Omicidio per principianti
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Omicidio per principianti

La scelta di Contrera

  1. 270 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Omicidio per principianti

La scelta di Contrera

Informazioni su questo libro

«Quando ho incontrato per la prima volta Contrera ho subito pensato a Philip Marlowe».
Carlo Lucarelli

«Contrera crea dipendenza».
Luciana Littizzetto

Una bambina di sei anni sparisce da scuola. L'intero quartiere è in fibrillazione. Polizia e carabinieri non riescono a trovarla, e i telegiornali si preparano a raccontare una storia che potrebbe non avere un lieto fine. Ma c'è qualcuno che non ha nessuna intenzione di stare a guardare. È Contrera, l'investigatore privato piú impertinente e malridotto del noir italiano. Ex poliziotto che l'ha combinata grossa, sa come muoversi in quel luogo «multietnico, multiforme, multipericoloso» che è il quartiere torinese di Barriera di Milano. Proprio a lui toccherà salvare l'innocenza in un mondo che forse l'ha persa una volta per tutte.

Alzi la mano chi non conosce Contrera. È comparso in tutti i tg dopo aver risolto un complicato caso di duplice omicidio. Anche se non ha un ufficio e riceve i suoi clienti in una lavanderia a gettoni, è il piú apprezzato investigatore privato di Barriera di Milano. Riesce ad arrivare dove polizia e carabinieri neanche si sognano. E li fa parecchio arrabbiare.
Che poi la sua vita sia un disastro, è un altro discorso. L'elenco delle persone che lo detestano è sempre piú lungo: da Valentina, la figlia adolescente che non gli perdona di aver abbandonato lei e la madre, al cognato Ermanno, che gli impone l'ennesimo ultimatum per lasciare l'abitazione dove da anni vive a scrocco; dalla pm Ornella Capocuore, che non vede l'ora di revocargli la licenza da detective, fino a Erica, la donna che lo amava e che adesso non vuole piú avere a che fare con lui. E come se non bastasse Anna, la sua ex moglie, aspetta un altro figlio. Da lui. Non è sfortuna, quella di Contrera, ma un vero e proprio talento per l'autodistruzione, quasi pari al suo fascino e alla sua abilità investigativa. Ed ecco infatti che si presenta un nuovo caso, che può permettergli di riscattarsi e dare il meglio di sé. Perché se da una scuola elementare sparisce una bambina di sei anni, Contrera non può starsene con le mani in mano. Quando si mette alla sua ricerca, non sa ancora che l'indagine gli farà fare i conti con la sua giovinezza trascorsa per le strade di Barriera e con un amico perduto. Ma soprattutto lo metterà faccia a faccia con l'anima piú oscura e sordida della sua città, e alla fine sarà proprio Contrera il primo a dire di non conoscere piú se stesso.

Domande frequenti

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Informazioni

1.

