Ognuno ride a modo suo
eBook - ePub

Ognuno ride a modo suo

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Ognuno ride a modo suo

Informazioni su questo libro

Sirio nasce nel 2013, prematuro ma sano. Solo otto giorni dopo le sue frettolose dimissioni il suo cuore si ferma: una "morte in culla" scampata che porta i rianimatori alla sentenza di stato vegetativo. Sirio invece oggi cammina e comunica a modo suo, malgrado la diagnosi di tetraparesi spastica e paralisi cerebrale, la tracheostomia, gastrostomia e sordità: parole che non hanno fermato la sua simpatia, voglia di felicità e ricerca di autonomia. Fuori dagli stereotipi del bambino speciale e delle madri coraggio, la famiglia di Sirio ha iniziato a raccontare in rete la necessità di assistenza, il bisogno di condivisione e socialità, la valorizzazione delle diversità, scegliendo di dar voce a chi voce non ha con la giusta dose di ironia e irriverenza.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2022
Print ISBN
9788817163187
eBook ISBN
9788831808095
1

Sangue dal naso

“Nilo, corri a vedere come si avvicina la tempesta.”
“Ma quale tempesta, mamma, lì in quel cielo sta proprio nascendo una nuova stella.”

Appena due mesi prima

A pieni polmoni percepiamo la serenità per la prima volta.
In punta di piedi entriamo in una dimensione che non ci era mai appartenuta.
Pensare a come tutto era iniziato, all’uomo di carta nella sua cella, alla prima volta che avevo visto le sue mani grandi e delicate appoggiate all’incrocio delle sbarre, mi riempie di una sensazione di completamento che entra nel mio corpo come ossigeno puro. Mi dà un senso di arrivo.
Nilo, con i suoi tre anni saltellanti di felicità, può finalmente avere suo padre accanto anche di notte: non c’è più la porta blu del carcere di Rebibbia a inghiottirlo tutte le sere, sempre alla stessa ora. La semilibertà che fino all’ultimo avevano provato a protrarre è finalmente terminata. Non ancora un uomo libero per lo Stato, ma finalmente un papà a tempo pieno, a cui è concessa la leggerezza di non guardar più l’orologio. Chiuso il capitolo di quell’uomo a scadenza che spariva ogni sera come una Cenerentola di periferia; di quel papà che arrivava la mattina, col naso gelato dalla traversata in motorino e una busta di cornetti caldi nelle mani; quel papà col giubbotto, sempre pronto a correre, per giorni, mesi, anni di notti sorvegliate.
La gravidanza era arrivata insieme alla grande novità di stare tutti nello stesso letto, era arrivata dopo l’interruzione forzata della precedente, così tanto desiderata e poi svanita; come un’ondata di luce, dopo tante lacerazioni era arrivata a portar normalità, pensavamo. Felicità pura.
È un lunedì di metà agosto, in una Roma di quaranta gradi e aria immobile in ogni sua particella; la luce combatte con le serrande della cucina. Ridiamo a crepapelle, seminudi, guardando l’etichetta col prezzo di un cocomero attaccata alla mia pancia tonda. Non è nemmeno un gran pancione: sono i miei quarantacinque chili a farla apparire imponente.
Le risate, la foto al mio profilo tondo, il pareo con gli elefantini gialli comprato sulle rive del Nilo. Appare ancora tutto nitido e luminoso, malgrado la nebbia che inizia ad alzarsi: fitti banchi di nebbia in pieno agosto, tra le mattonelle anni Sessanta.
Le acque che si rompono all’improvviso fanno balzare i nostri cuori in gola all’unisono: in una manciata di secondi decidiamo di andare al pronto soccorso. Andiamo verso l’ignoto, con l’ansia d’arrivare, in una foga caotica.
Malgrado la mia tachicardia la testa va più veloce del cuore. Quando attorno a me c’è il panico, divento razionale, il mio sangue sembra raffreddarsi, posso contare sulla mia lucidità. Preparo nella mente le risposte alle domande che mi faranno in ospedale, riconto le settimane di gestazione. Sono brava. Brava a mantenere la calma, brava a non pensare che cosa significhi partorire con tanto anticipo.
Non penso a quel figlio ancora senza nome e nemmeno a Nilo, il figlio che non ha mai fiatato da quando siamo saltati in macchina. Sono preoccupata solo per i lunghi giorni di ricovero che mi aspettano: per la prima volta sarò costretta in un ospedale, senza potermi muovere dal letto. L’idea di stare lontana dalla bellezza di quelle notti tutti insieme che tanto abbiamo desiderato per anni mi fa impazzire.
