Fra le tante cose che la pandemia ha cambiato, c’è il ruolo degli influencer. Per mesi siamo rimasti tutti chiusi in casa, i lockdown hanno cancellato la distinzione tra vita digitale e vita reale. Anche i nostri rapporti piú stretti erano mediati da videochiamate, chat, link a cui collegarsi, connessioni instabili. Le conseguenze sono state profonde, spesso tragiche.
Una delle poche novità positive è stata l’esplosione di creatività social: con gli studi televisivi inagibili e i conduttori spesso costretti a guidare le loro trasmissioni dal salotto, molti personaggi piú o meno noti hanno iniziato a costruire interi palinsesti di intrattenimento. Caterina Balivo, in tempi recenti volto noto delle reti Rai, si è messa a parlare di libri via Instagram. L’ex attaccante dell’Inter e della nazionale, Christian Vieri, ha visto decollare una nuova carriera da intrattenitore, con infinite dirette con i compagni di squadra di un tempo – Daniele Adani, Nicola Ventola, Antonio Cassano – per ricordare assieme partite di oltre vent’anni fa. Ore di trasmissione via Instagram che sono poi diventate un canale Twitch, la piattaforma di streaming di proprietà di Amazon.
Gli influencer sono stati per molti mesi una delle nostre poche possibilità di interazione con altri esseri umani. Con le nostre vite compresse negli schermi di uno smartphone dalla necessità di evitare contatti fisici, abbiamo iniziato a percepire un’intimità sempre maggiore anche con queste celebrità che ci aprivano, almeno in apparenza, la loro quotidianità, non cosí diversa dalla nostra (in quella fase).
Il Covid è stato un grande acceleratore dell’ascesa degli influencer e non può quindi essere una coincidenza il fatto che proprio durante il biennio della pandemia i due esponenti piú celebri in Italia della categoria, cioè Chiara Ferragni e il marito Fedez, abbiano smesso di essere soltanto protagonisti di prodotti di intrattenimento generazionale per assumere un ruolo culturale, sociale e, in senso lato, molto politico.
Quello che dicono e fanno genera discussioni, riempie i siti di informazione, spinge leader di partito e ministri a posizionarsi. Devono dire se sono d’accordo o contro. Nessuno piú di loro ha capacità di influenzare l’agenda.
Sono casi rari, forse unici, ma la mutazione dei Ferragnez, come si chiamano dai tempi del loro matrimonio nel 2018, costringe a interrogarsi sulla nascente «repubblica degli influencer», per citare il felice titolo di un’inchiesta del settimanale «L’Espresso».
La battaglia sulla legge Zan.
Tra la primavera e l’estate del 2021 ci sono molti temi al centro del dibattito politico in Italia, dalla gestione della pandemia, al Piano nazionale di ripresa e resilienza, alla fine del blocco dei licenziamenti. Fedez ne sceglie soltanto uno per il suo passo avanti verso la politica: il disegno di legge contro l’omotransfobia che porta la prima firma del deputato Pd e attivista Alessandro Zan.
A fine giugno il «Corriere della Sera» rivela un’azione diplomatica del Vaticano tanto segreta quanto decisa per fermare il percorso parlamentare della legge Zan, approvata alla Camera ma ancora appesa all’esito di un incerto tragitto al Senato.
Per la prima volta il Vaticano cerca ufficialmente di interferire con l’approvazione di un disegno di legge, con la motivazione che alcuni aspetti del provvedimento violerebbero il concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa del 1984.
«La Segreteria di stato rileva che alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa – particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere” – avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario», si legge nel testo della nota, reso pubblico pochi giorni dopo lo scoop del «Corriere».
Per il Vaticano il problema non sta in qualche dettaglio del testo di legge ma, in sintesi, nella considerazione che cerca di imporre delle persone omosessuali o con una diversa identità di genere (che non necessariamente corrisponde a quella del sesso biologico, registrato dai documenti).