Certe storie cominciano dove altre finiscono, neanche il tempo di tirare le somme da una parte che i numeri cominciano a incolonnarsi da un’altra. E sono tutti numeri scalognati.
Per esempio.
Mi sono messo in testa che mio cognato tradisce mia sorella Paola. E cosí una settimana fa l’ho seguito. Be’, non proprio seguito: mi sono infilato nel bagagliaio della sua Mercedes, convinto che stesse andando a un appuntamento con la sua amante, a Leini, un paese della prima cintura nord. Invece è saltato fuori che doveva incontrarsi con una agente immobiliare. Quando sono uscito dal mio nascondiglio, mi sono trovato di fronte a una villa, e qualcuno mi ha pure sparato addosso. Ma quella è un’altra storia.
Ermanno era lí per visitare la villa. Perché era ed è ancora intenzionato a portarci a vivere la sua famiglia, abbandonando il nostro quartiere, Barriera di Milano. Multietnico, multiforme, multipericoloso. E poi perché vuole liberarsi di me: sono diversi anni che vivo a scrocco a casa sua, dormendo nella stanza di Alfredo, il figlio maggiore, e prendendomi tutto l’amore di Giada, la seienne che adoro e che mi adora.
Anche Paola, mia sorella, mi adora. Non saprei dire perché, dal momento che non sono mai stato un modello da imitare. Buttato fuori dalla polizia, tra le altre cose; divorziato; padre indegno di una bellissima adolescente; senza il becco d’un quattrino.
Solo. E con la coscienza piú sporca di uno straccio da meccanico.
Ora mio cognato pretende che lasci il loro appartamento. – Immediatamente, – tuona. – Immediatamente!
Paola – nonostante tutto, ancora una volta dalla mia parte – tenta di calmarlo, di prendere tempo, la butta persino sul ridere. – Nel bagagliaio, – gli dice. – Lo ha fatto perché mi vuole bene.
– Vuole bene a te, – ribatte lui. – Di certo non a me –. Guardandomi rincara: – E il sentimento è piú che reciproco, porca miseria.
Siamo in piedi al centro del salotto, io ho passato una nottataccia alla ricerca di un assassino, ho visto due morti, ho rischiato di restarci secco insieme a loro. Dormo in piedi e sono amareggiato, e sí, anche un po’ in imbarazzo. L’ho combinata grossa. Un vero casino del cazzo.
Tutta la mia vita è un casino del cazzo.
Infilo le mani nella giacca militare, ondeggiandomi sugli anfibi disastrati che poche ore prima hanno calpestato sangue umano. Un occhio chiuso e uno aperto, scuoto appena la testa per cercare di cacciare via il sonno. Non riposo da quarantotto ore, forse anche di piú. Da fuori devo sembrare un alunno che ha combinato una marachella, Paola è mia madre ed Ermanno il preside.
– Deve andarsene ora!
– Ma dove? – Paola è tutta preoccupata, disperata quasi.
– Non me ne frega dove. L’importante è che si tolga dalle scatole subito. La valigia gliela preparo io!
E col suo culone da direttore di filiale bancaria, nel suo cardigan spesso dal quale svirgola una cravatta a pallini che si è scelto da solo con evidente disappunto della moglie, raggiunge la stanza che condivido con Alfredo e comincia a buttare fuori dall’armadio i miei quattro jeans, le mutande e i calzini.
Mentre arraffa le stampelle con camicie e maglioni, allungandosi sulla punta dei piedi manco fosse un’étoile prima del balzo tra le braccia di Nureev, Paola lo ferma.
– Ti prego, – gli dice, con un tono da ridurmi il cuore a brandelli. – È mio fratello, non possiamo buttarlo in mezzo a una strada cosí. Ti prego, amore –. Non lo chiama «amore» molto spesso. Non che sia poco incline al romanticismo, però non è da lei, soprattutto in pubblico, anche se in questa occasione il pubblico sono soltanto e mestamente io.
La parolina sortisce l’effetto desiderato, perché Ermanno si blocca, mollando malamente i miei stracci sul letto. Poi prende nelle sue manone le piccole braccia di lei. – Ma non capisci? – le dice. – Non capisci che ci sta rovinando il matrimonio?
Non le dà tempo di ribattere, mentre io invece tiro su col naso e osservo interessato.
– Sono otto anni che si è piazzato qui, doveva essere una cosa momentanea, doveva andarsene nel giro di pochi mesi. Invece guardalo, non si schioda piú, mi ha messo contro i figli. È…
– Ma cosa dici! – Stavolta Paola non si trattiene e sbotta. – Come ti permetti di dire una cosa simile? Solo perché gli vogliono bene, te ne vieni fuori con questa frase orribile, Ermanno. Non te lo permetto. Alfredo e Giada provano per lui quello che devono provare per uno zio. Il padre sei tu. Non essere infantile. Non essere geloso. Ognuno ha il suo ruolo…
– E il suo ruolo, – dice lui indicandomi, – è quello di oscurare il mio. Se dico a Giada di fare una cosa e lui è nei pressi, lei si volta e aspetta che l’adorato zio le dia conferma, come se io fossi l’appello e lui la cassazione.
Madonna che similitudine. Ci ho dovuto pensare un po’. Io il giudice in ermellino. Ah ah.
– Ma perché sei tu che ti ostini a vederla cosí, – replica Paola. – Giada è piccola e noi siamo gli adulti. Ascolta quello che le diciamo. Siamo una famiglia.
– Lui non è la mia famiglia, – grida Ermanno e quell’irruenza quasi spaventa mia sorella, che si divincola e si ritrae come se a strillarle in faccia fosse stato un estraneo in corso Vercelli.
Invece, cazzo, è suo marito. In casa loro.
Anche lui si è accorto di aver superato un limite, di essersi calato la maschera e aver mostrato l’odio implacabile che nutre nei confronti del sottoscritto fin dai tempi del loro fidanzamento, e china la testa.
Ma solo per un attimo, poi la rialza e aggiunge: – Vedi? Ci sta distruggendo. E sarà sempre peggio.
Mi lancia un’occhiata cosí carica di fuoco che potrebbe sciogliere una colonna di marmo a un chilometro di distanza. – Tu vuoi prenderti la mia famiglia perché hai fatto a pezzi la tua. Perché sei un… reietto. Perché non hai niente di tuo. Niente! – Fa un passo avanti, le sclere attraversate da venuzze rosse, elettriche. – Ma io non te lo permetterò. Prendi la tua roba e vattene.
– No! – Paola si infila tra di noi, teme che passiamo alle mani. – Lascialo stare –. