DA PIERGIORGIO ODIFREDDI - 10 APRILE 2013
Caro padre Georg Gänswein,
la disturbo, tramite il comune amico don Antonio Pelosi,1 per chiederle un favore: spero, non troppo gravoso.
Lei non mi conosce, ma sono un matematico ateo, noto (o notorio) anche per le sue posizioni sulla religione. Un paio di anni fa, dopo aver letto la Introduzione al cristianesimo dell’allora Joseph Ratzinger, ne sono rimasto impressionato, e ne ho scritto un commento in forma di lettera aperta, uscito da Mondadori nel 2011 con il titolo Caro Papa, ti scrivo.
All’epoca non mi sono preoccupato di farlo avere a Sua Santità, conscio del fatto che egli avesse ben altro da fare e a cui pensare. Ma, dopo le sue dimissioni, mi sono detto che forse ora avrà almeno qualche momento di respiro, e mi piacerebbe farglielo avere in occasione del suo compleanno (anche il libro-lettera è formalmente datato 16 aprile). Non nella speranza che lo possa o voglia leggere, ma almeno che lo veda, e magari lo sfogli.
È un tentativo onesto, credo, di affrontare le problematiche del rapporto Fede-Scienza dal punto di vista di uno scienziato ateo. Sono naturalmente in contatto con il cardinal Ravasi, che conosco e apprezzo come uomo di cultura, per possibili iniziative legate al Cortile dei Gentili. Ma con l’invio di questo libro vorrei fare un omaggio diretto, per quanto indegno del destinatario, al “papa teologo”.
Mi permetto di far avere una copia anche a lei, e la ringrazio di cuore per ciò che potrà e vorrà fare. Naturalmente, se pensa che l’invio possa solo arrecare disturbo, o possa non risultare gradito, la prego ovviamente di soprassedere.
Grazie ancora, e scusi di nuovo il disturbo.
Con molta cordialità.
Piergiorgio Odifreddi
DA BENEDETTO XVI - 30 AGOSTO 2013
Illustrissimo Signor Professore Odifreddi,
anzitutto devo chiedere scusa per il fatto che solo oggi ringrazio per l’invio del Suo libro Caro Papa, ti scrivo,2 come anche per le gentili righe che, in questa occasione, attraverso l’Arcivescovo Gänswein ha rivolto indirettamente anche a me. Ma non volevo scrivere prima di aver letto il libro, e poiché tuttora gravano su di me vari lavori, solo adesso ho terminato la lettura.
Oggi vorrei dunque finalmente ringraziarLa per aver cercato fin nel dettaglio di confrontarsi con il mio libro e così con la mia fede; proprio questo è in gran parte ciò che avevo inteso nel mio discorso alla Curia Romana in occasione del Natale 2009.3 Devo ringraziare anche per il modo leale in cui ha trattato il mio testo, cercando sinceramente di rendergli giustizia.
Il mio giudizio circa il Suo libro nel suo insieme è, però, in sé stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell’avventatezza dell’argomentazione.
Mi piacerebbe rispondere capitolo per capitolo, ma per questo, purtroppo, non bastano le mie forze. Scelgo, quindi, alcuni punti che mi sembrano particolarmente importanti.
I
Mi meraviglio anzitutto che Lei, nelle pagine 16 e seguenti, interpreti la mia scelta di andare oltre la percezione dei sensi per scorgere la realtà nella sua grandezza come “un’esplicita negazione del principio di realtà” o come “psicosi mistica”, mentre io intendevo dire proprio ciò che Lei poi, alle pagine 18 e seguenti, espone sul metodo delle scienze naturali: il “trascendere le limitazioni della sensorialità umana”.
Così sono pienamente d’accordo con ciò che Lei scrive a pagina 24: “la matematica presenta una profonda affinità con la religione”. In questo punto non vedo, dunque, alcun vero contrasto tra il Suo approccio e il mio.
Se a pagina 28 Lei spiega poi che la “vera religiosità oggi si ritrova più nella scienza che nella filosofia”, fa una affermazione su cui si può certamente discutere; sono però contento che Lei qui intenda presentare il Suo lavoro come “vera religiosità”.
Qui, come nuovamente a pagina 36, e poi ancora una volta nel capitolo “Il suo e il mio Credo”, Lei sottolinea che la rinuncia all’“antropomorfismo” di un Dio inteso come persona e la venerazione della razionalità costituirebbero la vera religiosità.
Coerentemente, a pagina 106 del Suo libro, dice in modo molto drastico “che la matematica e la scienza sono l’unica vera religione, il resto è superstizione”.
Ora, posso certamente comprendere che si consideri antropomorfismo la concezione della Ragione primordiale e creatrice come Persona con un proprio “Io”; ciò sembra essere una riduzione della grandezza, per noi inconcepibile, del Logos. La fede trinitaria della Chiesa, la cui presentazione nel mio libro Lei riporta in modo molto oggettivo, esprime infatti in qualche misura anche l’aspetto totalmente diverso, misterioso, di Dio, ciò che possiamo sempre intuire solo da lontano.
