appariva come un gigante. La ragazza non era la sola ad avere questa impressione: molti affermavano infatti di percepire una particolare sensazione di fronte al Führer. Hitler era cordiale, modesto, un ottimo ascoltatore e, le donne in particolare, lo trovavano affascinante, tanto che il capo dell’Air Force Hermann Göring lo aveva dipinto come “il tedesco più grandioso di tutti i tempi” in occasione del suo cinquantesimo compleanno. Durante lo stesso periodo, il ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels, ordinò persino che fossero appesi stendardi su lampioni, grondaie, tetti, cavi telefonici, campanili, balconate e ingressi degli alberghi in onore di Hitler. Anche il ministero Manciukuò a Berlino offrì il proprio contributo, citando un passaggio del Confucio: “Quando un uomo ha quarant’anni, smette di fare errori, quando ne ha cinquanta, sente la voce del paradiso.” Il partito nazista, per l’occasione, non badò a spese, presentando ad Hitler una collezione di ben cinquanta lettere antiche scritte per mano del re di Prussia: Federico il grande. W.A. Gibson Martin, un giornalista automobilistico, si trovava a Berlino all’epoca della celebrazione del compleanno di Hitler, un evento decisamente fuori dagli schemi:
...persino la circolazione in auto in alcune strade era stata vietata, io sono riuscito ad aggirare il corteo militare svolgendo il lavoro per cui ero stato assunto e, facendo il giornalista, non ho avuto difficoltà a farmi strada tra la processione che si estendeva per svariati chilometri. La strada principale, la Unter den Linden, e le vie secondarie, erano rimaste chiuse al traffico per più di sei ore. Ho anche avuto modo di visitare svariati luoghi, sia a nord che a sud della processione, diretta verso ovest. Nonostante fossero passate diverse ore, una volta tornato all’Adlon Hotel riuscivo ancora vedere il corteo per le strade di Berlino!
Dopo Adolf Hitler, nessun altro personaggio tedesco avrebbe avuto la possibilità di godere di un simile onore.[2]
La situazione della Polonia peggiorò precipitosamente. Sabato, ventiquattro ore dopo l’invasione, Hitler stava controllando dei rapporti militari, passandogli in rassegna rapidamente. I documenti, scritti a caratteri piuttosto grandi in modo da permettere al Führer, con discreti problemi di vista, di comprenderne pienamente il contenuto, raccontavano dettagliatamente di come, quasi tutti gli aeroporti polacchi e i relativi aerei da guerra, fossero stati distrutti. La notizia fu talmente piacevole per il Führer che decise di recarsi al fronte personalmente, in prima linea. Domenica 3 settembre, una soleggiata giornata autunnale, alle 12:15 la situazione cambiò drasticamente quando, il primo ministro inglese Neville Chamberlain, rinnovò la propria promessa di sostenere la Polonia.
Questa mattina, l’ambasciata inglese a Berlino ha presentato al governo tedesco un ultimatum stabilendo che, se entro le undici del mattino le truppe tedesche in Polonia non si fossero ritirate, la Gran Bretagna avrebbe dichiarato guerra alla Germania. Dal momento che nessuna notizia è stata ricevuta, posso dire con certezza che, questo Paese, si trova ufficialmente in guerra con la Germania.
Berlino aveva già dovuto assistere ad un esodo di massa dei turisti inglesi durante l’estate. Il 25 agosto, le autorità del consolato britannico avevano avuto il compito di far allontanare dalla Germania i residenti provenienti dalla Gran Bretagna. La nota seguente, firmata dall’ambasciatore Neville Henderson, venne affissa sui cancelli dell’ambasciata inglese in territorio tedesco lungo la Wilhelmstraβe:
Dati gli ultimi contrasti tra il governo di Sua Maestà e il governo tedesco, vi consiglio vivamente di spostare la vostra residenza da questo Paese ad un altro. Sarete personalmente responsabili di qualsiasi vostra decisione.
All’epoca, le compagnie Shell, British-American Tobacco, Guardian Assurance, Oceanic Steam Navigation, Dunlop, Cunard White Star, Kodak, Columbia Gramophone, British Metal Corporation, Anglo-Persian Oil e Anglo-Argentine Cold Storage, erano solo alcune tra le svariate attività commerciali che, durante la guerra, erano state costrette a trasferire la propria sede lontano dalla Germania. Gli ultimi giornalisti britannici, invece, fecero appena in tempo a dirigersi verso Copenaghen durante la fine di agosto.
