Il suo nome era Morte (Il Giallo Mondadori)
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Il suo nome era Morte (Il Giallo Mondadori)

  1. 176 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il suo nome era Morte (Il Giallo Mondadori)

Informazioni su questo libro

Joyce Dugan, una bella ragazza di ventitré anni, è impiegata in una tipografia di Santa Monica Boulevard. Alle dipendenze del titolare, il signor Conn, si occupa della corrispondenza e della contabilità, e di semplici lavoretti come ripiegare e imbustare materiale ordinato dai clienti. È questo che sta facendo alle quattro di un venerdì pomeriggio di febbraio, un'ora prima della chiusura. Ha tante cose per la testa, Joyce, mentre le mani delicate si muovono veloci piegando volantini pubblicitari. Il pensiero gradevole del fine settimana imminente. Il ricordo doloroso, anche se via via meno frequente, del marito morto da parecchi mesi, e insieme il desiderio di ricominciare, di incontrare un uomo che la ami e torni a renderla completa. Ancora, la lite con la padrona di casa e la disdetta comunicata in modo precipitoso, sicché ora dovrà trovare in fretta una camera in una pensione o traslocare in un albergo. Poi il trillo di un campanello le annuncia che qualcuno ha aperto la porta del negozio. Nei successivi dodici minuti, Joyce compirà un gesto destinato a far scorrere molto sangue. Forse anche il suo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
eBook ISBN
9788835718215

1

Il suo nome era Joyce Dugan, e alle quattro di quel pomeriggio di febbraio non immaginava che prima dell’ora di chiusura avrebbe compiuto un gesto destinato a causare una catena di delitti.
Era una bella ragazza. Un metro e sessanta, cinquantacinque chili ben distribuiti, carnagione chiara, luminosa e liscia come quella di un bambino. Capelli biondi morbidi e ondulati, piuttosto lunghi. Naso leggermente all’insù, con qualche lentiggine chiara sopra e intorno. Bocca che sembrava baciabile, e lo era.
Mani delicate, veloci come topolini bianchi nel ripiegare le brochure pubblicitarie sul banco davanti a lei.
Joyce indossava un abito di lino con le maniche corte, ancora candido e senza una grinza alla fine dell’operosa giornata. Formava un grazioso quadretto, intenta al lavoro; peccato che nessuno fosse lì a vederla. Era sola nella piccola tipografia sul Santa Monica Boulevard. Il signor Conn, l’uomo che gestiva il laboratorio, era uscito un po’ presto, quel giorno; da un quarto d’ora appena.
Fuori, aveva finalmente deciso di non piovere e il sole, che era stato nascosto tutto il giorno dietro le nubi, splendeva luminoso mentre declinava verso l’oceano, in fondo al boulevard.
Joyce guardò con nostalgia quel sole oltre i vetri non troppo puliti della porta e della vetrina, augurandosi che fosse già trascorsa un’altra ora. Abbassò lo sguardo sulla pila di volantini ancora da piegare e si domandò se sarebbe riuscita a finirli in un’ora. Forse sì, decise, purché si fosse affrettata. Lo sperava, perché non le piaceva affatto lavorare dopo l’orario, e le brochure bisognava finirle.
Il cliente che le aveva ordinate sarebbe venuto a ritirarle alle cinque, e se non fossero state pronte per quell’ora, Joyce avrebbe dovuto farlo attendere, e lavorare fuori orario. Ogni minuto dopo le cinque incideva sul tempo che le apparteneva, ed era prezioso.
Il signor Conn non le chiedeva spesso di fare degli straordinari; o almeno, le chiedeva soltanto i pochi minuti necessari a terminare un lavoro che Joyce stava facendo, e che doveva essere finito in giornata. Le poche occasioni in cui aveva veramente lavorato oltre l’orario per diverse ore, lui le aveva aggiunto qualcosa allo stipendio, anche se era stata assunta a salario netto e non subiva trattenute quando le capitava di rimanere assente un giorno o due, ogni tanto. E le aveva concesso una settimana di vacanza pagata appena un mese prima, benché fosse sua dipendente da otto mesi e le ferie non le spettassero ancora, quando le si era presentata l’occasione di andare a sciare o pattinare a Los Padres con due amiche, in automobile. Sì, il signor Conn era un tipo un po’ sinistro sotto certi aspetti, ma era generoso e pieno di premure. Quel pomeriggio, prima di andarsene, le aveva chiesto se era sicura di poter finire di ripiegare le brochure per le cinque, per esempio; altrimenti, sarebbe rimasto a darle una mano lui per un po’. Joyce sperava di non essere stata troppo ottimista assicurandogli che ce l’avrebbe fatta senza fatica.
