McReady fece spuntare appena la testa sopra la superficie, e scrutò in lontananza verso nord. Il sole era una sbiadita ruota di luce, sospesa a fatica sull’orizzonte di un tavolato racchiuso nel ghiaccio. Il vento che era iniziato come una folle valanga giù dalle pendici dell’Altopiano Polare Meridionale circa milletrecento chilometri a sud, e s’era rafforzato nella corsa attraverso il continente prigioniero dei ghiacci, non aveva affatto perso il suo mordente. Un vento a cinquanta chilometri all’ora da sudest, affilato da meno venticinque gradi di gelo.
Trasportava aguzzi, fini granelli di ghiaccio, memorie dei loro scavi di tre giorni prima. Non era neve. Lo spoglio altopiano era stato sgombrato dalla neve portata dal vento ere prima; le incessanti bufere avevano spazzato un’enorme chiazza di oltre quindici chilometri di diametro, fino a renderla calva come la gola d’un avvoltoio.
McReady sogghignò sotto la sciarpa che gli imbacuccava la faccia e s’aggiustò gli occhiali. Ci si poteva contare che i fisici avrebbero scelto un posto come quello per appollaiarsi. A quattrocento metri di distanza, la vernice arancione del trattore e la macchia più piccola della slitta che trainava si stagliavano in un crepuscolo che rappresentava le due d’un pomeriggio primaverile… Era ottobre, in effetti. Il 2 ottobre 1939.
Barclay stava correndo nella sua direzione, sottovento, come un uomo in discesa da una collina, sollevando coi ramponi da ghiaccio docce di schegge che s’allontanavano turbinando innanzi a lui. D’improvviso i piedi gli vennero meno, e il vento lo scaraventò via per una decina di metri prima che riprendesse l’equilibrio e si rimettesse di nuovo eretto. L’imbottitura del giaccone e molti strati di indumenti termici lo protessero da serie lesioni.
Quando Barclay raggiunse la Stazione Magnetica Secondaria, il vento catapultò contro i suoi occhiali una scheggia di ghiaccio più grossa. Avrebbe potuto accecarlo, senza quella protezione. McReady si fece indietro, dandogli spazio. Barclay imprecò, s’acquattò per attraversare lo sventolante ingresso di tela, e scese di spalle giù per la scaletta fin nell’anticamera della stazione.
«Maledizione, Mac» disse, con voce attutita da strati di lana, «ti piace tanto questo tempo da restare fuori?»
McReady sorrise lentamente. Il cielo era privo di nubi; solo la tamburellante musica d’organo del vento, simile allo spostamento d’aria di un aereo da trasporto, suggeriva che ci fosse una tempesta.
«È il luogo, che mi affascina. Come meteorologo, sono sempre interessato alle tormente. In ogni altro posto dove sia mai stato, chiamerei così anche questa, ma soffia senza posa da quattro giorni consecutivi, fin dal nostro arrivo qui. Il barometro è precipitato di quasi sessanta centimetri. Mi domando… come sarebbe una vera tormenta, qua fuori?»
Barclay sollevò la testa un pelo più sopra il livello del ghiaccio azzurro, in cui avevano intagliato la Stazione Magnetica Secondaria. Sui suoi occhiali, lampeggiarono riflessi gemelli del biancore del sole.
«Se ci fosse acqua» meditò, «ce l’avremmo fino al collo. A Big Magnet, Dutton segnalava un bel cielo terso, vento da sudovest cinque. Bah! Questo è il peggior luogo del mondo per accamparsi. Ho delle note per gli altri, da Big Magnet, che potrebbero tenerli sottoterra per un po’.»
McReady si protese e legò il telone che fungeva da porta esterna, chiudendolo. Poi attraversarono la porta seguente… fatta di legno… fin nella stazione vera e propria.
Il tetto di telo da tenda era steso su una rete per pollai e assicelle di legno, il tutto tenuto saldo dal peso di grossi pezzi di ghiaccio ricavati durante la costruzione e poggiato su montanti verticali imbullonati. Pannelli di truciolato formavano le pareti laterali. Una stufa in rame, al centro della stanza, riusciva a portare lo strato superiore d’aria a circa venticinque gradi, ma sull’impiantito di legno era sparso un intreccio decorativo di cristalli di ghiaccio. Il vento ringhiava minacce giù per il fumaiolo.
