Quando mi si avvicinò, quella sera, non lo riconobbi subito.
Stavo rientrando a Santo Spirito, dove il giorno dopo avrebbero innalzato il mio crocifisso sull’altare della chiesa perché il priore lo considerava talmente bello da pensare che sarebbe stato uno spreco metterlo in sagrestia.
Mi veniva incontro, un po’ gobbo sotto un peso che portava sulle spalle. Il vicolo era talmente stretto che non avrei potuto evitarlo in nessun modo.
– Michelangelo, sei tu?
Eravamo ancora lontani, ma si vede che la mia camminata, un po’ goffa e irregolare, era inconfondibile.
– Chi sei? Che vuoi da me?
Di quei tempi non c’era da stare tranquilli a Firenze, soprattutto di notte. Girolamo Savonarola, un frate domenicano del Convento di San Marco, dopo la morte di Lorenzo il Magnifico aveva cominciato ad alzare la voce contro i ricchi che, secondo lui, facevano scandalo con le loro feste, le loro case fastose, gli abiti preziosi e ogni tipo di piacere. Il monaco predicava la povertà assoluta e si scagliava contro tutti i libri che non parlavano di Dio e contro tutte le opere d’arte che non erano ispirate a Gesù, la Madonna e i santi. I suoi discorsi erano talmente forti e appassionanti da convincere molti giovani a girare per la città assalendo i nobili fiorentini: di lì a poco sarebbero entrati nelle case per bruciare libri e quadri che secondo il Savonarola andavano cancellati per sempre.
C’era una brutta aria in città .
– Sono il Cardiere.
Era uno dei saltimbanchi che avevo visto esibirsi più volte durante i banchetti del Magnifico. Portava sempre con sé la sua chitarra.
– Salve, non ti avevo riconosciuto così, nel buio. Come te la passi?
– Non bene, caro mio. Con la morte di Lorenzo, sembra che tutta Firenze sia in lutto. Nessuno vuole più sentirmi cantare… però c’è una cosa che mi preoccupa ancora di più.
– Anche tu hai paura dei seguaci di Savonarola?
– No, per ora nessuno mi ha disturbato. Invece, ho paura dei miei sogni.
– Cosa intendi dire?
– L’altra notte mi è apparso Lorenzo de’ Medici, coperto da una veste nera tutta strappata. Mi ha ordinato di rivelare a suo figlio che presto sarà cacciato da Firenze.
Quella storia mi divertiva, perché io non sono superstizioso, non credo nelle visioni o negli spiriti che vengono a parlarti nel sonno. Però stetti al gioco per non deludere quel poveretto, che sembrava davvero atterrito.
– Ma è terribile! L’hai detto a Piero?
– E come potrei? Pensi che mi crederebbe? Temo che potrebbe farmi picchiare dai suoi soldati.
– Quante volte hai parlato col Magnifico in sogno?
– Diverse. L’ultima volta mi ha rimproverato: «Che aspetti a parlare a mio figlio? Vuoi bruciare all’inferno?». Ho paura… Non so che fare!
– Messa così, non avrei dubbi ad andare da Piero. Almeno fai contento uno dei due Medici. Se il Fatuo non è fesso, ti crederà .
Ma Piero era grullo proprio come tutti lo descrivevano. Quando si vide arrivare il saltimbanco con quella premonizione, ordinò ai suoi staffieri di insultarlo.
– Tu sei pazzo – gli dissero. – A chi credi che Lorenzo voglia più bene, a suo figlio o a te? Non pensi che sarebbe apparso a lui personalmente, per avvertirlo di un fatto così importante?
Quanto alle premonizioni, quella volta fui smentito.
Non so come, ma il Cardiere ci aveva visto giusto: passarono pochi giorni e una rivolta di popolo costrinse Piero a fuggire da Firenze. I cittadini non gli avevano perdonato di aver fatto un accordo con Carlo VIII, il re di Francia, sottoponendo la città al suo controllo.
Per la prima volta, pensai che fosse il caso di partire: non avevo lavoro, Savonarola stava rendendo sempre più difficile la condizione degli scultori e dei pittori, condannando chiunque spendesse soldi per opere d’arte, la mia vicinanza ai Medici avrebbe potuto suscitare contro di me l’odio di qualcuno dei suoi seguaci.
Meglio andarsene.
Ma dove?
– Ho sentito che a Venezia c’è un gran fermento. I pittori, gli scultori, gli architetti sono sommersi di richieste.
Granacci era sempre stato il più saggio tra noi due, quello che non si faceva annebbiare la vista dall’agitazione, ma sapeva leggere le cose con serenità , anche in mezzo alla tempesta.
– Dici? Dovrei spingermi fino a Venezia?
– In tre giorni di cavalcata dovresti arrivare. Ricordati che sei fiorentino come Dante, Petrarca e Boccaccio, i nostri sommi poeti, amati in tutta Europa. Sono sicuro che ti accoglieranno bene.
Un po’ perché sono timido di natura, un po’ perché non ero mai uscito da Firenze, iniziai quel viaggio con una certa preoccupazione. Avevo con me pochi fiorini rimasti dagli ultimi stipendi ricevuti da Piero, ma non avrei potuto viverci a lungo, soprattutto in una città lontana in cui non conoscevo nessuno.
