Il canto della falena
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Il canto della falena

  1. 264 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il canto della falena

Informazioni su questo libro

Un commercialista assassinato nella sua villa sulle pendici dell'Etna e la moglie sospettata dell'omicidio. Il caso finisce nelle mani di Emilia, Ilia per gli amici, Moncada, avvocato a Catania. Le circostanze, la mancanza di un alibi, le tracce di DNA, tutto sembra accusare la sua assistita, Speranza Barone, e dimostrarne l'innocenza appare un'impresa davvero ardua. In più, Ilia ha un approccio fuori dagli schemi all'amministrazione della giustizia. La sua prima regola: la verità non conta, perché non è mai una. Poi c'è la regola numero due: mai lasciarsi trascinare dal sentimento nell'accettare un incarico.

Ecco, qui lei predica bene e razzola male, anzi malissimo. Basta a volte lo sguardo supplichevole di una persona in difficoltà a scardinare tutte le sue difese. Come nel caso del delitto del commercialista.

In una Catania indimenticabile, sospesa in perfetto equilibrio tra le battaglie in tribunale e la quiete del mare, Maria Elisa Aloisi ambienta il primo romanzo dedicato alla nuova stella del giallo giudiziario: Ilia Moncada, capace di coniugare l'astrazione della legge con una sofferta vicinanza ai suoi assistiti, e di fare delle proprie umanissime insicurezze un punto di forza. Il canto della falena, vincitore del premio Tedeschi 2021, è un denso intreccio di drammi familiari, rivalità professionali e affari di cuore che ha il ritmo travolgente della vita vera.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
Print ISBN
9788804751311
eBook ISBN
9788835718048