La nota consegnata il 17 giugno 2021 da Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di stato, osserva che «ci sono espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina».
Sui giornali si moltiplicano interpretazioni raffinatissime che cercano di conciliare una posizione cosí medievale e teocratica con la popolarità di papa Francesco tra i progressisti: la nota è un modo per spingere a una rapida approvazione della legge Zan come reazione all’ingerenza, sostiene qualche spericolato analista di cose vaticane.
I fatti smentiranno presto queste benevole interpretazioni: il Vaticano vuole complicare il percorso parlamentare della legge Zan usando ogni metodo a sua disposizione e ci riesce.
A questa prova muscolare delle gerarchie ecclesiastiche risponde quasi subito la coppia Ferragnez, che se la prende non tanto con il Vaticano quanto con i politici italiani che sembrano subirne l’influenza.
Chiara Ferragni si concede una delle sue rare prese di posizione esplicite in materia politica: a differenza del marito Fedez è molto attenta a non esporsi su argomenti che potrebbero polarizzare il suo pubblico e alienarle il sostegno di quanti la pensano diversamente.
Ma una causa cosí chiaramente progressista – e lontana dai temi sensibili per molte aziende – è coerente con il posizionamento di mercato del marchio Ferragni. E cosí, in mezzo a due spot dello shampoo Pantene (tocca citarlo, a riprova dell’efficacia dell’investimento), il 6 luglio 2021 Chiara Ferragni infila una polemica contro il leader di Italia Viva Matteo Renzi che si è trovato di fatto allineato con la Lega di Matteo Salvini nel perorare modifiche alla legge Zan che rischiano di affondarla.
Il commento di Chiara Ferragni a una foto di Renzi ricorda per toni gli inizi del Movimento Cinque Stelle, quando lo slogan principale era un semplice «vaffanculo». Scrive Ferragni: «che schifo che fate politici», senza virgola.
Su Twitter e altri social Renzi risponde, prova a spiegare che la politica è una cosa seria, che lui ha fatto la legge sulle unioni civili, sfida Chiara Ferragni a un duello pubblico su qualche piattaforma, «pronto a confrontarmi anche con chi mi insulta!» A Renzi piacerebbe una simile visibilità, ha un libro in uscita e per lui sarebbe ottimo se tutti i 26,3 milioni di follower di Chiara Ferragni ne fossero edotti.
Alla replica di Renzi, risponde Fedez, anche lui con toni da vaffa-day: «Stai sereno Matteo, oggi c’è la partita, c’è tempo per spiegare quanto sei bravo a fare la pipí sulla testa degli italiani dicendogli che è pioggia». Renzi non osa piú ribattere, ha capito che sul campo da gioco dei social lui è destinato a perdere sempre.
Ai 26,3 milioni di follower di Ferragni si sommano cosí i 12,6 di Fedez. In parte saranno forse sovrapponibili, ma la loro influenza si estende poi su altri social (su Twitter Fedez ha 2,5 milioni di follower, per esempio).
Calcoliamo, a spanne, che il loro intervento sulla legge Zan abbia raggiunto 30 milioni di persone che, consapevolmente, hanno scelto di seguirli sui social, sanno che smalto si mettono (entrambi), che pigiama ha il figlio Leone, come sta crescendo la piccola Vittoria Lucia.
Possono sembrare numeri esagerati, non è detto ovviamente che tutti i follower vengano sempre raggiunti da ogni contenuto, ma se guardiamo le statistiche sulle interazioni la capacità di influenza è comunque impressionante.
I video di Fedez su qualunque argomento contano fra i tre e i quattro milioni di visualizzazioni, i suoi post raccolgono tra i 400 000 e i quasi 900 000 like, i commenti possono superare gli 11 000 per un solo post. Uno dei video salvati di Fedez dedicati al disegno di legge Zan supera presto i quattro milioni di visualizzazioni.
