
- 168 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La mafia spiegata ai ragazzi
Informazioni su questo libro
Antonio Nicaso ha raccolto in questo libro le principali informazioni sulla mafia e sulle mafie, in Italia e nel mondo, ma anche sui metodi di lotta alle organizzazioni mafiose e sull'educazione alla legalità. Perché l'arma più potente per combattere la mafia è la conoscenza.
Edizione aggiornata con la prefazione di Gian Antonio Stella.
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Informazioni
Print ISBN
9788804752097eBook ISBN
9788835715009LA MAFIA
• Come si può definire la mafia?
Io non so molto della mafia perché mi è sempre parsa una cosa complicata da capire. Per esempio le regole, come si manca di rispetto e perché reagiscono in un certo modo.Ma credo che la mafia ci sia ovunque, anche al Nord, solo che lo nascondono bene: al Sud invece lo fanno alla luce del sole.Chiara, 14 anni
Gerlando Alberti, vecchio boss di Palermo, a un poliziotto che gli chiede cosa sia la mafia, risponde ridendo: «Che cos’è? Una marca di formaggio?».
Totò Riina, uno dei mandanti delle terribili stragi di Palermo, alla domanda di un magistrato, finge di non conoscerla: «Questa mafia di cui tutti parlano io l’ho letta solo sui giornali».
Anche Girolamo “Mommo” Piromalli, importante boss della ’ndrangheta, risponde con sarcasmo: «Che cosa è la mafia? È qualcosa che si mangia? È qualcosa che si beve? Io non conosco la mafia, non l’ho mai vista».
Nonostante quello che dicono i boss mafiosi, noi sappiamo che la mafia esiste sul serio. E sicuramente non è una marca di formaggio.
“Mafia” è un termine generico, spesso utilizzato per definire varie forme di criminalità organizzata.
Quando questa parola non è accompagnata da aggettivi, si fa riferimento alla mafia siciliana, una potente organizzazione criminale che gode di consenso sociale e di relazioni con la politica, le istituzioni e l’economia. In altre parole, intreccia rapporti con persone che dovrebbero combatterla: magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine, funzionari pubblici, politici, preti e reinveste nell’economia legale i soldi accumulati con la violenza.
La mafia non è semplicemente una forma di criminalità, ma una cosa molto più potente, organizzata e pericolosa. Il suo obiettivo è quello di ottenere denaro e potere, per i quali usa la violenza e uccide, se occorre.
Per definirla bastano solo tre parole: delirio di onnipotenza.
Il mafioso ritiene di avere un potere assoluto che cerca di accrescere in ogni modo.
Per combatterla seriamente bisogna metterne in discussione anche i miti: la mafia dell’onore e del rispetto non è mai esistita. Si fa chiamare sole, ma non fa luce.
• Com’è organizzata la mafia?
Per me la mafia è una grande organizzazione che è in tutto il mondo. È una organizzazione dove girano tanti soldi e dove secondo me c’entrano anche i politici. Sembrano delle persone normali ma non lo sono.Luca, 13 anni
La mafia siciliana è strutturata come una piramide, alla cui base c’è la cosca o la famiglia che controlla un quartiere, una borgata, un intero paese.
La famiglia è composta da picciotti o “soldati”, coordinati per ogni gruppo di dieci da un capo detto capodecina.
I capidecina, a loro volta, rispondono al boss, il capo della famiglia, che viene nominato con una vera e propria elezione. Il boss, detto anche rappresentante, è spesso affiancato da un vice e da uno o più consiglieri, scelti tra mafiosi con riconosciute doti di equilibrio e di esperienza.
In caso di arresto del capo o di mancata elezione, vengono nominati uno o più reggenti. Ovvero dei sostituti temporanei. Il coordinamento delle famiglie è compito della commissione provinciale, un gruppo di cui fanno parte i capimandamento, cioè i rappresentanti di tre o più famiglie che occupano territori confinanti tra di loro. Ogni provincia elegge un rappresentante che fa parte della commissione interprovinciale o cupola, il vertice della piramide, che serve per regolare affari e interessi sul territorio regionale.
