Catturiamo la fiamma
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Catturiamo la fiamma

  1. 504 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Catturiamo la fiamma

Informazioni su questo libro

Zafira è il Cacciatore: vestita da uomo, si procaccia il cibo perché la sua gente non muoia di fame nella foresta maledetta dell'Arz. Nasir è il Principe della Morte, incaricato di uccidere chiunque sia tanto folle da sfidare suo padre, il dispotico sultano. Se qualcuno scoprisse che Zafira è una ragazza, tutto ciò che ha guadagnato andrebbe perduto; se Nasir dovesse dimostrare compassione, suo padre lo punirebbe nel modo più feroce. Entrambi sono leggende nel regno di Arawiya. Loro malgrado.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
Print ISBN
9788804747659
eBook ISBN
9788835718062

CAPITOLO 1

LA GENTE CONTINUAVA A VIVERE PERCHÉ LEI UCCIDEVA. E se ciò comportava sfidare l’Arz, dove persino il sole non si arrischiava a gettare i suoi raggi, che così fosse.
Quando le cose andavano bene, Zafira bint Iskandar si sentiva coraggiosa più del sole. La maggior parte dei giorni, però, non vedeva l’ora di lasciarsi alle spalle l’Arz perennemente immerso nel buio e trovarsi sana e salva sulle piatte distese del suo califfato, con la neve e tutto il resto, dèma.
Ed era proprio uno di quei giorni, nonostante le corna del cervo che aveva appena abbattuto le stessero scorticando le mani. Si liberò dalle grinfie di quella maledetta foresta, fingendo di sospirare solo per la soddisfazione di aver fatto ciò che aveva in programma, anziché per la paura che in quel momento le dilagava nel cuore, dopo essere stata tenuta lungamente a bada. Il sole del mattino l’accolse baciandola sulle guance.
“Mèrhaba anche a te, codardo.”
La luce del giorno era sempre fioca nel califfato di Demenhur. Nemmeno il sole sapeva cosa fare con quella neve che avrebbe dovuto essere sabbia.
Per un istante, il bianco mare che si stendeva liscio e immacolato davanti ai suoi occhi fu un balsamo per la sua solitudine, anche se si sentiva le dita dei piedi intirizzite e l’aria frizzante le pizzicava il naso. Perché in un califfato in cui una donna rischiava sempre di vedere le proprie azioni ritorte contro di sé non c’era nulla di facile nel fingersi un uomo. Non quando si avevano curve femminili, e di una donna anche la voce e il portamento.
Trascinò la carcassa del cervo lasciandosi dietro una scia di vapore e un’inquietante traccia rossa nella neve. L’aria era carica di attesa. Una sensazione d’immobilità tra la terra e gli alberi che stormivano al vento.
“Non è niente.” Le sue ossessioni si ripresentavano sempre nei momenti meno opportuni. E lei era un miscuglio di emozioni per via delle nozze imminenti, ecco tutto.
Dal palo marcio dove l’aveva legato, Sukkar la salutò con un nitrito. Il suo mantello quasi candido si confondeva con la neve. Mentre si affrettava a legare la carcassa del cervo alla sella dello stallone, lui rimase immobile, dolce come il nome che lei gli aveva dato.
«Abbiamo fatto una buona caccia» disse al cavallo, che pure non aveva collaborato per niente, e gli montò in groppa con un balzo.
Sukkar non reagì, limitandosi a fissare in lontananza l’Arz, come se un ‘ifrìt potesse saltarne fuori per inghiottirlo in un boccone.
«Vigliacco» gli disse Zafira con un sorriso sulle labbra intorpidite.
Non c’era nessuno, però, che non si mostrasse un vigliacco al cospetto della foresta. Ognuno dei cinque califfati che componevano Arawiya temeva l’Arz, l’immensa distesa frondosa che cingeva quelle terre. Una maledizione gravava su di loro da quando il regno era stato derubato della magia.