A questo punto vorrei ricordare l’affermazione del cosiddetto Pseudo-Dionigi Areopagita,4 il quale una volta dice che, certamente, le menti filosofiche provano una specie di rigetto di fronte agli antropomorfismi biblici, considerandoli inadeguati. Ma il rischio di queste persone illuminate è di valutare poi adeguata la loro concezione filosofica di Dio, e di dimenticare che anche le loro idee filosofiche restano infinitamente lontane dalla realtà del “totalmente Altro”.
Così questi antropomorfismi sono necessari per superare l’arroganza del pensiero; anzi, bisogna dire che, sotto un certo aspetto, gli antropomorfismi si avvicinano più alla realtà di Dio che non i meri concetti. Del resto, rimane sempre valido ciò che nel 1215 disse il Concilio Lateranense IV, e cioè che ogni concetto di Dio può essere soltanto analogico, e la dissomiglianza con il vero Dio è sempre infinitamente più grande della somiglianza.5
Premesso questo, bisogna dire tuttavia che un Logos divino deve essere anche coscienza e, in questo senso, Soggetto e Persona. Una ragione oggettiva presuppone sempre un soggetto, una ragione cosciente di sé.
A pagina 89 del Suo libro Lei dice che questa distinzione, che nel 1968 poteva ancora sembrare giustificata, di fronte alle intelligenze artificiali che oggi esistono non sarebbe più sostenibile. In questo Lei non mi convince per niente. L’intelligenza artificiale, infatti, è evidentemente un’intelligenza trasmessa da soggetti coscienti, un’intelligenza deposta in apparecchiature. Ha un’origine chiara, appunto, nell’intelligenza dei creatori umani di tali apparati.
Infine, non posso affatto seguirLa, se al principio mette non il Logos con la maiuscola, ma il logos matematico con la minuscola (pagina 47). Il Logos degli inizi è effettivamente un Logos al di sopra di tutti i logoi.
Certamente, il passaggio dai logoi al Logos, compiuto dalla fede cristiana insieme con i grandi filosofi greci, è un salto che non può essere semplicemente dimostrato: esso conduce dall’empiria alla metafisica e con ciò a un altro livello del pensiero e della realtà. Ma questo salto è almeno tanto logico quanto la sua contestazione. Penso anche che chi non può compierlo dovrebbe, tuttavia, considerarlo almeno come una questione seria.
Questo è il punto decisivo nel mio dialogo con Lei, un punto al quale ritornerò ancora alla fine: mi aspetterei che uno che si interroga seriamente riconosca comunque quel “forse” di cui, seguendo Martin Buber,6 ho parlato all’inizio del mio libro. Ambedue gli interlocutori devono rimanere in ricerca. A me sembra, però, che Lei invece interrompa la ricerca in un modo dogmatistico e non domandi più, ma solo pretenda di ammaestrarmi.
II
Il pensiero appena esposto costituisce per me il punto centrale di un vero dialogo tra la Sua fede “scientifica” e la fede dei cristiani. Tutto il resto, al confronto, è secondario. Così Lei mi consentirà di essere più conciso per quanto riguarda l’evoluzione.
Anzitutto vorrei far notare che nessun teologo serio contesterà che l’intero “albero della vita” stia in un vivo rapporto interno, per il quale la parola evoluzione è adeguata. Così pure nessun teologo serio sarà dell’opinione che Dio, il Creatore, ripetutamente a livelli intermedi abbia dovuto intervenire quasi manualmente nel processo dello sviluppo. In questo senso, molti attacchi alla teologia riguardanti l’evoluzione sono infondati.
Dall’altra parte, sarebbe utile al progresso della conoscenza se anche i rappresentanti delle scienze naturali si mostrassero più apertamente consapevoli dei problemi, e se venisse detto con più chiarezza quante domande a questo proposito restano aperte.
Al riguardo ho sempre considerato esemplare l’opera di Jacques Monod, il quale riconosce chiaramente che, in ultima analisi, non conosciamo le vie per cui si formano volta per volta nuovi DNA pieni di senso. Contesto dunque la Sua tesi di pagina 73, secondo cui le quattro tipologie sviluppate da Darwin7 spiegherebbero perfettamente tutto ciò che riguarda l’evoluzione delle piante e degli animali, compreso l’uomo.
D’altra parte, non vorrei tralasciare il fatto che in questo campo esiste molta fantascienza: ne parlerò tra poco. Inoltre, nel suo libro Il principio di umanità,8 lo scienziato medico Joachim Bauer di Friburgo ha illustrato in modo impressionante i problemi del darwinismo sociale: anche su questo non si dovrebbe tacere.
Il risultato del Long-term evolution experiment, di cui Lei parla a pagina 70,...