Per dare un termine di paragone, Otto e mezzo di Lilli Gruber su La7, il piú seguito dei talk show politici, nelle puntate migliori si colloca tra i due e i tre milioni di spettatori.
Se stiamo ai numeri, il Vaticano se la passa molto peggio in quanto a capacità di influenza diretta delle opinioni individuali: secondo l’Istat le persone che vanno a messa una volta alla settimana sono appena 14,3 milioni, se il papa o chi per lui vuole provare a condizionarne le opinioni politiche, diciamo sulla legge Zan, deve appunto passare attraverso ambasciatori, che poi parlano col governo, oppure attraverso la Conferenza episcopale, che tramite i vescovi cerca di sensibilizzare i parroci, i quali però hanno spesso le loro opinioni, e oltre ai parroci ci sono i preti che rispondono ai parroci, anche questi non sempre controllabili…
Se invece che ai tradizionali canali di influenza del Vaticano guardiamo a quelli piú contemporanei, il confronto è altrettanto impietoso. L’account Instagram di papa Francesco, peraltro difficile da rintracciare tra i molti fasulli che affollano la piattaforma, langue intorno agli otto milioni di follower e i suoi contenuti suscitano soltanto una frazione dei riscontri ottenuti da quelli dei Ferragnez. Qualche decina di migliaia di like, commenti che si contano a centinaia, video guardati da 100-200 000 persone. I fedeli seguono il papa, magari leggono quello che scrive, ma non ne sono particolarmente segnati e non lo condividono molto con altri utenti.
Insomma, sul filo del paradosso potremmo osservare che c’è un concordato aggiornato nel 1984 che regola l’ingerenza della Chiesa nella vita pubblica italiana, ma nessun concordato stabilisce il perimetro dell’influenza dei Ferragnez nella politica.
Anche perché papa Francesco e i Ferragnez operano nello stesso settore: promettono serenità, gratificazione e identificazione con personaggi carismatici che facciano da modello di vita. Il papa, per quanto forte di una notevole popolarità individuale, ha ereditato un marchio con una lunga tradizione ma un po’ logoro e fuori sincrono rispetto allo spirito dei tempi, perché prospetta gratificazioni soprattutto nel lungo periodo.
I Ferragnez invece hanno costruito il loro culto sull’appagamento immediato, sempre disponibile e che non richiede sacrifici particolari. La concorrenza ormai è su tutto, dopo una prima fase disimpegnata e edonista, Chiara Ferragni e Fedez hanno invaso anche il mercato della famiglia tradizionale (la loro) e quello dei valori non negoziabili (i loro). Stanno vincendo su tutta la linea.
Nel giorno della polemica Renzi-Ferragnez, scrivo un articolo sul quotidiano che dirigo, «Domani», nel quale cito alcuni di questi numeri e osservo che i Ferragnez prosperano in una comoda zona grigia, non regolata, dove tutto è lecito e niente è dovuto.
Se i Ferragnez fossero giornalisti, non potrebbero fare i testimonial e il loro impero crollerebbe. Se fossero politici, marchi come Pantene dovrebbero sottostare alla disciplina sul finanziamento pubblico ai partiti, sapremmo quanto hanno pagato per sostenere la causa (anche questa giustissima) dell’imprenditorialità femminile accanto agli insulti a Renzi. E la richiesta di trasparenza si legittima proprio per avere chiaro come interessi privati influenzano le decisioni collettive, un paradigma che si applica anche ai Ferragnez.
Multinazionali come Amazon, le cui prospettive dipendono moltissimo dalla regolazione della politica, hanno capito che è un ottimo affare garantirsi il consenso di un influencer del calibro di Fedez scegliendolo come testimonial: casomai gli venisse da twittare sulle questioni del lavoro nel settore della logistica, ci penserà due volte.
