Una sera, al Poodle Dog Café, Hall attese invano che John Gray lo raggiungesse per accompagnarlo a cena. Il teatro, come al solito, era previsto per più tardi. Ma John Gray non comparve e alle otto e mezzo Hall rientrò al St. Francis Hotel con un fascio di giornali sotto il braccio e l’intenzione di coricarsi presto; tuttavia nel passo della donna che lo aveva preceduto verso l’ascensore riconobbe subito un che di familiare che gli fece trattenere il fiato e lo indusse a rincorrere la sconosciuta.
«Grunya» mormorò sottovoce mentre l’ascensore si metteva in moto.
La giovane donna trasalì, si volse a lui con sguardo turbato e un attimo dopo gli aveva preso una mano e gliela stringeva convulsamente quasi a trarne forza e coraggio.
«Oh, Winter,» sussurrò «sei tu? È proprio per questo che sono venuta al St. Francis! Perché speravo di trovarti! Ho talmente bisogno di te! Zio Sergius è pazzo, pazzo furioso. Mi ha ordinato di far le valigie perché ha deciso di partire per un lungo viaggio. C’imbarchiamo domani. Mi ha anche costretto ad andarmene da casa e a sistemarmi in un albergo di periferia, promettendomi che mi avrebbe raggiunto più tardi o più probabilmente domattina sul piroscafo. Ho prenotato delle stanze anche per lui, ma sento che sta per accadere qualcosa. Sono sicura che sta architettando un progetto spaventoso. È…»
«A che piano, signore?» domandò il ragazzo dell’ascensore.
«Ridiscenda» gli ordinò Hall, approfittando del fatto che nell’ascensore non c’era nessuno all’infuori di loro due.
«Senti,» sussurrò quindi a Grunya «andiamo nella hall; lì potremo discorrere in pace.»
«No, no!» protestò la ragazza. «Usciamo in strada, piuttosto. Ho bisogno di camminare, di respirare un po’ d’aria pura, di riflettere. Credi che io sia pazza, Winter? Guardami! Ho l’aria di una pazza?»
«Zitta» le ordinò Hall stringendole un braccio. «Aspetta, abbi un po’ di pazienza. Fra un minuto parleremo di tutto.»
Era evidente che Grunya si trovava in uno stato di grande sovreccitazione e il suo sforzo per dominarsi durante il viaggio di discesa dell’ascensore stringeva il cuore.
«Perché non ti sei messa subito in comunicazione con me?» le domandò Hall non appena furono sul marciapiede, avviati all’angolo di Powell, di dove Hall aveva intenzione di proseguire per Union Square. «Dove ti sei cacciata, da quando sei arrivata a San Francisco? Eppure a Denver avevi ricevuto il mio messaggio! Perché non sei venuta al St. Francis?»
«Ora non ho il tempo di spiegarti» replicò Grunya con voce affannata. «Ho la testa che mi scoppia e non so che cosa pensare. Mi sembra tutto un sogno. Non è possibile che accadano certe cose. La mente di mio zio dev’essere alterata e vi sono momenti in cui sono matematicamente sicura che l’Anonima Assassini sia soltanto un’invenzione della fantasia di zio Sergius… e della tua. Viviamo nel ventesimo secolo e simili mostruosità non sono più possibili. A… a volte mi chiedo se per caso non ho il tifo e se anche in questo momento non deliro, circondata di medici e infermiere, in preda a un incubo spaventoso. Dimmi, dimmi, sei anche tu una visione… un fantasma del mio cervello malato?»
«No» le rispose Hall con voce lenta e grave. «Tu sei perfettamente sveglia, stai benissimo e in questo momento stai attraversando con me Powell Street. Il marciapiede è viscido; non te lo senti scivolare sotto le scarpe? Osserva quelle catene di pneumatico su quell’automobile. Il tuo braccio è infilato nel mio; quella nebbia che sta venendo su dal Pacifico è reale, come è reale la gente seduta su quelle panchine. Vedi questo mendicante che mi chiede l’elemosina? È di carne e d’ossa e io adesso gli sto dando un mezzo dollaro reale, realissimo, che molto probabilmente lui spenderà per procurarsi del whisky altrettanto reale. Gli ho sentito il fiato e puzzava maledettamente di alcool. Ti assicuro che anche quello era reale, come lo siamo noi. Ma ora dimmi che cosa ti turba; raccontami tutto.»
«Sul serio esiste l’organizzazione di assassini di cui farnetica mio zio?»
«Sì.»
«Come lo sai? Non potrebbe essere invece un parto assurdo della sua immaginazione? E tu non potresti essere stato contagiato dalla sua stessa follia?»
Hall scosse mestamente il capo. «Vorrei che così fosse, ma purtroppo non lo è.»