Norris e Vane sedevano sul bordo della branda di Norris, al lavoro su un fascio di fogli di dati. Sopra il livello del tavolo, erano vestiti con maglie di lana grigia a manica lunga, e portavano capelli lunghi fin sulle spalle. Indossavano leggeri calzoni color cachi, e gli abiti crescevano in spessore man mano che s’avvicinavano al pavimento, per finire in calze di lana alte fino alle ginocchia e pesanti stivali foderati di pelliccia. I generi deperibili erano tenuti congelati sul pavimento, mentre alle pile a secco, alla birra e alle scorte di cibo spettava il clima temperato a metà altezza. I tropici vicino al soffitto alto due metri e dieci erano riservati a far asciugare le calze, due completi di biancheria, e alla branda di Vane.
La cucina era stata gettata nel baule degli attrezzi in quel momento, e il suo spazio era occupato dagli strumenti magnetici cui stavano lavorando Norris e Vane. Gli strumenti meteorologici di McReady, di tipo più resistente, erano assicurati alla parete. McReady attraversò il locale per controllare le letture dell’anemometro, registrate su rotoli di carta. Mostravano una linea quasi retta… un vento tra i cinquanta e i sessanta chilometri orari in ognuna delle ultime venti ore. Il termometro indicava maggiore attività, toccando un picco di meno quaranta gradi.
«Ce l’avete fatta a seguire il programma?» Vane alzò lo sguardo verso Barclay.
«Le batterie si sono sgelate abbastanza, ma non reggeranno ancora a molti tentativi. La prossima volta dovrò usare la dinamo, e temo che dovrai chiudere bottega, Vane.» Barclay accennò col capo agli strumenti magnetici. «Dutton ha detto che la mia roba stava giusto arrivando, e nel ricevitore la sua voce era debole. Ecco qua i dati. Cercherò di esprimerli in parole semplici, se non riuscite a leggerli, ma è dannatamente difficile scrivere su quell’aggeggio.»
«Lo so.» Vane annuì. «Ha funzionato, comunque?»
«Be’… in un certo senso. Non mi sono venuti grossi geloni e non mi sono ustionato gravemente, ma usare un fornello da campo come scrittoio non è proprio l’ideale.» Barclay scrollò le spalle. «Il comandante Garry mi ha chiesto se avevate già ottenuto qualche risposta, e ho replicato: “Nessuna, che io sappia”. Giusto?»
«Non proprio.» Norris picchiettò un tozzo dito sopra un abbozzo di mappa su larga scala della zona, che includeva la loro Stazione Magnetica Secondaria come pure il principale campo base antartico al Polo Sud magnetico, a centoventicinque chilometri di distanza. Aveva tracciato una piccola X presso la stazione. «I dati ottenuti da Big Magnet, combinati con quelli ricavati qui nelle ultime ventiquattr’ore, rendono impossibile l’idea della montagna di magnetite. Sembra una meteora o qualcosa del genere. In apparenza una massa assai considerevole di materiale estremamente denso, di gran lunga troppo piccola e concentrata per essere un monte d’ossido di ferro.»
«Un meteorite?» McReady guardò dubbioso il punto segnato sulla mappa. «A circa ottocento metri di distanza, eh? Ma avrebbe effetto sui vostri strumenti a Big Magnet?»
Norris annuì. «Big Magnet è direttamente sul Polo Sud magnetico della Terra, perciò l’ago della bussola dovrebbe puntare dritto in giù. Non c’è componente orizzontale… cioè, l’ago d’una bussola orizzontale direbbe che ogni direzione è il Nord, roteando liberamente su un asse verticale. Per una bussola, il Polo Sud magnetico è quello che per il geografo è il vero Polo Sud, a quasi duemila chilometri di distanza; ogni direzione è verso nord. Se non c’è nessuna attrazione orizzontale, la via più breve per il Nord è proprio in basso.
«Ma abbiamo scoperto, coi nostri sensibili apparecchi, che una componente orizzontale c’era, a indicare una sorta di polo magnetico secondario, molto debole, in quella direzione. È percepibile solo dove non c’è l’interferenza orizzontale del polo magnetico della Terra.» Il suo dito diede un altro colpetto alla X. «E quel meteorite, di qualunque cosa sia fatto, è terribilmente magnetico.»