Bàba aveva insegnato a Zafira che l’Arz, sotto tanti aspetti, era solo un bosco. Le aveva spiegato come servirsene a proprio vantaggio. Le aveva fatto credere di essere in grado di domarlo, quando in realtà era impossibile. Nessuno ne sarebbe stato capace.
E la sua morte l’aveva dimostrato.
Zafira allontanò Sukkar dalla foresta e lo condusse in direzione della radura e dell’entroterra di Demenhur. L’Arz, però, esigeva immancabilmente un ultimo sguardo. E lei si fermò a darglielo.
La foresta la stava fissando. Respirava. Gli alberi scheletrici immersi nell’ombra protendevano verso di lei le loro dita contorte.
Si diceva che l’Arz divorasse le persone come facevano gli avvoltoi con i cadaveri. Eppure Zafira ci tornava, giorno dopo giorno, caccia dopo caccia. Ogni volta che ci si avventurava era consapevole che avrebbe potuto essere l’ultima e, anche se giurava di non averne paura, il rischio di perdersi laggiù la terrorizzava più di qualunque altra cosa.
Ciò malgrado, sentiva dentro sé qualcosa che pareva gioire nell’addentrarsi fra le tenebre. Odiava l’Arz. Lo odiava al punto da bramarlo.
«Akh! Hai avuto tutto il giorno per guardare l’Arz, dèma» disse a Sukkar con la voce tremante. «Dobbiamo tornare per il matrimonio, altrimenti Yasmine ci staccherà la testa.»
Non sembrava che a Sukkar importasse. Zafira lo fece avanzare con uno schiocco della lingua. La tensione abbandonò i muscoli del cavallo a mano a mano che si allontanavano dalla foresta.
Finché un’altra presenza non gravò nell’aria.
Zafira si guardò alle spalle e le venne la pelle d’oca. L’Arz rispose al suo sguardo come se trattenesse il fiato. No, chiunque fosse era lì, a Demenhur, e sapeva imitare il silenzio quasi quanto lei.
“Quasi.”
Se c’era una cosa che temeva più di perdersi nell’Arz era lasciarsi sorprendere da qualcuno che la smascherasse, dimostrando che non era un cacciatore ma una cacciatrice, una diciassettenne che si camuffava sotto il cappuccio del mantello del padre ogni volta che andava a caccia. E a quel punto l’avrebbero emarginata e avrebbero irriso le sue vittorie. Avrebbero fatto a brandelli la sua identità. Quel pensiero le ghermì il cuore, e il suo tump tump accelerò.
Girò il cavallo verso l’Arz, vincendo la sua esitazione, mentre il vento portava l’eco di un comando indecifrabile.
«Yalla.» Con voce tesa lo spronò ad avanzare.
Sukkar scosse la criniera e si avviò al piccolo galoppo senza protestare. Si avvicinarono alla foresta e il buio si fece ancora più fitto. Che strano: al primo segno di pericolo mortale, Zafira fuggiva verso l’ignoto.
Il freddo le addentò il volto. Un lampo nero a destra, un altro a sinistra. “Cavalli.” Si morse il labbro e con uno scarto spinse Sukkar tra loro, abbassandosi quando qualcosa le sfiorò la testa.
«Qif!» gridò qualcuno, ma quale idiota si sarebbe fermato?
Sukkar. Il cavallo s’immobilizzò al limitare dell’Arz e Zafira sobbalzò in sella, ricordandosi tutt’a un tratto che non l’aveva mai portato così vicino alla foresta prima di allora. La puzza di legno marcio le aggredì i sensi indeboliti dal freddo.
«Laa. Laa. Non adesso, vigliacco» sibilò.
Sukkar scattò con la testa, ma non cedette. Zafira gettò uno sguardo nel buio della foresta quieta, e le tremò il respiro. L’Arz non era un posto cui voltare le spalle; non era un posto dove farsi cogliere alla sprovvista e…
Imprecò e costrinse Sukkar a cambiare direzione, incurante delle sue proteste.