Fino a quel momento, Hitler era riuscito ad evitare lo scoppio di un conflitto ancora più grave grazie ad una combinazione di fortuna e diplomazia. Quella domenica mattina, mentre Chamberlain forniva alcune istruzioni, un insegnante di cinquantatré anni di Neunhaus, Ludwig Sager, stava ascoltando la radio, rendendosi conto che gli eventi avrebbero presto preso una brutta piega. Per dieci minuti rimase ad ascoltare la radio con lo sguardo perso nel vuoto, senza riuscire a metabolizzare la situazione. Una volta terminata la trasmissione radiofonica, Ludwig si mise gli occhiali e intinse la penna nel calamaio. “Le persone sono calme.” Scrisse. “Le madri sono preoccupate per le condizioni dei propri figli al fronte.” Quel giorno, più tardi, l’insegnante notò qualcosa che disturbava la tipica quiete di un giorno qualunque: alcuni operai stavano adibendo una cantina a rifugio antiaereo. Durante lo stesso periodo, un giornalista americano affermò di “non aver percepito né rancore né entusiasmo” tra la popolazione locale. Non vi furono manifestazioni all’esterno delle ambasciate della Gran Bretagna e della Francia, e “le sentinelle appostate in quella zona non ebbero granché da fare”, a differenza della Prima Guerra Mondiale in cui le rivolte erano praticamente all’ordine del giorno. Una tale reazione da parte dei cittadini, secondo i nazisti, rifletteva perfettamente “la maturità spirituale” acquisita durante il governo nazional-socialista.
I tedeschi erano perfettamente consci della gravità della guerra e dei sacrifici atroci che questa avrebbe comportato. Questo spiega come i cittadini della Germania, con compostezza e dignità, siano riusciti a sopportare i soprusi inflitti al proprio Paese.[3]
A Berlino, il giorno in cui venne dichiarata guerra, non fu certamente caratterizzato da un clima sereno, specialmente quando, intorno alle sette di sera, le sirene aeree iniziarono a fischiare. In città fu imposto il coprifuoco e vennero installati degli enormi fari in tutte le zone ma, quella notte, i poliziotti in sella alle proprie biciclette si misero a fischiare e ad urlare invitando la gente a ripararsi.[4] L’allora adolescente Inge Deutschkron era convinta che l’allarme fosse stato lanciato per abituare la gente alla “modalità guerra”.[5] Pochi minuti dopo il suono di una sirena, Inge scese nel rifugio antiaereo sotto il proprio appartamento per la prima volta e, oggi, ricorda l’esperienza come devastante:
Le persone erano sedute ai propri posti, ascoltavano in silenzio e, talvolta, intrattenevano conversazioni riguardo la situazione in cui si trovavano.
All’esterno l’atmosfera era inquietantemente tranquilla. Il direttore dei raid aerei, nella sua divisa grigia nuova di zecca, controllava la lista dei residenti dall’alto del ruolo che ora ricopriva. (...) A noi ebrei venne ordinato di spostarci in un angolo del seminterrato dove restammo seduti, non osavamo guardare i nostri compagni “ariani”. Quando il “segnale di cessato allarme” venne ufficializzato, seguirono circa trenta minuti di completo silenzio, mentre noi aspettavamo “rispettosamente” che gli “ariani” lasciassero la stanza.[6]
Nessuna bomba venne sganciata dal cielo, quella notte. Tornata all’aperto, Inge scrutò la buia Berlino dove “i rispettosi delle leggi lanciavano minacce verso gli appartamenti da cui filtravano raggi di luce.”
Centinaia di locali berlinesi non portavano pià alcun segno distintivo, nessuna luce al neon o insgena. Il meraviglioso bicchiere di vino che contraddistingueva il Deinhard piuttosto che il Sarotti-Mohrchen non esistavano pi, che scena! La luna e le stelle erano le sole a dominare la notte. Invece, il Gedächtniskirche, lo sgraziato simbolo della Berlino Ovest, in quei giorni appariva persino bello illuminato dalla luce lunare.
Un turista nei paraggi passò la notte girovagando per Alexanderplatz, comparandola ad una “città dispersa in fondo al mare”. Per i lavoratori, il rispetto del coprifuoco era diventato un vero e proprio incubo. Un custode di un ufficio tributi di Berlino, più precisamente nel sobborgo di Wilmersdorf, era esausto solo all’idea di dover chiudere da solo ben novantacinque finestre ogni singola sera, rituale che ben presto sarebbe diventato per lui simbolo di quella particolare epoca.