Nonostante la rigidità della sua struttura, la mafia è un’organizzazione molto flessibile, capace di aggiornarsi, di adeguarsi e di adattarsi a ogni situazione. Come il camaleonte si confonde tra le foglie, così la mafia cambia pelle per passare inosservata negli ambienti sfavorevoli. Ma è sempre pronta a sfruttare ogni circostanza per conquistare ricchezza, rispetto e obbedienza.
Con la politica crea rapporti fruttuosi e sistematici. I boss si impegnano a votare e a far votare i politici che, per questo sostegno, sono disposti a tutto. Una volta eletti, restituiscono il favore ai mafiosi che, puntualmente, si presentano per raccomandazioni, appalti, protezioni.
LA LEGGE ANTIMAFIA
L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri.
Articolo 416 bis della Legge n. 646 del 13 settembre 1982 (Legge Rognoni-La Torre o legge antimafia)
• Quando nasce la mafia?

Nella prima metà dell’Ottocento, vi sono unioni, fratellanze, sette di ladri che hanno una rudimentale struttura organizzativa e usano rituali e giuramenti per reclutare nuovi affiliati. Sono uomini che spesso mettono la violenza al servizio delle classi dirigenti con lo scopo di gestire l’ordine pubblico, ma anche di impedire che i contadini possano porre in discussione vecchi e nuovi privilegi del potentato fondiario. Molti proprietari terrieri si servono anche di compagnie d’armi con il compito di controllare la criminalità diffusa soprattutto nelle campagne.
Durante la spedizione di Garibaldi in Sicilia, migliaia di «violenti» vengono messi a disposizione del Generale per rovesciare il regime borbonico. È una manovra dei grandi proprietari terrieri e degli industriali, anche inglesi, per scongiurare che in Sicilia possano realizzarsi i cambiamenti evocati dallo stesso Garibaldi, il quale a Calafafimi ha promesso pane e terra. «Facciamo prima la rivoluzione politica e poi pensiamo a quella sociale» è l’interessato suggerimento di chi vuole cambiare tutto per non cambiare nulla.
Di mafia si comincia a parlare dopo il 1863 in seguito al successo di una rappresentazione teatrale dal titolo “I mafiusi di la Vicarìa”. Dopo l’unificazione d’Italia, i mafiosi si affermano anche grazie a una pianta: quella dei limoni di cui è ricca la Sicilia.
In quegli anni, i limoni siciliani sono molto richiesti a Londra e a New York. La marina inglese, dalla fine del Settecento, li utilizza per combattere lo scorbuto, una malattia causata dalla mancanza di vitamina C. Per crescere, i limoni hanno bisogno di tanta cura e di grandi investimenti. Per rovinarne il raccolto basta poco, talvolta anche una breve interruzione nella fornitura d’acqua.
Questa ricchezza attira subito l’attenzione dei mafiosi che cominciano a danneggiare le piante per costringere alcuni proprietari ad assumerli come guardiani. Creano il disordine per poi garantire l’ordine. Fanno nascere un bisogno di sicurezza al quale essi stessi offrono risposta.
C’è anche una mafia che emerge nelle città e attorno alle zolfare, grazie allo sfruttamento della manodopera, un sistema che verrà utilizzato anche negli Stati Uniti. Col tempo, la mafia si affranca dal condizionamento delle classi dirigenti e diventa un potere tra i poteri.
LA MAFIA NASCE COME FENOMENO DI CONTROLLO SOCIALE
C’erano già tracce di mafia prima dell’Unità d’Italia. Era una cosa senza nome, nata grazie alla legittimazione delle classi dirigenti come fenomeno di controllo sociale.
• Cosa significa la parola “mafia”?
Sulla parola mafia si è scritto molto. L’etnologo Giuseppe Pitré racconta che, all’inizio, soprattutto nel borgo marinaro di Palermo, mafia indica “bellezza, grandiosità, perfezione”. Tutto il contrario di ciò che rappresenta oggi. Nel tempo alla parola mafia vengono attribuiti significati e origini diverse. C’è chi la fa derivare dal latino, chi dal francese e chi, invece, dall’arabo, riscontrando similitudini con afiah che significa forza e maha fat che vuol dire protezione, immunità.