Il vento freddo e violento lanciava il suo ululato. Lei si sentiva sul collo il feroce respiro dell’Arz. A un certo punto, però, vide i due cavalli sbuffare a pochi passi da lei, il mantello scuro come il cielo notturno e il corpo possente avvolto in cotte di maglia. Cavalli da guerra.
C’era solo un luogo dove potevano essere stati allevati: il vicino califfato di Sarasin.
O forse Rocca del Sultano. Difficile dirlo, dato che di recente il sultano di Arawiya aveva ucciso a sangue freddo il califfo di Sarasin, impadronendosi con l’inganno di terre ed eserciti di cui non aveva bisogno, non con Arawiya pacificata sotto la sua guida e gli uomini della sua guardia del corpo pronti a obbedirgli. I califfi dovevano servire a mantenere l’equilibrio dell’assetto politico. Non ci si aspettava che il sultano li levasse di mezzo.
In groppa ai cavalli c’erano due uomini dalle braccia nude e muscolose, i volti affilati. Avevano la pelle del colore di chi vive a lungo sotto il sole, il flusso e il riflusso del deserto che Zafira desiderava.
«Yalla, Cacciatore» disse il più grosso dei due. Come se lei fosse una bestia da condurre al pascolo, pensò Zafira mentre le cadeva lo sguardo sulla scimitarra che impugnava.
Se ancora aveva dei dubbi sulla loro origine, il timbro della voce bastò a dissiparli. Le si chiuse la gola. Avere alle calcagna dei demenhune ficcanaso era una cosa, subire l’attacco dei sarasin un’altra.
Chinò la testa in modo che il cappuccio le scivolasse ancora di più sul volto. Lei sfidava le tenebre per uccidere cervi e conigli. Non si era mai trovata davanti a una lama.
A dispetto del loro atteggiamento minaccioso, però, gli uomini rimasero fermi dov’erano. Persino loro temevano l’Arz. Zafira sollevò il mento.
«E perché?» chiese strascicando la voce nel tentativo di sovrastare il sibilo improvviso del vento. Aveva persone da nutrire e una sposa bella come la luna da salutare. “Perché io?”
«Ordini del sultano» rispose il più basso dei due.
“Il sultano? Spiriti del cielo!” Quell’uomo mozzava dita con la facilità con cui si faceva tagliare i capelli. La gente diceva che un tempo era stato di animo buono, anche se Zafira stentava a crederlo. Era sarasin di nascita, e i sarasin, così le era sempre stato detto, non avevano in cuore neppure un grammo di bontà.
Una nuova ondata di panico le infiammò il petto, ma tenne la voce bassa. «Se il sultano desidera vedermi dovrebbe inviarmi una missiva, non dei cani da caccia. Non sono un criminale.»
Quando si sentì paragonare a un cane, l’uomo più basso aprì la bocca, ma l’altro sollevò la lama e si avvicinò. «Non è una richiesta.» Si fermò, come rendendosi conto che la sua paura dell’Arz non gli avrebbe permesso di avanzare oltre, poi ripeté: «Yalla. Muoviti».
“No.” Doveva esserci una via d’uscita. Zafira strinse le labbra. Certo. Un’altra cosa per cui i sarasin erano famosi, a parte la crudeltà, era l’orgoglio.
Cercò di tranquillizzare Sukkar mormorandogli paroline dolci. Intimidito dagli uomini o forse dai possenti cavalli da guerra, il suo leale destriero indietreggiò. Non si era mai avvicinato tanto all’Arz, e Zafira stava per torturarlo costringendolo ad avanzare. Rivolse agli uomini un sorriso obliquo, con le labbra screpolate e probabilmente blu per il freddo. «Venite a prendermi.»
«Non puoi scappare da nessuna parte.»
«Dimentichi, sarasin, che l’Arz è la mia seconda casa.»
Accarezzò la criniera di Sukkar, si fece forza e lo spinse verso le tenebre.
Che la inghiottirono completamente.
Provò, provò con tutta se stessa a ignorare l’entusiasmo con cui l’accoglievano tra sussurri di eccitazione. Il tumulto con cui rispondeva il suo sangue. La brama nelle sue vene.