Lo sperava soprattutto perché era venerdì, e lavorare fuori orario il venerdì le pesava più degli altri giorni, con la vacanza del sabato e domenica tanto vicina.
Per questa ragione, fra l’altro, preferiva di gran lunga l’impiego attuale a quello precedente di commessa in un grande magazzino. I grandi magazzini devono stare aperti il sabato, è la loro giornata di punta. Per il tipografo, invece, non ha importanza: con ogni probabilità di sabato farebbe meno affari degli altri giorni.
Altra ragione per cui Joyce preferiva quell’impiego era che non la costringeva a fare continuamente la stessa cosa, era variato, e il tempo passava più in fretta che nei grandi magazzini e negli uffici, dove capita di dover compiere la stessa mansione per tutta la giornata. Il signor Conn svolgeva tutto il lavoro specializzato di tipografia e incisione (quantunque di quest’ultimo non gliene capitasse molto), e lei, Joyce, faceva più o meno tutto il resto. Badava alla corrispondenza e alla contabilità benché non fosse né stenodattilografa né contabile diplomata; le lettere da scrivere erano così poche e la contabilità così semplice che non si trovava mai in difficoltà. Così piegava volantini, li metteva nelle buste, e svolgeva lavoretti di ogni genere.
Preferiva quel ripiegare a tutti gli altri compiti (o meglio, le riusciva meno ingrato) perché le permetteva di pensare e di sognare. Una volta cominciato, le sue dita operavano automaticamente, il pensiero era libero di spaziare a suo piacimento.
E, grazie al cielo, i suoi pensieri tendevano sempre più a vagare tra cose piacevoli e non a rimpiangere Joe. Ogni giorno, ormai, si sorprendeva a pensare sempre meno a lui e si diceva che così doveva essere. L’anno che era stata moglie di Joe Dugan era stato il più felice della sua vita, e probabilmente non sarebbe mai più stata tanto felice. Ma Joe era morto da sedici mesi, quasi diciassette, oramai, e nemmeno lui avrebbe voluto che passasse il resto dell’esistenza a piangerlo. Le avrebbe detto: “Perbacco, tesoro, un bel pezzo di figliola come te buttarsi via così! Hai solo ventitré anni! Va’ in mezzo alla gente, datti da fare. Io non sono l’unico sassolino della spiaggia”.
Questo le avrebbe detto Joe, se fosse stato lì. Ma ovviamente se Joe ci fosse stato ancora...
Con un sospiro, Joyce tornò a guardare l’orologio a muro e cercò di far correre le dita più velocemente.
Sì, era tempo di pensare sempre meno a Joe, e soltanto come a un ricordo meraviglioso (e lo sarebbe stato per sempre), e di cercare qualcuno da amare, qualcuno che tornasse a renderla completa.
Ci aveva provato. Quella settimana a Los Padres aveva provato, aveva fatto il possibile per sentirsi attratta dal giovanotto con i capelli neri, lisci e lustri, che sapeva ballare tanto bene, ma non ne era stata capace, semplicemente. Non con un tipo come quello, che probabilmente si era divertito soltanto a cercare di farla cadere.
Tornò a sospirare, a guardare l’orologio.