1

Catania, 21 ottobre

«Forse dovresti trovarti un bel maschio» aveva buttato lì Irene appena uscite dall’aula.
Ero stata deferita al consiglio di disciplina dell’Ordine degli avvocati e, poco prima di prendere la parola in mia difesa, ero caduta in un sonno profondo.
La gomitata di Irene mi aveva riportato alla realtà.
«Perché ti addormenti?» aveva insistito una volta fuori. «È narcolessia?»
«Una specie, ma mi capita solo nei momenti di stress» avevo risposto evasiva.
Ci avevo convissuto per tutta l’adolescenza: il mio cervello davanti a una difficoltà si spegneva e cercava rifugio nel sonno.
Il problema era sparito durante gli anni dell’università per ricomparire proprio mentre mi trovavo davanti al consiglio di disciplina, deferita dal giudice Lorenzini.
Tutto sommato, non riuscivo a biasimarlo. Seguivo un processo da tempo e durante le udienze mi ero convinta che il testimone chiave, un certo Calì, fingesse di essere cieco.
Odiavo essere presa in giro, perciò avevo lavorato giorni e giorni sul suo controesame limando alla perfezione domande, pause, intonazione… tutto, insomma. Avevo intenzione di smascherarlo durante il processo, così, al momento opportuno, mentre mi trovavo in piedi di fronte a lui, avevo spostato un lembo della toga all’improvviso e gli avevo lanciato la pallina da ping-pong che tenevo in tasca. Ero certa che, colto alla sprovvista, si sarebbe scansato.
Lui invece non si era mosso di un centimetro e la pallina lo aveva colpito in fronte. Come c’era da aspettarsi, Calì aveva iniziato a gridare come un’aquila.
Lorenzini aveva cercato di calmarlo senza successo, poi aveva indirizzato la sua collera contro di me. Mi aveva incenerito con lo sguardo mentre balbettavo uno straccio di giustificazione, ma lui, inflessibile, aveva inviato gli atti al consiglio dell’Ordine degli avvocati di Catania.
Avevo chiesto alla mia socia Irene Marra di rappresentarmi nel procedimento disciplinare e insieme avevamo pianificato tutto, escluso il mio improvviso letargo.
Per evitare che la cosa si ripetesse, avevo ripreso l’abitudine di annotare a fine giornata quello che mi era capitato di rilevante. Speravo mi aiutasse a psicoanalizzarmi, anche perché non avevo certo il tempo né la voglia di tornare dallo strizzacervelli.
Avevo anche iniziato a nutrire una certa soggezione nei riguardi di Lorenzini e, siccome quella mattina avevo udienza con lui, mi ero imposta di essere impeccabile, di non tardare e fare di tutto pur di non indisporlo ancora di più nei miei riguardi.
Senza troppa convinzione, speravo anche nella collaborazione di Cicero, il mio cliente, che era stato arrestato il giorno prima e per il quale si procedeva per giudizio direttissimo.
Tuttavia mi bastò un’occhiata per abbandonare ogni illusione. Se ne stava seduto all’interno della cella dell’aula con le braccia appoggiate sulle ginocchia, fissava i polsi che fino a qualche istante prima erano stati costretti dalle manette e aveva quella sua solita aria da perseguitato dal fato.
Il leggero tossire del giudice Lorenzini mi distrasse. Mi voltai verso di lui e gli dedicai un sorriso imbonitore.
«Avvocato Moncada, è pronta?» domandò senza attendere risposta e si rivolse alla polizia penitenziaria che scortava il mio cliente. «Fate accomodare l’imputato.»
Presi posto al banco della difesa e d’istinto portai la mano in tasca per stringere le pietre di calcedonio blu, il mio talismano. Intanto Lorenzini leggeva all’imputato i suoi diritti.
«Ora, signor Cicero, possiamo cominciare. Vuole rispondere alle mie domande?»
«Signor giudice, come dice lei, se vuole posso rispondere.»
«Signor Cicero, io non voglio un bel niente! Decida lei, si consulti con il suo avvocato» ribatté il giudice, spazientito.
Guardai il mio assistito per fargli capire che era meglio rispondere, e accompagnai l’invito con un segno di incoraggiamento al quale rispose con un’alzata di spalle.
«Signor Cicero,» continuò il magistrato «lei è accusato di avere spacciato sostanza stupefacente del tipo marijuana nei pressi di piazza Borgo in data lunedì 17 ottobre alle ore sedici circa. Ammette l’addebito?»
«Completamente, signor giudice!»
«Che vuol dire “completamente”? È un sì o un no?»
«È un no, presidente, glielo giuro su quanto ho di più caro!»
«Signor Cicero, lei non deve giurare. Lei mi deve raccontare come sono andati i fatti, se vuole, altrimenti si può avvalere della facoltà di non rispondere. E non voglio ripeterglielo più!»
«Signor giudice, ma lei pensa che piddaveru me ne andavo a spacciare di 17 che è numero iettatorio? Presidente, questa una calunnia è; nella mia famiglia tutta gente onesta siamo. Io il rame rubbo, ma droga mai ne ho toccata, mi ha capito, signor giudice?»
«Ho capito… Allora che ci faceva a piazza Borgo?»
«Ma mi scusassi, presidente, ma perché ora è vietato macari passiari? Ero lì al chiosco e mi stavo bevendo ’na spuma ca lumìa. Ma cose di pazzi!»
«Signor Cicero, stia attento a come parla!»
«Ragione ha, presidente. M’ha scusari, ma spacciaturi a mia mai nuddu mu rissi! Ladro sì, ma spacciaturi no!»
«Va bene, va bene, torni al suo posto e mi faccia conferire con il suo avvocato.»
Annuii alla richiesta di Lorenzini e mi avvicinai con la diligenza che si addice a una scolara modello.
«Giudice,» dissi «in realtà il mio assistito ha precedenti soltanto in materia di furto e…»
«Avvocato Moncada,» mi bloccò «non ci si metta anche lei.»