Nessun finanziamento a partiti (o pubblicità ai giornali) potrebbe garantire ad Amazon un simile scudo protettivo. Chi compra Fedez, poi, ottiene anche una qualche forma di ascendente su Chiara Ferragni, visto che i due si muovono in sincrono, e con grande coerenza di valori e posizionamento.
Questo era il succo dell’analisi condensata nel mio articolo dedicato alle polemiche tra i Ferragnez e Renzi. Il 7 luglio 2021 Fedez organizza dal suo profilo Instagram una nuova diretta, con il deputato del Pd Zan promotore della legge sull’omotransfobia, il radicale Marco Cappato impegnato in battaglie per l’eutanasia legale e con l’editore e attivista Pippo Civati.
All’inizio della diretta Fedez risponde a quell’articolo con parole che finiscono per confermare le criticità che avevo sollevato. Prima fra tutte: Fedez non si fa scrupolo alcuno a usare i suoi oltre 12 milioni di follower per attaccare l’autore di un articolo che, nel migliore dei casi, sarà stato letto da qualche decina di migliaia di persone.
«Vi faccio un piccolo cappello introduttivo, – dice Fedez, – ho appena finito di leggere un articolo fantastico del giornalista Stefano Feltri, non riesco a cogliere se fosse serio o ironico, che accendeva un riflettore sul fatto che io e mia moglie saremmo in qualche modo da regolamentare perché opereremmo in una zona grigia, perché siamo degli imprenditori non potremmo dire la nostra in quanto cittadini, coscienza civica e civile».
Non era esattamente questo il punto ma Fedez si concentra sulla legittimità degli imprenditori di esprimersi sulla politica: «Trovo assurdo che Berlusconi possa fare l’imprenditore e parlare di politica e fare politica, cosa che noi non facciamo, non c’è l’obiettivo mio e di mia moglie di entrare in politica, siamo dei cittadini ed entriamo nel dibattito pubblico, è una cosa che faccio».
E ancora: «De Benedetti può fare l’imprenditore e dire la sua, Briatore può fare l’imprenditore e dire la sua, Fedez e Ferragni vanno regolamentati» (Carlo De Benedetti è l’editore del giornale dove lavoro, «Domani»).
Fedez indulge poi a un po’ di benaltrismo, c’e sempre un’altra priorità. «Se c’è qualcosa da regolamentare, bisognerebbe partire prima dalle aziende che hanno preso finanziamenti statali e non hanno mai rispettato dei vincoli che gli sono stati imposti».
Non c’entra assolutamente nulla, ovviamente, perché la questione che avevo sollevato io era diversa: la possibilità di un singolo individuo di influenzare preferenze e opinioni politiche attraverso quello che è a tutti gli effetti un mezzo di comunicazione di massa (un account Instagram con milioni di follower), in una commistione poco trasparente tra opinioni personali, interessi commerciali e sponsor occulti.
Anche se ostenta qualche incertezza nell’uso dello strumento Instagram per fare dibattito pubblico invece che l’usuale intrattenimento, Fedez è consapevole di quello che sta facendo, cioè «mettere a disposizione la mia utenza su un tema che mi sta a cuore e per il quale da mesi sto cercando di dare il mio contributo, con coscienza civica da cittadino».
Ora, provate a proiettare la stessa frase su Berlusconi: anche lui ha messo a disposizione le sue emittenti (non utenze, in quel caso) per dare il suo contributo sui temi che gli stavano a cuore, anche lui difendeva politici con i quali si identificava e che avevano un’agenda coerente con la sua.
Poi, alla fine, si è anche candidato e ha usato le sue televisioni per cementare il consenso elettorale al partito che aveva fondato, ma il punto non è questo. Il punto è che aveva nella sua piena disponibilità uno strumento che permetteva di influenzare opinioni, preferenze di acquisto di prodotti e, ovviamente, anche di voto. Sarà lo stesso Fedez a suggerire questa analogia.
Per essere ancora piú chiari: il punto non è se la causa che Fedez sceglie di difendere sia nobile o meno (nel mio piccolo anch...