L’indomani, sabato, avrebbe avuto un bel daffare a cercarsi una stanza nuova e a traslocare, tutto in un giorno. O almeno a traslocare in un albergo, se non avesse trovato una camera in una pensione. Ora, avrebbe preferito non aver avuto quell’aspra discussione con la signora Prescott, la sua padrona di casa (benché fosse stata tutta colpa della signora Prescott e Joyce avesse fatto il possibile per dimostrarsi ragionevole), e non aver dato la disdetta. Ma l’aveva fatto, e la signora Prescott era stata così odiosa in proposito per tutta la settimana che ormai Joyce non avrebbe più potuto ritornare sulle sue decisioni. Doveva trovarsi un’altra stanza, o andare in un albergo, la qual cosa significava dover traslocare poi un’altra volta.
Ma dopo il trasloco avrebbe cominciato a uscire un po’ di più, sarebbe andata a ballare e così via. Avrebbe cercato dei locali dove le si sarebbe offerta l’occasione di conoscere uomini simpatici e per bene, uomini che potessero piacerle. Era quello il guaio di lavorare in una tipografia così piccola: il suo impiego non le faceva conoscere quasi nessuno. Quando c’era il signor Conn, andava sempre lui in negozio a parlare con i clienti, e il signor Conn c’era quasi sempre. Joyce aveva potuto conoscere solo i pochi clienti fissi e alcuni amici del signor Conn che venivano a trovarlo una volta ogni tanto. E si trattava sempre di uomini troppo anziani per lei; avevano quasi tutti il doppio dei suoi anni. Qualcuno simpatico c’era, beninteso... specialmente quell’amico del signor Conn che si chiamava Charlie Barrett ed era sergente della polizia investigativa di Santa Monica. Trovava sempre tempo di scambiare una parola con Joyce e di scherzare con lei, ma in maniera simpatica. Troppo vecchio per lei, però, come tutti gli altri, e poi non veniva più da qualche tempo. C’era anche il signor Gutzmer, quello che sarebbe venuto alle cinque per i volantini che lei stava ripiegando. Anche quello era simpatico, ma...
Il trillo di un campanello le disse che qualcuno aveva aperto la porta del negozio, ma prima di guardare in quella direzione, Joyce levò lo sguardo all’orologio. Dieci alle cinque. Ecco, se si trattava del signor Gutzmer per le brochure, era in anticipo, lei ne aveva ancora per dieci minuti buoni prima di finire; avrebbe dovuto farlo aspettare. Poi volse lo sguardo all’uscio e vide che non si trattava del signor Gutzmer.
C’era un giovanotto alto, dalle spalle larghe, con i capelli rossi e un sorriso indefinito. Lo conosceva, ma non riuscì a dargli un nome per qualche istante. Anche lui la fissava con aria perplessa. Poi, Joyce ricordò.
— Claude Atkins — disse dubbiosa.
— Joyce! — C’era arrivato anche lui. Venne ad appoggiarsi al banco. — Dove sei stata in tutti questi anni?
— Qua e là — rispose lei.
Tutti quegli anni. Cinque, almeno... no, sei. Per forza non si erano riconosciuti subito. Lei aveva diciassette anni e lui diciotto, quando si erano conosciuti alle superiori. Claude si era diplomato un anno prima di lei e ciascuno aveva seguito la propria strada; lei aveva immaginato che si fosse trasferito altrove. Poi, conosciuto Joe Dugan, Joyce aveva dimenticato di essersi un giorno creduta innamorata di Claude Atkins.
— Mio Dio, quanto sei cresciuta, carina — disse lui.
Joyce rise. — Sei cresciuto anche tu, Claude. — E cambiato in meglio, pensò. I sei anni che intercorrono tra i diciotto e... doveva averne ventiquattro o venticinque, ormai... hanno una grande importanza. Allora era un ragazzo, e adesso era un uomo; non proprio un bell’uomo, ma un uomo terribilmente affascinante. Con tanta gente al mondo, proprio lui doveva capitare nella tipografia del signor Conn mentre lei si abbandonava a quei pensieri.
— Perbacco, è un piacere rivederti. Di’ un po’, c’è il signor Conn?
Lei fece un cenno di diniego. — Rincasato più di un’ora fa. Posso rendermi utile?
Lui rise. — Domanda che sollecita una risposta, come nessuna. Ma non ti ha parlato di me, Conn, non ha lasciato niente per me?
Joyce tornò a scuotere il capo. — No. Avrebbe dovuto?