«Come lo sai?» gridò nuovamente Grunya premendosi una tempia con le dita della mano libera in un gesto patetico di disperazione.
«Perché il segretario temporaneo dell’Anonima Assassini sono io.»
Grunya sobbalzò e avrebbe ritirato il braccio da quello di lui se il giovane non glielo avesse impedito con dolce violenza.
«Sicché fai parte anche tu della banda di assassini che sta cercando di uccidere zio Sergius?»
«No; io non faccio parte della banda; ne amministro semplicemente i fondi. Tuo… uhm… tuo zio Sergius ti ha detto qualcosa di… uhm… di questa organizzazione?»
«Oh, non discorre d’altro. Ha il cervello talmente alterato che è convinto di averla fondata lui.»
«Infatti è proprio così» dichiarò Hall in tono fermo. «Tuo zio è pazzo, su questo non c’è dubbio, ma l’Anonima Assassini l’ha concepita effettivamente lui.»
Per la seconda volta Grunya tentò di liberare il braccio.
«Scommetto che tra poco ammetterai anche di essere stato tu a pagare in anticipo all’Anonima cinquantamila dollari per farlo uccidere!»
«È vero. Lo ammetto.»
«Ma come hai potuto?» gemette la ragazza, disperata.
«Ascoltami bene, Grunya cara» la supplicò il giovane. «Tu non sai tutto e perciò non puoi capire. Il giorno in cui stipulai il contratto non sapevo che fosse tuo padre…»
S’interruppe bruscamente, rendendosi conto troppo tardi e con sgomento del lapsus che si era lasciato sfuggire di bocca.
Ma Grunya, la quale intanto si stava calmando, lo rassicurò: «Sì, mi ha pure confessato di essere mio padre. Io però credevo fosse un altro dei suoi tanti vaneggiamenti. Ma prosegui».
«Dunque, non sapevo che fosse tuo padre e neppure che fosse pazzo. Poi, quando appresi la verità , lo supplicai, lo implorai di cambiare idea. Purtroppo però è veramente pazzo come lo sono tutti, tutti… e adesso sta tramando non so quale nuova diavoleria. Dici di temere che stia per accadere qualcosa. Che cosa sospetti, esattamente? Forse, se me lo dirai, insieme potremo cercare d’impedire una catastrofe.»
«Senti!» Si strinse contro di lui e prese a parlare in fretta, con voce sommessa, pacata. «Dobbiamo chiarire tante cose, ma adesso pensiamo al pericolo immediato. Appena arrivata a San Francisco, non so perché, spinta forse da un presentimento, mi recai prima di tutto all’obitorio, poi feci il giro degli ospedali finché lo trovai effettivamente all’Ospedale Germanico in gravi condizioni per due ferite di coltello. Mi spiegò che era stato uno degli assassini dell’Anonima a ridurlo in quello stato…»
«Probabilmente è stato Harding» la interruppe pronto Hall, subito soggiungendo: «Dev’essere accaduto nel deserto del Nevada, nei pressi di Winnemucca, a bordo di un treno.»
«Sì, sì; mio zio ha pronunciato proprio quel nome.»
«Vedi come tutto combacia?» proseguì Hall. «Sì, in tutta questa faccenda c’è, una buona dose di follia, ma anche la follia è reale e se non altro tu e io abbiamo il cervello a posto.»
«Va bene, ma lascia che continui.» Gli strinse il braccio con rinnovata fiducia. «Oh, abbiamo tali e tante cose da dirci! Mio zio stravede per te, ma non era questo che volevo dire adesso. Dunque, ho affittato subito una casa ammobiliata in cima al Rincon Hill, e non appena i medici me lo hanno permesso vi ho trasportato zio Sergius. Abitiamo lì da varie settimane, ormai. Lo zio si è completamente ristabilito… o piuttosto mio padre; perché ora sono veramente convinta che sia mio padre, come, a quanto pare, devo convincermi di tutto il resto… a meno che non mi svegli e non scopra di aver fatto un brutto sogno… Be’, devi sapere che mio zio… mio padre… in questi ultimi giorni si è messo ad armeggiare per casa. Oggi, quando tutto ormai era pronto per il nostro viaggio a Honolulu, ha spedito il bagaglio a bordo e ha ordinato a me di trasferirmi in albergo. Ora io di esplosivi non me ne intendo, se non per quel poco che ho appreso dalle mie letture; però sono ugualmente sicura che abbia minato la casa. Ha buttato per aria tutta la cantina, ha aperto numerose brecce nelle pareti del soggiorno e le ha richiuse. So che ha fatto scorrere dei fili dietro le tramezze e so anche che oggi si preparava a collegare la casa con un filo a un arbusto del giardino che si trova presso il cancello. Forse tu riuscirai a indovinare che cosa sta almanaccando.»
