Schiavo del tuo cuore (I Romanzi Extra Passion)
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Schiavo del tuo cuore (I Romanzi Extra Passion)

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
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Schiavo del tuo cuore (I Romanzi Extra Passion)

Informazioni su questo libro

Roma, 43 a.C. Viridis è uno schiavo guerriero, determinato a riconquistarsi la libertà attraverso la gloria nell'arena. Diventa così uno dei gladiatori più celebri di Roma, ma la ludus gladiatoria cade in disgrazia e le cose peggiorano ancora quando il suo padrone subisce un attentato. Torna allora nella capitale l'unica figlia del suo signore, Zenobia, con l'intento di risollevare le sorti della ludus, sfidando regole e convenzioni. Prigioniera di un matrimonio infelice, la giovane è decisa a dimostrare al padre che può essere orgoglioso di lei quanto di un figlio maschio. Ma quando incrocia il magnetico sguardo di Viridis, ogni suo piano vacilla sotto le sferzate di un'attrazione tanto proibita quanto pericolosa, una lussuria da tenere segreta a ogni costo...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
eBook ISBN
9788835717720

1

Roma, anno 711 a.U.c., Kalendis Iuniis, hora undecima
43 a.C., 1° giugno, le quattro del pomeriggio

Gli occhi neri di Zenobia scintillarono al sole, mentre scendeva dal carpentum, seguita dalla sua ancella e alcune altre schiave, per apprestarsi a entrare nella domus di famiglia, situata in periferia, sulla via Flaminia. Cercò di scrollarsi di dosso la stanchezza dovuta al viaggio nel carro coperto, si erse in tutta la propria statura, notevole per una donna, e raddrizzò le spalle. Superò il vestibolo, sistemandosi il ricinum che le scendeva dal capo fino alla schiena, e appena fu nell’atrio venne accolta da un saluto corale. — Ave a te, domina.
Lei scosse la testa nel vedere l’impluvium semivuoto. — Cosa significa? — domandò secca, rivolta ai servitori che, le mani strette in grembo, la sbirciavano di sottecchi. Ne riconosceva pochi, ormai, poiché diversi schiavi erano stati venduti per raggranellare qualcosa, a quanto le era stato riferito. Quelli reputati non indispensabili, era chiaro.
— Non piove da settimane, domina... — mormorò Opiter, un liberto che era stato uno schiavo del padre. Era invecchiato, nei sette anni in cui lei era rimasta a Capua, ma i suoi occhi erano ancora vivaci, di un azzurro intenso. Dopo essere stato liberato, aveva continuato a lavorare per il padre di Zenobia, come molti altri liberti, non solo per senso del dovere, ma anche per obblighi di natura economica.
Lei osservò la vasca quadrangolare di marmo incassata a terra, progettata per raccogliere l’acqua piovana. — Potevate riempirla. — Sollevò il viso verso la grande apertura nel soffitto in corrispondenza della vasca, il compluvium, e fissò le nuvole rincorrersi nel cielo azzurro senza neppure vederle. Era al corrente della situazione, ma non pensava fosse tanto grave. Tuttavia, era tornata a Roma apposta e, proprio per questo, non intendeva permettere alla preoccupazione di sopraffarla. Doveva essere forte.
— Non... avremmo potuto pagare per l’acquisto dell’acqua e non piove da giorni... — mormorò l’uomo. La voce gli si spense. — Sono molto dispiaciuto, domina.
— Siamo a questo punto? — domandò lei, quasi parlasse tra sé, senza distogliere lo sguardo dal cielo. — Intendo già a questo punto?
— Sì, padrona.
— Non è rimasto niente? — Zenobia controllò il tono di voce. Una delle preziose lezioni imparate durante il periodo trascorso a Capua era che la disperazione andava sempre di pari passo con la debolezza.
— Poco o nulla, domina. Ho dovuto occuparmi di nutrire gli schiavi, i gladiatori e...
Zenobia tornò a guardare il liberto e gli rivolse un cenno del capo, per interromperlo. — Hai tutta la mia stima per essere rimasto e aver fatto tanto, Opiter. Ne terrò conto. — La chiamava domina, padrona, seppure lei fosse rimasta lontana tanto a lungo... Era per dare l’esempio agli altri e una forma di rispetto, ma era anche perché, ora, la considerava l’unica in grado di gestire i servi, gli schiavi e la casa stessa evitando la rovina completa. Opiter era sempre stato acuto. Non per nulla era stato anche il nomenclator del padre. Lo accompagnava lungo le strade ricordandogli i nomi delle persone importanti da salutare.