Definizioni che, anche se non spiegano pienamente il significato, aiutano a ricostruire l’origine della parola che compare per la prima volta in una lettera poco nota del generale Alessandro Della Rovere, luogotenente del re in Sicilia, successivamente divenuto Ministro della Guerra.
Da Palermo, città in cui vive, nel 1861 scrive al conte Giovanni Thaon Di Revel: «Qui v’è pure la camorra, non meno cattiva della napoletana. La chiamano maffia». Nel 1864 Nicolò Turrisi Colonna pubblica il primo libro che si occupa di mafia, senza mai citarne il nome. Colonna, già deputato al Parlamento siciliano nel 1848, fa riferimento a una setta costituita in prevalenza da ladri di campagna e da contrabbandieri di città, attorno alla quale ruotano interessi, consensi e manovre politiche.
Il 25 aprile del 1865 la parola maffia (ancora con la doppia effe) viene utilizzata in un rapporto inviato al ministro dell’interno da Antonio Filippo Gualterio, allora prefetto di Palermo.
In questo documento, la mafia viene descritta come “una setta malandrinesca”, di cui si servono anche politici e proprietari terrieri che spesso rischiano di diventarne vittime.
Nel 1869, invece, il termine viene registrato nel vocabolario siciliano curato da Antonino Traina, con il significato di “braveria, baldanza, spocchia”.
Sono però Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino a far scoprire la mafia agli italiani, con un’inchiesta pubblicata nel 1877. Sono entrambi intellettuali toscani, ricchi, giovani e impegnati in politica. Sonnino diventerà presidente del Consiglio dei Ministri del Regno (1906-1909). Nell’inchiesta i mafiosi vengono definiti “facinorosi della classe media” che si servono di delinquenti e assassini, ma che ricevono protezione dal potere politico. È una intuizione importante: la classe media a cui fanno riferimento è quella dei proprietari terrieri, dei nuovi ricchi.
Al di là dell’origine della parola è però importante ricordare che i mafiosi non chiamano mafia la loro organizzazione.
Loro amano definirla Cosa Nostra perché vogliono affermare, da subito, che è una cosa che appartiene a loro e a nessun altro. Come i loro affari, le loro attività.
Si racconta che, negli anni Trenta, quando negli Stati Uniti, i boss si riuniscono per dare un nome all’organizzazione che comincia a prendere forma dopo il proibizionismo, Lucky Luciano propone: «Niente nomi, così questa cosa nostra non potrà essere chiamata da nessuno e noi resteremo invisibili».
Forse è solo una delle tante leggende metropolitane, ma il messaggio era ed è ancora oggi chiaro: non occupatevene, è cosa nostra. Anzi, cosa loro.
LA MAFIA È ANCHE DENTRO LO STATO
La mafia era ed è un sistema che [...] contiene e muove interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel vuoto dello Stato (cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca) ma dentro lo Stato. La mafia, insomma, altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta.
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta
DENTRO LA MAFIA C’È DI TUTTO
Ogni uomo d’onore si sente tale. E lo sa, lo ripete dentro di sé continuamente, e si sente superiore a qualsiasi altro malvivente. Quando vede i ragazzi della criminalità comune li osserva bene, li coltiva nell’ipotesi di farne entrare qualcuno nell’associazione. La furbizia di Cosa Nostra è sempre stata quella di essere l’associazione degli uomi...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- La mafia spiegata ai ragazzi
- PREFAZIONE. DI GIAN ANTONIO STELLA
- QUANDO DELLA MAFIA NON SI PARLAVA
- LA MAFIA
- LE ALTRE MAFIE ITALIANE
- LE ORGANIZZAZIONI MAFIOSE NEL MONDO
- LA LOTTA ALLA MAFIA
- IL FUTURO DELLA MAFIA
- PER SAPERNE DI PIÙ
- RINGRAZIAMENTI
- RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- Copyright