La via Portuense è rovente e deserta mentre corriamo senza proferir parola, con i pensieri che si accatastano come le ceste di frutta dei banchi di Pasquale er cocomero speciale, ultima immagine di normalità che rimarrà del mio immaginario di cosmo.
Siamo arrivati davanti all’ingresso del pronto soccorso, al momento in cui dobbiamo salutarci. Bacio Paolo sulle labbra ed esito prima di voltarmi verso Nilo. Non sa nemmeno cosa sia un ospedale e già gli occhi ci esplodono di lacrime. Come faccio a spiegargli che non tornerò a casa presto? Le poche parole che provo a mettere insieme svaniscono di fronte al suo volto coperto di sangue. Sangue sulle mani e sulle cosce, su cui si era pulito silenziosamente.
È solo sangue dal naso, ma il cuore sussulta come di fronte a un presagio. Un cucciolo di tre anni che pur di non aggiungere ansia si è tenuto spavento e sangue, in silenzio. Come se già volesse mettersi in disparte davanti all’enormità di quel che avremmo vissuto.
Il verdetto è quello che mi aspetto: un lungo ricovero per scongiurare un parto prematuro.
Tocca a me ora la vita del detenuto, in pieno agosto: l’odore della casanza – il pasto in carcere – la separazione dalla quotidianità di una casa, del nostro stare insieme.
In questo trambusto di immobilità forzata vivo le prime due giornate di ricovero ancora nell’illusione che le cose non possano che andare bene. Non capisco i segnali che il mio corpo mi manda ogni ora con più forza: mi ritrovo in questo letto d’ospedale senza rendermi ancora conto che non c’è modo di mantenere il mio corpo al singolare, il plurale scalpita dentro di me, irrefrenabile, per conquistarsi la luce.
La mattina di Ferragosto, dopo nemmeno tre giorni, il caldo mi taglia il respiro e le continue telefonate di mia madre mi stressano più del solito. È un giorno di festa e pranzi in famiglia e faccio in modo che la visita di Paolo e Nilo duri il meno possibile: non voglio che sentano la mia agitazione crescente, la tensione che sale contrazione dopo contrazione, sempre più veloce. Sento chiaramente che siamo a un passo dal parto, anche se le ostetriche e i monitor dicono il contrario: non ci sono segnali di allarme. «È troppo presto» ripeto a me stessa, anche se ho terminato il ciclo di cortisone che dovrebbe garantire al bambino di respirare senza problemi.
Il sole è ancora alto in quest’inizio serata di Ferragosto, quando mi portano di corsa in sala parto. Paolo arriva appena in tempo.
Sirio è il tuo nome, ma non è stato scelto con calma.
Sirio è il nome in cima alla mia lista attaccata al frigorifero, ma Paolo l’ha sempre ignorato.
Sirio, nome di astro, che Paolo pronuncia mentre mi tiene stretta la mano e mi conforta nel travaglio. Il parto è veloce, pieno di paura e inconsapevolezza. C’è un’intera équipe pronta a intervenire, ma non serve.
Sirio, destinato all’autunno, ha scelto il segno del leone e ruggisce. La voce potente, il corpo vispo e vitale, i polmoni piccolissimi ma perfetti: nessun sostegno, nessun aiuto, respira da solo.
Il terrore del mio corpo tremante si placa in un abbraccio di lacrime e placenta. Sono solo trenta settimane di gravidanza, ma questo bimbo col nome di una stella è sano, sanissimo. Bisogna solo aspettare che prenda il peso giusto per tornare a casa. Bisogna solo aspettare.
Quella sera stessa Sirio parte a bordo della sua prima ambulanza, la sua prima notte di neonato lontano da sua madre. Una bolla di vetro calda diretta al Bambin Gesù, sul colle del Gianicolo, che è per me profumo di infanzia e gonnelline a pieghe, di fontanelle e corse con mio nonno. Il colle più amato ti avrebbe accolto come placenta al mio posto, per tutto il tempo che mancava.
È una notte di domande senza risposte, sono stata con Sirio appena mezz’ora: nessuno qui sa dirmi niente delle sue condizioni. Io e Paolo vogliamo vedere con i nostri occhi quanto son forti i suoi polmoni, quanto è vitale il suo corpo. Contro il parere dei medici, all’alba firmo le dimissioni, lascio l’ospedale e salto sul motorino stretta al mio uomo montagna.