Zenobia osservò meglio l’atrio, l’ambiente centrale che, nei suoi ricordi della prima adolescenza, era popolato dal consueto andirivieni di una normale familia romana, dai servi che si affrettavano a portare cesti di frutta e dagli ospiti. Ricordava la statua del tritone nell’atto di suonare un corno a forma di conchiglia presso l’impluvium, le era sempre piaciuta... ma ora era rimasto soltanto il piedistallo. C’era ben poco da osservare. Purtroppo, la grande domus, un tempo simbolo dell’opulenza e dell’influenza sociale del padre, Rutilio Zeno Durmio, era spoglia. Le statue dedicate alle varie divinità protettrici della casa erano state vendute e i piccoli altari vuoti non facevano che sottolineare la caduta in disgrazia del genitore.
Zenobia assunse un’espressione impassibile, il suo scudo contro il mondo, e fece un cenno a Opiter. — Con me. — Si diresse verso il colonnato a passo sicuro, la veste a più strati di pregiato cotone giallo che le svolazzava attorno, fino a raggiungere il giardino interno. Si fermò nel roseto dove un tempo giocava a latrunculi con il padre che le aveva insegnato i rudimenti sull’uso della tabula lusoria. Per un attimo, si lasciò avvolgere dal profumo delle rose e quasi non si accorse di avere abbandonato la postura rigida che assumeva sempre, quando non era sola. Stava guardando qualcosa che non c’era più: un tavolino di marmo lucido, appena acquistato, proprio accanto alla vasca dove nuotavano i pesci e galleggiavano le ninfee. Stava osservando se stessa: una ragazzina dai lunghi capelli neri, intrecciati con nastri dorati, che giocava con il padre. Lei con aria compita, lui con un sorriso sulle labbra. Quasi udiva le risate. Le loro risate. E la sensazione che la vita le avrebbe riservato soltanto cose belle, che il benessere, raggiunto poco alla volta, poi esploso nella popolarità grazie alle vittorie dei gladiatori, fosse solo l’inizio di un’esistenza ancora più incantevole, dignitosa, lussuosa, felice... fatta di cene con ospiti importanti, vesti sfarzose e gioielli e, un giorno, forse anche d’amore. Quella sorta di visione svanì, soppiantata dalla realtà: la vasca dei pesci vuota, il giardino dove era stato piantato qualche ortaggio per questioni di sopravvivenza, il tavolino che era stato venduto e di cui restava solo il solco nel terreno smosso...
Quella ragazzina piena di sogni e illusioni non c’era più da molto tempo prima che Rutilio Zeno Durmio cadesse in disgrazia, forse proprio da quando aveva lasciato la casa del padre per trasferirsi a Capua e sposarsi. Strinse i denti, contrariata per essersi lasciata trasportare. Aveva imparato a evitare il più possibile rimpianti e inutili sentimentalismi. Erano pericolosi.
— Mi dispiace, domina — ribadì ancora una volta Opiter.
Lei si riscosse. — Lo so. Raccontami come sono andate esattamente le cose. — Agganciò lo sguardo azzurro del servo. — E non risparmiarmi i dettagli.
Un sospiro pesante da parte del fedele Opiter fu l’araldo delle parole che doveva udire anche se non avrebbe voluto. Perché sapeva cosa era accaduto, ma solo a grandi linee. Le erano stati riportati messaggi brevi e lacunosi, spesso raddolciti da frasi di circostanza.
— È iniziato tutto diversi mesi fa...
Zenobia lo interruppe sollevando una mano. I bracciali d’oro le scivolarono quasi fino al gomito in un tintinnio che, in quel momento, la mise a disagio. — Quanti?