Il mattino seguente la dichiarazione di guerra, la reazione del popolo venne testimoniata dalle notizie pubblicate sul Völkischer Beobachter, ossia il principale organo di informazione del partito nazista. All’argomento vennero dedicate le prime pagine del giornale precisando che, il Führer, non fosse il colpevole dello scoppio della guerra mentre, l’Inghilterra, venne descritta come “disturbatrice della quiete senza scrupoli”. L’intera stampa tedesca dedicò quindi gran parte delle testate giornalistiche alla proclamazione di innocenza del governo di Hitler. Il Diplomatische Korrespondenz, di proprietà del ministero degli esteri tedesco, dichiarò che “agli occhi della popolazione tedesca, l’aggressore è la Gran Bretagna. La Gran Bretagna ha messo le cose in chiaro,” e ancora: “ha precisato di non essere coinvolta nei problemi dell’est, né di Danzica né della Polonia, ha invece l’obiettivo di distruggere qualsiasi cosa abbia contribuito a rendere di nuovo grande la Germania.”
A partire dai giorni successivi, le menti dei cittadini tedeschi vennero letteralmente plasmate e indirizzate verso un’unica grande “macchina militare ed economica”. I ministeri e gli altri dipartimenti emanarono direttive e regolamenti a raffica, tra cui il Decreto dell’economia di guerra che eliminava ogni bonus salariale, pagamento per lavoro straordinario o diritto ai giorni festivi.[7]
Come se non fosse abbastanza, la popolazione venne preparata psicologicamente alla possibile introduzione di ulteriori tasse che avrebbero raggiunto, molto probabilmente, un valore totale di ventiquattro miliardi di marchi entro l’anno successivo.[8] I costi sostenuti per la guerra superarono ogni previsione e, sia al settore pubblico che a quello privato, venne imposto di ridurre le spese al minimo indispensabile. Fritz Reinhardt, il sottosegretario dello stato del ministero delle finanze, pubblicò proposte di tassazione mai viste in precedenza. L’uomo stabilì che, l’imposta sul reddito, dovesse essere incrementata del 50% mentre, le tasse addizionali su alcolici, birre, tabacco e altri beni secondari, sarebbero state modificate in un secondo momento.
Vennero inoltre tagliati i fondi destinati al finanziamento di progetti sociali e culturali, l’uso dell’automobile fu proibito e, persino gli pneumatici acquistati da soggetti privati, furono dichiarati di proprietà dello stato. Furono inoltre ideati dei permessi speciali per l’acquisto di carburante. Anche la libertà dei ristoratori fu limitata dal momento che, il lunedì e il venerdì, furono istituiti i cosiddetti “giorni di magro”, in cui non era possibile consumare pietanze a base di carne. Un cliente di un importante hotel di Berlino si lamentò del menù del giorno, in cui erano presenti solamente zuppa, riso e cavolfiori, con una fetta di torta come dolce, nonostante i prezzi fossero decisamente esorbitanti.
Il pubblico venne sommerso da ogni genere di informazione. Solo due giorni dopo la dichiarazione di guerra fu emanato un decreto contro i “nemici pubblici”, altrimenti detti “pesti nazionali”, riferito agli individui che approfittavano del clima di guerra per saccheggiare, appiccare incendi dolosi e condurre comportamenti antisociali. Nello specifico, il decreto permetteva ai giudici di imputare con maggior facilità le pene più gravi, inclusa quella di morte destinata a chi commetteva crimini efferati, senza considerare minimamente pene intermedie probabilmente più adatte alle circostanze.[9] Un altro decreto simile fu emesso lo stesso giorno: “Chiunque usi armi da fuoco, coltelli, spade o oggetti egualmente contundenti con lo scopo di violentare, rubare sia in strada che in banca, o di commettere qualsiasi altro atto di violenza, anche minacciando un’altra persona con le suddette armi, verrà punito con la pena di morte.” La stessa legge prometteva protezione alle vittime dei crimini.
Nonostante la massa di notizie, combinata con la carenza di cibo e le nuove imposizioni, un giornalista americano residente a Berlino notò come i tedeschi conducessero la propria vita quasi normalmente. “Le opere, i teatri e i cinema sono aperti e gremiti di gente.”
Nonostante il trambusto, gli agenti della polizia segreta della Gestapo continuarono a lavorare a pieno regime. Il 13 settembre centinaia di ebrei con radici polacche vennero individuati, trascinati fuori dalle proprie case di Berlino e caricati su treni d...
Indice dei contenuti
- Titolo Pagina
- Copyright Pagina
- Hitler: fronte interno | La vita nella Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale
- INDICE
- RINGRAZIAMENTI
- INTRODUZIONE
- CAPITOLO 1 - 1939
- CAPITOLO 2 - 1940
- CAPITOLO 3 - 1941
- CAPITOLO 4 - 1942
- CAPITOLO 5 - 1943
- CAPITOLO 6 - 1944
- CAPITOLO 7 - 1945
- CAPITOLO 8 - DOPOGUERRA