Gli alberi scuri incombevano minacciosi, con i bordi delle foglie luccicanti nel buio. In lontananza udì galoppare i cavalli e le grida dei sarasin che si lanciavano all’inseguimento. Le piante rampicanti scricchiolavano sotto gli zoccoli di Sukkar mentre lo sguardo di Zafira si perdeva quasi del tutto nel buio.
Per fortuna Sukkar, per quanto ansimante, rimase tranquillo mentre Zafira drizzava le orecchie, il cuore che le sobbalzava in petto. Nonostante la paura che la foresta incuteva loro, gli uomini, spinti dai pericolosi morsi dell’orgoglio, si erano gettati sulle tracce del fuggitivo.
Lei, però, non sentì nulla all’infuori del silenzio, come accade subito dopo aver sguainato una spada. La quiete che seguiva il primo soffio di tempesta.
Se n’erano andati.
Per una volta fu grata all’Arz per il misterioso prodigio che aveva fatto sparire i cavalieri. I due sarasin potevano essere a leghe di distanza senza che né lei né loro lo sapessero. Così era la...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. CATTURIAMO LA FIAMMA
  4. Atto I. La mezzaluna d’argento
  5. Capitolo 1
  6. Capitolo 2
  7. Capitolo 3
  8. Capitolo 4
  9. Capitolo 5
  10. Capitolo 6
  11. Capitolo 7
  12. Capitolo 8
  13. Capitolo 9
  14. Capitolo 10
  15. Capitolo 11
  16. Capitolo 12
  17. Capitolo 13
  18. Capitolo 14
  19. Capitolo 15
  20. Capitolo 16
  21. Capitolo 17
  22. Capitolo 18
  23. Capitolo 19
  24. Capitolo 20
  25. Capitolo 21
  26. Capitolo 22
  27. Atto II. Lontano da casa
  28. Capitolo 23
  29. Capitolo 24
  30. Capitolo 25
  31. Capitolo 26
  32. Capitolo 27
  33. Capitolo 28
  34. Capitolo 29
  35. Capitolo 30
  36. Capitolo 31
  37. Capitolo 32
  38. Capitolo 33
  39. Capitolo 34
  40. Capitolo 35
  41. Capitolo 36
  42. Capitolo 37
  43. Capitolo 38
  44. Capitolo 39
  45. Capitolo 40
  46. Capitolo 41
  47. Capitolo 42
  48. Capitolo 43
  49. Capitolo 44
  50. Capitolo 45
  51. Capitolo 46
  52. Capitolo 47
  53. Capitolo 48
  54. Capitolo 49
  55. Capitolo 50
  56. Capitolo 51
  57. Capitolo 52
  58. Capitolo 53
  59. Capitolo 54
  60. Capitolo 55
  61. Capitolo 56
  62. Capitolo 57
  63. Capitolo 58
  64. Capitolo 59
  65. Capitolo 60
  66. Capitolo 61
  67. Capitolo 62
  68. Capitolo 63
  69. Atto III. Le menzogne di cui ci nutriamo
  70. Capitolo 64
  71. Capitolo 65
  72. Capitolo 66
  73. Capitolo 67
  74. Capitolo 68
  75. Capitolo 69
  76. Capitolo 70
  77. Capitolo 71
  78. Capitolo 72
  79. Capitolo 73
  80. Capitolo 74
  81. Capitolo 75
  82. Capitolo 76
  83. Capitolo 77
  84. Capitolo 78
  85. Capitolo 79
  86. Capitolo 80
  87. Capitolo 81
  88. Capitolo 82
  89. Capitolo 83
  90. Capitolo 84
  91. Capitolo 85
  92. Capitolo 86
  93. Capitolo 87
  94. Capitolo 88
  95. Capitolo 89
  96. Capitolo 90
  97. Capitolo 91
  98. Epilogo
  99. Ringraziamenti
  100. Glossario
  101. Copyright