— Certo. Mi doveva dare del denaro, oggi. Sei sicura che non torni?
— Sicura, Claude. Se ne sarà dimenticato. Eppure la contabilità gliela tengo io, e avrei dovuto sapere... Di che si tratta?
— Non di un affare. Niente che si riferisca alla tipografia, comunque. Ieri sera ci siamo scambiati le macchine.
— Scambiati le macchine?
Claude ridacchiò. — Sì, in un bar. Sembra pazzesco, ma non lo è stato. Stavamo bevendo, si è cominciato a chiacchierare e gli ho detto che mi piacevano le decappottabili. Lui dice che ne ha una e che gli piacerebbe cambiarla; io gli offro la mia berlina. Pensavo che scherzasse, perché la mia è del ’41, e credevo che la sua valesse parecchio di più. Invece era del ’41 anche la sua. Visto che avevamo tutti e due la macchina fuori, siamo usciti per esaminarle e provarle.
— E le avete semplicemente barattate?
— All’incirca, insomma. Oh, abbiamo un poco mercanteggiato. La mia era in condizioni migliori. La sua aveva bisogno di riparazioni, tra cui la revisione del motore. Potrei farle io (sono meccanico), ma occorre denaro per i pezzi di ricambio, senza contare la perdita di tempo. Alla pari, non avrei ceduto. Lui poi ha acconsentito a darmi novanta dollari in aggiunta.
“Abbiamo firmato i documenti sul posto, ma il signor Conn non aveva con sé la somma e neppure il libretto degli assegni; allora mi ha pregato di passare dal negozio oggi, a pomeriggio inoltrato, e mi avrebbe dato i novanta dollari in contanti.”
— Perbacco, Claude, deve essersene proprio dimenticato, perché è uscito presto. Ma penso sia andato a casa. Vuoi che gli telefoni, per accertarmene?
— Lo faresti, tesoro? Contavo di incassare oggi... Ho bisogno di un po’ di soldi per il fine settimana.
Joyce andò alla scrivania e sedette per comporre il numero. Quasi subito udì la voce del signor Conn.
Aveva appena cominciato a spiegare che lui la interruppe: — Oh Dio mio, Joyce... Me ne sono completamente dimenticato. Vuoi fargli un assegno per novanta dollari esatti? E dirgli che mi dispiace per questo contrattempo...
— Senz’altro, signor Conn.
Posò il ricevitore e, preso dal cassetto il libretto degli assegni, si accinse a compilarne uno.
Atkins la fermò per dirle: — Ehi, Joyce, non puoi darmeli in contanti? Le banche sono chiuse, ormai, e domani è sabato. Non saprei come incassare, prima di lunedì.
Lei si volse a guardarlo. — Claude, non so. Il signor Conn mi ha detto di darti un assegno... Aspetta, gli telefono ancora e glielo chiedo.
Compose il numero e le rispose il segnale di occupato. E adesso mancavano cinque minuti alle cinque; avrebbe dovuto lavorare oltre l’orario a quelle benedette brochure e fare aspettare il signor Gutzmer. Oramai non poteva più finire per le cinque, anche se il signor Conn le avesse detto di pagare in contanti. E ora che ci pensava, non era nemmeno certa che in cassa ci fossero novanta dollari. Era raro che ce ne fossero di più, e talvolta ve n’erano di meno. Quel giorno non aveva avuto occasione di controllare il denaro. Oh, ma ce n’era a sufficienza in cassaforte, senz’altro, in quella busta con i biglietti nuovi da dieci dollari; almeno una dozzina, ce n’erano. Si trovava sul ripiano dove il signor Conn teneva i documenti personali, le polizze dell’assicurazione e così via; il giorno prima, quando aveva aperto la cassaforte, la busta era caduta, e nel riporla aveva notato il contenuto.
Avrebbe chiesto al signor Conn se poteva servirsi in parte di quel denaro se non le bastava quello della cassa. Dopo tutto, aveva promesso a Claude di pagarlo in contanti e non avr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. IL SUO NOME ERA MORTE
  4. PERSONAGGI PRINCIPALI
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. I RACCONTI DEL. GIALLO
  15. Copyright