Che pazzi sembriamo, mentre sfrecciamo su due ruote per andare a conoscere nostro figlio e ogni sampietrino mi ricorda che ho partorito da nemmeno dodici ore.
L’arrivo è una porta sbattuta in faccia.
Siamo due genitori smaniosi, ancora convinti che il tempo sia una nostra proprietà.
C’è frenesia nel nostro desiderio di stare con Sirio, pensiamo di non aver niente da imparare e invece capiremo rapidamente che la crescita di un bimbo così prematuro è costellata di improvvisi crolli e rapide risalite. Bradicardie, infezioni, trasfusioni: sono curve come precipizi. Ma va tutto bene, continuano a dirci, è solo questione di pazienza. Gli alti e bassi sono normale prassi di organi sani ma immaturi.
L’incubatrice di Sirio è nel camerone più grande della terapia semi intensiva neonatale: una stanza assordante con dodici postazioni dove limo la mia impazienza e l’ansia di madre guardandomi intorno. Spio le storie di quei corpicini, cercando di entrare in ogni globo trasparente, di infilarmi tra quei tubi. Incontro per la prima volta l’amore dilaniato di vite minuscole, vite di malattia e ignoto, vite di disabilità riflesse negli occhi di madri amputate. Diverremo sostegno reciproco, compagne di risate rubate al buio nero dei monitor sempre in allarme, di sigarette fumate sulle panchine antiche di Sant’Onofrio. Amicizie incollate con la malta, di madri già fallite ancor prima di iniziare. Madri che cercano di non sentirsi colpevoli, che non lo sono ma non lo sanno.
Saranno quarantadue giorni di incontri e separazioni, di racconti tranquillizzanti e fotografie scattate di nascosto per Nilo che aspetta Sirio a casa con occhi di pietra preziosa. Giorni in cui impareremo a essere genitori senza lavare e accudire, sfamare e solleticare, potendo baciare raramente le pieghe del suo collo, la delicatezza del suo collo.
Per ogni bacio una richiesta. Per ogni richiesta un’attesa, oppure un rifiuto.
Quanti baci persi, quanti su quel collo che a breve sarà violato: quanto tempo, quanti baci t’avrei dato se avessi saputo che esistono giorni in cui il sole, all’improvviso, si spegne.
In quella stanza Sirio è l’unico paziente privo di patologie: un prematuro “puro”. Ogni giovedì pomeriggio, durante gli incontri con i genitori, “alle ore sedici salvo emergenze”, la psicologa e il primario del reparto lo prendono a esempio per spiegare che ci vuole pazienza: è in ottime condizioni cliniche, eppure non può ancora andare a casa per precauzione.
«Vedete, mamme, anche una Ferrari come il piccolo Sirio dovrà restare qui fino alla data presunta del parto» ripetono i medici.
Siamo la cantilena della positività, una canzoncina che si ritorcerà contro di noi.
E invece il via libera arriva un mese prima del previsto.
Tutte le parole di prudenza che abbiamo ascoltato dai medici in queste settimane svaniscono. Per loro può andare a casa, anzi, restare sarebbe più rischioso. Non c’è notizia che aspettiamo di più, non c’è desiderio più grande di questa follia.
Andare a casa prima. Andare a casa che non pesa due chili.
Andare a casa ora.
Finalmente profumo, finalmente silenzio, carne di madre figlio padre fratello tutta in un letto, finalmente il buio, la luce del sole, gli scrocchi dei baci.
«Andiamo, non stare a pensare a quanto è piccolo.»
Ci aspetta finalmente la vita, metti in moto e corri a casa, corri da Nilo.
Siamo la felicità che illumina il colle più caro di Roma.
Sirio, benvenuto alla vita,
con noi, bellissimo, sano.
2

Si è spento il sole

“Se piove qui è perché Zeus si sta arrabbiando con qualche suo figlio pasticcione.”
“Potrebbe essere, certo!”
“E allora, Zeus, falla finita eh! Che noi vogliamo il ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prologo
  4. 1. Sangue dal naso
  5. 2. Si è spento il sole
  6. 3. Hotel Supramonte
  7. 4. Fiume Bojaccia
  8. 5. Vengo anch’io, no tu no!
  9. 6. Burattino senza fili
  10. 7. La storia siamo noi
  11. 8. Via dei Matti numero zero
  12. 9. Amandoti
  13. 10. Sotto questo sole
  14. 11. Pezzi di vetro
  15. 12. Another brick in the wall
  16. 13. I ribelli della montagna
  17. 14. Mio fratello è figlio unico
  18. 15. Starman
  19. 16. Born to run
  20. 17. Nostra patria è il mondo intero
  21. Ringraziamenti
  22. Copyright