— Quasi un anno ormai, durante i Ludi Victoriae Caesaris organizzati da Ottaviano, l’erede legittimo di Gaio Giulio Cesare. I magistrati non osavano celebrarli e Marco Bruto aveva appena organizzato i Ludi Apollinares, nel tentativo di riconquistarsi la fama perduta, dopo avere partecipato alla congiura contro Cesare. Ma Ottaviano lo ha superato in fastosità ed era il munerarius di tuo padre. Aveva richiesto la presenza dei suoi gladiatori perché credeva in lui. Come sai, la guerra civile non è affare da poco e tutti cercavano di compiacere il popolo per... — Si fermò, incerto. — Credo che ben presto Ottaviano finirà per marciare verso Roma e prendersi con la forza, o forse con la sua proverbiale astuzia, l’incarico consolare. Dopo la battaglia di Modena, in cui sono morti i consoli Gaio Vibio Pansa e Aulo Irzio, e si mormora sia stato Ottaviano stesso a farli eliminare, Roma è allo sbando, coinvolta nella lotta per il potere tra Marco Antonio e Ottaviano. Gli equilibri sono delicati e c’è astio tra Ottaviano, tra l’altro considerato troppo giovane per essere console, e il Senato...
Zenobia non lo stava quasi più ascoltando. Tutti quei mesi... e lei ne era stata messa al corrente soltanto da due. — Continua. Mi sono noti questi fatti, eppure non capisco come mio padre, un lanista conosciuto, proprietario di una delle scuole gladiatorie più prestigiose di Roma, possa esserne stato tanto danneggiato. I romani vogliono sempre divertirsi, soprattutto nei periodi più foschi... Lui, all’inizio, mi aveva informata di un piccolo incidente, una ferita di poco conto, e di qualche pettegolezzo.
— Ha minimizzato. C’è stato un incidente, infatti. Uno dei gladiatori, dopo i combattimenti, ha ferito tuo padre. Uno dei suoi, il trace. È avvenuto proprio sotto gli occhi di Ottaviano. Nessuno ha capito bene come si siano svolti gli eventi, ma quel trace ha colpito alle spalle il buon padron Zeno, che stava illustrando le qualità dei propri uomini. Per giunta, in presenza di Claudio Terenzio Vetranio, il suo più grande rivale. Questo avvenimento è stato umiliante ed è mia opinione che sia stata la causa scatenante della caduta in disgrazia del padrone.
Lei serrò i pugni. — È stato ucciso, il trace?
— No. La ferita era solo un graffio e tuo padre è un uomo comprensivo... È stato deleterio il contesto, la modalità in cui è avvenuta quella che, agli occhi di tutti i presenti, è stata un’aggressione che odorava di rivolta. Il trace è stato frustato, battuto e interrogato. E ha detto che stava difendendo padron Zeno da uno degli uomini di Vetranio che lo avrebbe ucciso se lui non fosse intervenuto. Non ha mai cambiato versione e tuo padre, alla fine, gli ha creduto. Ma non ha denunciato Vetranio, perché sarebbe sembrato poco plausibile che il rivale avesse azzardato una mossa simile, alla luce del sole. Tuttavia, padron Zeno non ha neppure preso seri provvedimenti nei confronti del gladiatore.
— Passando per debole — sentenziò lei. — Poiché a Roma i pettegolezzi sono più forti della verità. Qualora questa sia la verità.
Opiter chinò il capo in segno di assenso e lei notò fili argentei nella sua chioma ancora folta e scura.
— Perché mio padre non ha fatto giustiziare il trace? — domandò Zenobia nascondendo la rabbia dietro a una pacata rassegnazione.
— Il trace, che a dire il vero non è un trace, quella è soltanto la categoria gladiatoria, il modo in cui gli hanno insegnato a combattere nell’arena, con la sica, ovvero la spada ricurva, lo scudo rettangolare e...
Lei trattenne un moto di impazienza. Opiter la riteneva ancora una ragazzina sprovveduta? Forse sì e spettava a lei dimostrare il contrario. — So a cosa ti riferisci — lo interruppe. — Lo sai. Sono cresciuta qui e sono stata a Capua, vivendo presso la scuola gladiatoria di mio cugino Flavio per sette anni. — Teneva in gran conto Opiter, ma purtroppo, come tutti gli uomini, stentava ad abituarsi, o ad accettare, che una donna potesse capire il funzionamento dei combattimenti, gli allenamenti, le mosse e anche le categorie in cui si suddividevano i gladiatori.
— È vero, domina. Ma credevo...
Nel frattempo, lei si era allungata e aveva colto una rosa, recidendo il gambo con le unghie, attenta a non ferirsi con una spina. — Prosegui.
