L'incanto fonico
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L'incanto fonico

L'arte di dire la poesia

  1. 120 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'incanto fonico

L'arte di dire la poesia

Informazioni su questo libro

Dire la poesia non avviene sempre. Eppure anche nel dire la poesia consiste, da sempre, la poesia. Lo sapeva Carmelo Bene con il suo personalissimo teatro della crudeltà, lo sapevano i Romantici e i Surrealisti, lo sapeva García Lorca, quando trovava il suo duende nella musica, nella danza e, appunto, nella poesia a viva voce ( hablada ), arti tutt'e tre, sosteneva, che hanno bisogno di un corpo vivo che le interpreti. Lo sa bene, benissimo, Mariangela Gualtieri, che da quarant'anni «dice la poesia in pubblico», avvolgendo chi la ascolta in un «mondo orale aurale» che non ha uguali.
Sí perché «spesso», come dice Gualtieri, i professionisti, gli attori, leggono il verso puntando «sulla sua componente razionale e di signifi cato, trascurando tutto il resto». Nella sua «arte di dire la poesia», Gualtieri ci parla invece solo del resto. E per farlo trova un linguaggio nuovo e sorprendente: non un discorso sul dire la poesia ma una scrittura con il dire la poesia. Non concetti astratti, ma fi gure, immagini, sensazioni fi siche, echi. E analogie, fi no a costruire un libro di poesia saggistica, a opporre visione a discorso, a parlarci vicino e alto, lontani dalla chiacchiera. E cosí: «Formule magiche schiacciate nei libri - solo al pronunciarle si fanno efficaci. E formule mantriche, solo in voce trovano compimento. E spartiti di musica, tutti, chiedono fi ato, gole, dita per farsi forma sonora. Cosí ogni verso. Ogni poesia implora un respiro che la dica. Essere detta. Detta per bene in sua ritmica e melodia e timbrica e interni silenzi».
«Lei, essa poesia, ha ritmica, ha melodia, timbro. 9Musica è. Tutti i poteri della musica. Tutti li ha».«Ogni poesia implora un respiro che la dica».

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Informazioni

Come mettersi lí

Enigma lampante è dare voce alla poesia.
Richiede osservanza di dettami. Alcuni.
(Guarda! Mi tuffo nel grande Oceano e la corrente piú forte del mio nuotare mi trascina al largo.
Ho paura. Ho ebbrezza. Dopo un primo annaspare, mi consegno all’acqua salata gelata.
Mi porta al largo, forza irresistibile, e poi con sorpresa riporta a riva mio corpo sfinito, un bel po’ piú in là. Sano. Salvo. Non è la stessa persona partita in nuotata. Non guarda il mare come prima. Nulla prometteva il ritorno. E sono tornata. Il rischio è stato reale. Reale possibilità di diventare io stessa mare, pesci, fondale, onda).
Come mettersi lí?
Come servire quella pagina e trasformarla in calore luce di supernova?
Strapparla alla letteratura e farne natura, suono che agisce e trasforma. Canto.
Per dire la poesia: grande dimissione iniziale, dimissione per la quale ci si deve allenare una vita intera. Perché? Fa bene, a noi stessi e al mondo. Conduce a mitezza, spalanca comprensione. Incanta. Spalanca compassione. Calma. Rallegra. (Diffidare di chi non ride).
(Diffidare di chi non ride. Di chi non piange).
Si cade nell’armonia che muove sole e stelle, senza esagerare.
L’universo è una poesia? Forse. La Terra, in quello, è un verso solo? Noi umani, modesta virgola dentro quel verso? Virgola di cui si può fare a meno. Nessuno ha bisogno di noi.
(Poetico, troppo? Forse).
Allora, se mi avvicino alla poesia per pronunciarla, trasformarla in energia sonora, se mi avvicino a questa stranezza, cosí prossima alla filosofia, cosí diversa dalla filosofia – non ultimativa come lei
se entro in questo strano regno bandito dal governo della città (caro Platone), questa manovra tanto vicina alla follia quanto alla speculazione vertiginosa
questa voce di morti lontani che continuano a parlare e non smettono di tacere
se mi inoltro in questa selva oscura, in questo fiore germinato dal ventre caldo di una donna, in questo Paradiso
dovrò avere bagaglio cosí leggero, ma cosí leggero da alleggerire ogni entità con cui vengo a contatto
bagaglio che è: non avere non essere non volere.
Avere non. Essere non. Volere non.
Esserci pienamente presenti e non esserci.
Lasciare zavorra di pensieri. Lasciare desiderio di compimento, di buon risultato. Rinuncia. Niente esito.
Lasciare intelligenza calcolante. Tenere quella intelligenza di fiore, di ape, di temporale.
Entrare in ebetudine di neonata. Accettare: essere l’ultima ruota di questa terra-carro per avere mani ben vuote ben vuote.
Stare con ogni verso – penetrare in suo splendore intrinseco.
Ciò che è dopo – è avventura di dopo. Godere di ogni, ogni verso. Nel fortunale delle potenti parole, corpo a corpo con ogni onda-parola, ogni coltello-parola, polvere pirica - parola. Balsamo parola. Viatico parola.
Sparire dalla pupilla degli astanti, diffondersi tutti in voce. Diventare invisibili.
Accettare quel niente che viene, quel niente che succede.
Cosí attenta nell’udire ciò che vai pronunciando: un capello che cade è tonfo d’universo.
Senti polvere antica del mondo posarsi sulla punta del naso. Con fragore.
Chiudere gli occhi. Cristina Campo in fil di voce: «la contemplazione dell’udito. Ciò richiede una durezza affilata nell’ascesi dell’attenzione».

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Poetica e arte dell’oralità
  4. L’incanto fonico
  5. Questo ci tocca
  6. Il silenzio
  7. Sulla poesia
  8. Il metro
  9. La voce
  10. Come mettersi lí
  11. A memoria, «by heart», «par cœur»
  12. Tecnologia sacra
  13. La paura
  14. Il respiro
  15. Il pianto
  16. L’attenzione
  17. Nota e gratitudine
  18. Il libro
  19. L’autrice
  20. Della stessa autrice
  21. Copyright