Proprio in quell’istante Hall si rammentò del suo mancato appuntamento con John Gray.
«In quella casa, stasera, accadrà sicuramente qualcosa» seguitò Grunya. «Lo zio ha intenzione di raggiungermi più tardi al St. Francis oppure domattina sul piroscafo. Frattanto…»
Ma Hall, resosi conto che doveva agire al più presto, sempre stringendo Grunya per un braccio la trascinò verso un parcheggio dove sostava una fila di tassì.
«Frattanto» ripeté senza lasciarle finire la frase «dobbiamo correre a Rincon Hill. Si vede che vuol farli fuori tutti quanti insieme. Dobbiamo impedirglielo.»
«Purché non sia ucciso lui…» mormorò Grunya. «Ah, vigliacchi! Vigliacchi!»
«Scusami, cara, ma quegli uomini non sono affatto dei vigliacchi. Sono pieni di coraggio e per giunta sono simpaticissimi, anche se un po’ strambi. Conoscerli significa amarli e ormai di uccisioni ce ne sono state anche troppe.»
«Ma vogliono ammazzare mio padre!»
«E lui vuole ammazzare loro!» ribatté Hall. «È un particolare che ti prego di tener presente, e poi loro agiscono per ordine suo. Tuo padre è matto da legare e quelli sono matti in misura uguale. Su, spicciati! In questo momento si stanno riunendo nella casa minata. Forse facciamo in tempo a salvarli… o a salvare lui, chi lo sa?»
«Rincon Hill… Il tempo è denaro… Non so se mi spiego» disse all’autista mentre aiutava Grunya a salire. «Su, presto! Via a tutta birra! Fonda anche il motore, se è necessario, purché ci faccia arrivare in tempo!»
Rincon Hill, in passato il quartiere residenziale aristocratico di San Francisco, leva il proprio capo di nobile decaduto fuor del sordido ghetto operaio che si allarga a sud di Market Street. Ai piedi della collina Hall pagò l’autista e i due giovani iniziarono a piedi la facile salita. Benché fosse ancora presto (non erano neppure le nove e mezzo), si vedevano in giro pochi passanti. Nel dare per caso un’occhiata dietro di sé, Hall scorse una figura familiare che attraversava in quel momento il cerchio di luce gettato da un lampione. Si affrettò a spingere Grunya nelle ombre di una stradina laterale e attese. Pochi minuti dopo la sua attesa fu ricompensata, poiché vide passare Haas con la sua caratteristica andatura felina. Gli tennero dietro per mezzo isolato e quando, giunti in cima alla collina, grazie alla luce di un altro lampione lo videro scavalcare una cancellata bassa, di foggia antiquata, Grunya diede a Hall una gomitata significativa e sussurrò:
«La casa, la nostra casa è quella. Tienilo d’occhio. Non immagina certo di andare incontro alla propria morte».
«Il fatto è che non lo immagino nemmeno io» le sussurrò Hall di rimando con aria scettica. «Secondo me il signor Haas è un esemplare umano molto difficile da ammazzare.»
«Zio Sergius è un uomo estremamente meticoloso e io non l’ho mai visto commettere un errore. Ha pensato a tutto, e non appena il tuo caro signor Haas passerà dal portone principale…»
S’interruppe perché Hall le aveva stretto convulsamente il braccio.
«Non ha nessuna intenzione di passare dal portone principale! Guarda, Grunya! Si sta dirigendo verso il retro.»
«Non esiste retro» si sentì rispondere. «La collina cade a strapiombo sul più vicino cortiletto di servizio con un salto di quindici metri. Dovrà per forza tornare sui suoi passi. Il giardino è piccolissimo.»
«Deve avere in mente qualcosa» borbottò Hall vedendo riapparire l’ombra di Haas. «Ah, ah! Caro signor Haas! Sei davvero furbo! Guarda, Grunya, si è cacciato in quell’arbusto vicino al cancello! È lì che è stato fatto passare il filo?»
«Sì; è l’unico arbusto un po’ fitto dove un uomo si possa nascondere. Ma sta arrivando qualcuno! Chi sa se è un altro assassino?»
Senza aspettare, Hall e Grunya proseguirono oltre la casa sino all’angolo successivo. L’uomo che proveniva dalla direzione opposta entrò in casa di Dragomiloff e prese a salire i gradini dell’ingresso. Dopo una breve pausa i due giovani intesero il portone aprirsi e subito dopo chiudersi.
Grunya volle a tutti i costi accompagnare Hall, sostenendo che quella era casa sua e che ne conosceva ogni palmo. Inoltre era tuttora in possesso del passe-partout che avrebbe evitato loro di suonare.
L’anticamera era illuminata, il che rendeva ben visibile il numero civico. Superarono con passo sicuro il cespuglio che nascondev...