Mi guardò ed ebbi l’impressione che osservasse preoccupato le mie mani. Forse temeva un’altra pallina?
«Giudice,» ripresi «mi permetto di farle notare che la polizia giudiziaria in realtà ha agito su segnalazione di una fonte anonima, la quale ha fornito una descrizione del tutto sommaria di un soggetto…»
«Avvocato, so leggere anch’io un verbale d’arresto; adesso le chiedo di tacere» mi interruppe, lanciandomi un’occhiata di fuoco. Poi sospirò: «Va bene, facciamo così: io scarcero il suo cliente, lei chiede i termini a difesa e rinviamo il processo a novembre. D’accordo?».
«D’accordo. Grazie, giudice.»
Cicero si alzò, diede le spalle al giudice e mi strizzò l’occhio.
Abbassai lo sguardo sperando che nessuno avesse visto, raccolsi in fretta le carte sparse sul tavolo per infilarle in borsa e uscii dall’aula.
Era fatta.
Prima regola: la verità non conta.
La verità non è mai una, perché potrebbero esisterne almeno due versioni: la verità materiale, quella dei fatti, in cui si espone come sono andate davvero le cose; e la verità processuale, quella che suggeriscono le prove, che emerge all’esito di un processo e spesso non coincide con la prima.
La segnalazione fornita da una fonte anonima non è una prova valida e, a meno che non fossero emersi altri elementi nel corso del processo, quel furbacchione di Cicero se la sarebbe cavata ancora una volta.
Ecco, la verità processuale.
Uscii dal tribunale alle undici passate. La mia causa era stata chiamata fra le prime e avevo approfittato per sbrigare alcune incombenze in cancelleria.
Sostai sotto il colonnato dell’ingresso, accanto alla statua della Giustizia. Davanti a me, piazza Giovanni Verga con la fontana dei Malavoglia affogata in un mare di parcheggi stracolmi di macchine.
Avevo sempre pensato che le due cose non si armonizzassero tra loro e distolsi lo sguardo. Non volevo soffermarmi su quella drammaticità così stridente con l’indifferenza delle persone che le brulicavano attorno.
No, non era il momento per certe riflessioni. Guardai distratta il traffico intenso di corso Italia, poi alzai gli occhi al cielo uggioso da giorni come il mio umore, sebbene le cose con Cicero non si fossero messe per niente male, anzi. La verità era che avevo davanti un’intera settimana di fuoco, zeppa d’impegni, e avrei fatto bene a darmi una mossa, come ripeteva sempre l’avvocato Marra, la mia collega di studio.
Il telefono iniziò a squillare, così guardai il display: era proprio lei. La sua foto si era materializzata sullo schermo.
“Chissà cosa vorrà adesso” pensai senza entusiasmo, e fui subito investita dalla consueta valanga di parole. Irene non parlava, mitragliava, e purtroppo il tono era eccitatissimo.
«Ilia, dove sei?»
Optai per una spiegazione vaga che potesse giustificare un’eventuale scusa di fronte alle sue richieste a volte insensate. «Sto andando allo studio, ho del lavoro da sbrigare.»
«Benissimo.» Irene Marra era sempre soddisfatta quando gli altri sgobbavano. «Allora sbrigati, abbiamo avuto una botta di culo. Si tratta dell’omicidio Politi, il commercialista trovato morto lo scorso maggio nello chalet di Nicolosi. Ti chiameranno i parenti. Celano, i signori Celano. Hai capito? Mi raccomando, Ilia, dobbiamo convincerli a nominarci.»
Irene era in pieno orgasmo professionale e la sua voce animata saliva di tono di parola in parola.
«Ma ci pensi? L’omicidio Politi! Tutta pubblicità per lo studio.»
«Sì, ho capito» le risposi, senza condividere il suo entusiasmo. «Dirò a Mariano di fissare l’appuntamento per mercoledì.»
Un’esclamazione scandalizzata interruppe il mio tentativo di programmazione. «Mercoledì? Ma non se ne parla! Il processo è fissato per la settimana prossima. Devi vedere i Celano oggi, saranno allo studio alle sedici e trenta. Chiama Mariano, digli di annullare tutti gli altri appuntamenti. Fa’ quello che ti pare, ma soprattutto fa’ quello che ti dico! Adesso devo chiudere, a dopo. Ah, e grazie per l’entusiasmo.»
Cercai di replicare, ma mi accorsi che aveva interrotto la comunicazione. Be’, almeno adesso era chiaro, la giornata si stava prospettando come una di quelle che avrei depennato volentieri dall’agenda.
Alzai esasperata gli occhi al cielo: stava diventando sempre più scuro. Nuvole cariche di pioggia spinte dal vento di scirocco si addensavano e già iniziavano a cadere i primi goccioloni. Corsi all’auto e, quando la raggiunsi, ero già mezza fradicia. Da lì chiamai il segretario, Mariano Pappalardo, per metterlo al corrente del cambio di programma.
L’interfono annunciò i miei clienti.
Ero arrivata allo studio già da un pezzo e nell’attesa avevo smaltito dell’arretrato e inviato alcune e-mail urgenti. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a condividere l’ottimismo di Irene. Il tempo che avevamo a disposizione era minimo e in quelle condizioni non era escluso che si rimediasse una batosta da annoverare negli annali delle cause perse. Certo, la pubblicità non sarebbe mancata, ma era la qualità che mi impensieriva.
Bene, era giunto il momento. Mi stampai sulle labbra un sorriso rassicurante a beneficio dei nuovi arrivati e mi alzai dalla scrivania.
La porta si aprì e, preceduta da Pappalardo, entrò una coppia di mezza età.
La donna prese subito l’iniziativa. «Buonasera, avvocato, sono Giuliana Barone» disse. Mi stri...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. IL CANTO DELLA FALENA
  4. Prologo
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. Ringraziamenti
  27. Copyright