— Quel gladiatore sostiene di essere stato catturato in Britannia, di appartenere a una tribù di cantiaci... Celtes, come li aveva definiti Giulio Cesare durante la sua prima campagna in quelle terre. È uno dei favoriti di tuo padre, che lo ha acquistato tre anni or sono, al mercato degli schiavi. Rutilio Zeno... lo ammira. Ha seguito personalmente la sua formazione sotto la dura frusta di Marzio, il maestro. Ed era entusiasta della fama acquisita dal trace.
— Pertanto ha deciso di rischiare il buon nome della ludus gladiatoria, della sua scuola, per questo... questo... come si chiama?
— Lo chiamiamo Viridis, per gli occhi verdi, non ha mai voluto rivelare il suo vero nome. — Opiter cambiò posizione, quasi fosse a disagio. — All’inizio era ribelle, riottoso, tuttavia sia tuo padre sia Marzio apprezzavano il modo selvaggio in cui combatteva. La sua tempra. La grazia dei movimenti, l’astuzia e la creatività che mostrava. Piace al pubblico, soprattutto a quello femminile. È molto apprezzato anche negli spettacoli, non solo nei combattimenti...
— Sì, sì, ho capito — mormorò Zenobia iniziando a strappare i petali della rosa. — Veniamo al resto.
— Poco alla volta, tuo padre è stato messo da parte. Si è trattato di un processo lento e costante, non ce ne siamo resi conto subito. Gli ingaggi erano diminuiti, ma lo imputavamo agli eventi che hanno sconvolto Roma, dopo la morte di Giulio Cesare. Si dice che Ottaviano abbia assoldato dei sicari per eliminare i propri nemici, i sostenitori della repubblica. C’è stato grande fermento... molti sono fuggiti.
— Mio padre non ha mai preso una posizione politica. Un bravo lanista non lo fa.
— Lo so. Ma ha organizzato quei giochi, per Ottaviano, e in un periodo tanto buio, quindi pensavamo... — Fece una pausa e mosse una mano come a troncare l’argomento. — In ogni caso, molte persone influenti avevano abbandonato Roma. Altri avevano iniziato a rifiutare i suoi inviti, dapprima solo qualche caso isolato. Alla fine, non si presentavano alle stesse feste a cui, prima, avrebbero fatto di tutto per partecipare. Perché non solo quelle feste erano impareggiabili, ma anche un’occasione per stringere patti, alleanze e... — Opiter si sfregò la fronte. — Immagino tu lo sappia bene. Gli ingaggi, negli ultimi tempi, si erano ridotti, fino a sparire. Così tuo padre, pur andando contro il parere di Marzio, si è abbassato a inviare alcuni gladiatori a combattere fuori Roma, presso un mercato dove si fanno scommesse e i gladiatori combattono slealmente, rinchiusi in enormi gabbie...
— So di cosa si tratta, Opiter. Immagino che la voce sia circolata e i sesterzi delle vincite non abbiano ripagato mio padre del disonore. Doveva essere disperato, per arrivare a tanto.
— Lo eravamo. Tutti. E adesso ancora di più.
— Dimmi dell’ultimo tentativo di assassinarlo.
— Un colpo alla testa e una pugnalata all’addome, in un vicolo, dopo che i due gladiatori che lo scortavano erano stati allontanati con un pretesto — mormorò Opiter senza preamboli. — Ma tuo padre non è morto. Non si è arreso. Forse è ancora un gladiatore, nel profondo.
— Hai idea di chi sia il mandante? — domandò in tono pratico, sbrigativo.
— Tuo padre sospetta di Vetranio, per loro la rivalità come lanisti. Ma io...
— Ma tu cosa?
— Io penso che Vetranio non ritenga più tuo padre un rivale. Immagino preferisca vederlo languire nell’oblio che saperlo morto. Ma corrono molte voci, il padrone ha contratto numerosi debiti. Eppure...
— Eppure? — lo incalzò lei.
— Nella mia umile opinione, credo che non si uccida qualcuno che ti deve dei soldi, altrimenti andrebbero persi, e Rutilio Zeno Durmio deve denaro a così tanti mercanti e usurai che un assassinio sarebbe inutile anche come monito. Risulterebbe complicato rivendicar...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. SCHIAVO DEL TUO CUORE
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. Copyright