McReady emise un lieve fischio. «Pensate d’averlo localizzato? Tenterete di trovarlo?»
Vane alzò lo sguardo verso di lui, con un sorriso. «Se scoprissi dove fa il nido la madre di tutte le tempeste… ne andresti in cerca, tu?»
McReady rise. «Grazie, ragazzi, ma credo che abbiate già trovato la madre di tutte le tempeste al posto mio. Il barometro sta precipitando, e in questo posto la condizione normale è un vento di cinquanta chilometri orari. Il comandante Garry dovrà inviare uno degli aerei a vedere se non c’è una catena montuosa che ci incanala queste brezze.» Diede un’occhiata alla mappa. «Credete di riuscire a rintracciarlo, quel meteorite?»
«Certamente» disse Vane. «Se dista solo ottocento metri, non può essere molto in profondità. Potremmo perfino farcela a raggiungerlo materialmente. Sono tanto dannatamente sciocco da sperarlo, e domani mi metterò in cammino con pale e piccozze.»
«Santi numi» gemette Barclay, «altri scavi? Credevo di odiare le pale da neve, ma da quando mi trastullo tra questo ghiaccio del cavolo coi vostri adorati aggeggi non magnetici, la cosa che detesto di più è diventata la piccozza.»
Barclay gettò un’occhiata al baule degli attrezzi. Il coperchio era sollevato di cinque centimetri o giù di lì, e apparivano le estremità di tre piccozze appuntite, che sembravano denti d’una bocca sogghignante.
«Puoi sempre sperare che sia sepolto bello in fondo, così non ce la faremo mai a tirarlo fuori» commentò Norris. «E quegli arnesi di bronzo al berillio non sono tanto male… è roba che taglierebbe qualunque altro metallo.»
«Tutto bene forse per piccozze e coltelli da macellaio» ammise Barclay, «ma ogni stramaledetto scalpello e chiave inglese che abbiamo è fatto di quella lega. Non ha la stessa presa dell’acciaio. Le chiavi giratubi non valgono un fico secco, sull’assale del trattore in acciaio temperato. Quello a cui obietto è il dover utilizzare attrezzi dell’età del bronzo su un prodotto dell’era delle macchine. Anche se la massa magnetica dei trattori vi rende impossibile lavorare vicino a questi, potevate lasciarmi usare attrezzi d’acciaio almeno qui.»
«Evitare la duplicazione» disse Vane, allargando con mestizia le mani. «Assioma numero Uno della ricerca al Polo Sud. Per il lavoro sui raggi cosmici abbiamo dovuto usare anidride carbonica nei contatori Geiger, perché la bombola dell’argon perdeva e non ce n’era di riserva. Se vuoi davvero trascinare in giro settanta chili extra di attrezzi d’acciaio, è un tuo diritto, suppongo. Parlando di duplicazione e scavi… quante bombe alla termite ci sono rimaste?»
«Tre» disse Barclay. «Sono incappato in tutte e tre, cercando di raggiungere la radio sul trattore. Tre cariche da venticinque.»
«Be’, se la tormenta di McReady tarderà un po’, domani andremo a caccia. Penso che Norris farà meglio a starsene sulla slitta con gli strumenti, mentre noi lo traineremo. La triste esperienza mi ha convinto che non si può osservare l’inclinazione di un ago e i propri piedi allo stesso tempo. Questa cupola di ghiaccio può essere spoglia, ma presenta dei bei crepacci in cui cascare.»
McReady sospirò e si sedette sul bordo della sua cuccetta. «Tocca a me fare da cuoco stasera, credo. Se voi altri spostate quella robaccia, allestirò il fornello portatile e vedremo che cosa offre la dispensa. Penso che preparerò un po’ di uova. Tutti d’accordo?»
«Cosa, niente pemmican? Né grasso di foca rancido? Non possiamo tollerare quest’omissione.» Vane scattò a rimuovere l’apparato magnetico. «Fra parentesi, Mac, supponi che abbiano ancora uova, lassù a nord, che si stendano lisce quando le apri? Uova che stiano assieme come il leone e l’agnello, con il tuorlo e l’albume entrambi allargati sul piatto?»