Il percorso da Firenze a Venezia era uno dei più frequentati, perché tra le due città avvenivano molti scambi commerciali. I sentieri erano piuttosto chiari, tra boschi, vallate e piccoli borghi dove non mancavano locande per dormire. Decisi di fermarmi in un’osteria nei pressi di San Piero del Mugello: sembrava abbastanza grande da poter accogliere anche viaggiatori di passaggio per la notte.
Presi una camera piccola, in una zona costruita tutta in legno. Per fortuna il clima primaverile manteneva la temperatura mite anche di notte: mi sarei difeso bene dagli spifferi con l’unica coperta che avevo a disposizione e mi sarei stretto alla mia sacca, dove oltre ai soldi portavo un martello e uno scalpello. Pensavo potessero essermi utili se avessi trovato un lavoro, ma anche per difendermi in caso di pericolo.
Durante la cena (un pezzo di stinco di maiale alla brace, una fetta di pane e una brocca di birra buonissima) mi accorsi che quella sera eravamo soltanto in due a passare la notte in quel posto. Sul lato opposto del salone sedeva un uomo elegante, immerso nei suoi pensieri. Dovevamo essere entrambi molto timidi, perché non ci scambiammo nemmeno uno sguardo, cosa che in quelle situazioni capita invece facilmente tra viaggiatori.
L’oste si dimostrò cortese e generoso nelle porzioni.
– Se durante la notte vi viene fame, qui sotto potete trovare sempre del pane e del formaggio. Lo pagherete domani mattina.
E io che avevo sempre considerato le locande dei posti pericolosi, gestiti da ladri e approfittatori!
Salii in camera con una certa inaspettata serenità . Lanciai uno sguardo sul retro per vedere se il mio cavallo avesse consumato la biada che gli era stata messa sotto il muso: tutto in ordine, pensai, potevo andare a riposare.
Ma avevo parlato troppo presto.
Non erano anni in cui si poteva stare tranquilli, da nessuna parte.
Non so da quanto mi fossi addormentato: non molto, a giudicare dal tempo che ci misi a capire cosa stesse succedendo. Non so se fu l’urlo o il tonfo che seguì a svegliarmi. Ebbi un rigurgito di birra appena mi sollevai dal letto e nella fretta urtai la testa contro la lampada appesa al soffitto. Fuori dalla mia camera era tutto uno sbattere contro le tavole di legno del pavimento e un gridare insulti.
– Farabutto! Aiuto! Aiuto!
Mi precipitai fuori dalla stanza. Dalle fessure del tetto entravano sottili lame di luce.
«Deve esserci la luna piena» pensai.
In fondo al corridoio intravidi una porta aperta e riconobbi il rumore di una rissa.
Grida, sbuffi, colpi assestati a vuoto, botte.
Rientrai giusto il tempo di prendere il mio martello e avventurarmi lungo il corridoio.
Misi il muso oltre la soglia e vidi un uomo incappucciato che brandiva un bastone contro l’ospite elegante che avevo visto la sera a cena. La vittima era a terra, scalciava cercando di bloccare il colpo dell’aggressore.
– Fermati o ti do un colpo di martello in testa!
Il mascalzone si girò, si raddrizzò e mi allontanò con una spinta per infilarsi giù per le scale.
Fu talmente veloce che non riuscii a inseguirlo.
Che spavento!
– Messere, tutto bene?
– Sì, mi pare di sì. Quel ladro voleva uccidermi.
– Ha rubato qualcosa?
Allungò lo sguardo sulla parete.
– Per la verità no, non ha toccato nemmeno la mia sacca appesa dietro la porta.
– Ma tiene lì i suoi soldi? Non è prudente!
– No, certo, li metto sotto il cuscino ogni notte. Però lui non poteva saperlo. Ma si è avventato subito su di me, senza nemmeno tentare di prendere niente, nemmeno la cintura o le scarpe.
– Comunque, l’importante è che stia bene.
– Solo grazie a lei. Senza il suo intervento, non avrei resistito ancora molto sotto i suoi colpi –. L’uomo si alzò in piedi, mi venne vicino e tese la mano. – Gianfrancesco Aldrovandi, bolognese. Le sono debitore.
– Michelangelo Buonarroti, fiorentino.
– Ah, ma io ho sentito parlare di lei! È stato Lorenzo de’ Medici: io e lui eravamo in affari. Ogni tanto mi è capitato di partecipare ai suoi banchetti, ma nella confusione che c’era non mi pare di averla mai vista.
Lorenzo continuava a starmi accanto anche dopo la sua scomparsa, pensai.
– Non mi piace molto dare nell’occhio. Ho sempre cercato di stare in disparte in quelle occasioni. Spero che il Magnifico, buonanima, le abbia detto cose belle sul mio conto…
– La stimava molto. Aveva puntato su di lei. Diceva che sarebbe diventato il nuovo Donatello!
– Senza un mecenate come lui è impossibile che accada, purtroppo.
– Dove sta andando? Io a Firenze. Possiamo fare un tratto di strada insieme?
– La ringrazio dell’offerta, ma io sono diretto a Venezia.
– Splendida città . Le piacerà .
Ci stringemmo la mano e tornammo nelle nostre stanze.
Credo che nessuno dei due riprese sonno, quella notte. Io rimasi sempre attaccato al mio ...