«Se non ti piacciono le uova congelate, non devi mangiarle. Puoi avere quel grasso di foca. E se non ti garba quello, ricordati che la foca non ha chiesto di essere mangiata. Pensavo solo che fosse una buona idea rimpinzarci per il lavoro di domani. O scaveremo per il vostro dannatissimo meteorite, o dovremo assicurare il tetto contro il vento. Ci godremo un po’ di varietà stasera, e domani a colazione potremo avere qualcos’altro. Che ne dite di cacao e cereali?»
«Vediamo, non li abbiamo già mangiati ieri? Stamattina cereali e cacao, ma non è stato cacao e cereali ieri?»
«No, è stato cereali e cacao» gli assicurò McReady. «Li ho messi in tavola io. Barclay, comincia a preparare la cucina quassù. Prima il fornello… su, forza.»
Barclay iniziò dalla cima del baule, frugando rapidamente sempre più in basso. Prima estrasse il fornello. Poi la cassa del cibo.
Il mattino dopo McReady fu il primo ad alzarsi, e sua fu la gioia di accendere la stufa di rame per dissipare il gelo notturno. La Spedizione Garry aveva collaudato, con discreto successo, un nuovo metodo d’esplorazione antartica. Situata al Polo Sud magnetico, la base di Big Magnet si trovava, necessariamente, a cinquecentosessanta chilometri dal più vicino punto accessibile alle navi. L’intero ammasso dell’equipaggiamento della spedizione era stato spedito laggiù coi cinque aeroplani. Ognuno dei sei trattori era stato portato in volo. Ma l’impossibilità di inviare cinquecento tonnellate di carburante così all’interno aveva costretto il comandante Garry a cercare di sfruttare le risorse locali; l’Antartide era nota per avere riserve di carbone maggiori d’ogni area altrettanto vasta della Terra, a eccezione forse degli Stati Uniti. I trattori e la centrale elettrica della spedizione erano a vapore, le stufe per riscaldarsi e cuocere alimentate a carbone.
Il combustibile trovato a trentadue chilometri da Big Magnet consisteva, comunque, in carbone bituminoso di bassa qualità e che lasciava molta cenere. Il compito di McReady di avviare la piccola stufa era, di conseguenza, tutt’altro che facile. Gli sbuffi di fumo ebbero molta efficacia nel costringere gli altri a smontare dalle loro brande, nella gelida temperatura della Stazione Magnetica Secondaria.
«La temperatura esterna» riferì McReady, collocando attentamente un altro pezzo di carbone «è precipitata a meno cinquantotto gradi. È arrivata la tormenta, la condizione abnorme del meteo locale. Dovevo saperlo, in cosa ci saremmo imbattuti.»
«Io non sento niente» disse Barclay.
«È una calma piatta. Barclay, amico mio, temo che oggi scaveremo, a meno che il meteorite non sia felicemente piazzato a gran profondità. Preghiamo.»
«Dannazione. Calma piatta. Oh, be’, la temperatura può scendere, ma è più confortevole del vento. Sta ancora scendendo?»
«A capofitto. Sarà meno sessantacinque gradi, all’ora di metterci in marcia» gli assicurò McReady. «Vai a prendere un po’ di ghiaccio per fonderlo?»
Due ore dopo, il termometro confermò la predizione di McReady. Da un orizzonte all’altro, l’azzurro ghiaccio dello spoglio altopiano si stendeva sotto stelle che ammiccavano, nell’aria più calma e limpida vista da quando avevano raggiunto quella calotta spazzata dal vento. L’orizzonte settentrionale mostrava appena qualche tocco di rosa e cremisi e verde, e il nero mistero dell’orizzonte meridionale si stendeva fino al Polo. Le luci dell’aurora ondeggiavano intorno a loro come tendine luccicanti, intensificandosi lievemente in lontananza a nordest, in direzione della base di Big Magnet e del polo magnetico. Le stelle più brillanti creavano danzanti duplicati cristallini nel ghiaccio scintillante sotto i piedi. In lontananza, a ovest, il ghiaccio che si contraeva sotto il freddo emise il suono lacerante d’una spaccatura, e una successione di rumori più lievi che si diffusero mentre la tensione s’attenuava.
«Sarà l’inferno, se una di quelle fenditure toccherà il campo» borbottò Barclay. «Tagliando il ghiaccio qui l’abbiamo indebolito, perciò potrebbe succedere.»
«Il sondaggio sismico ha mostrato che in questo punto lo strato è profondo tr...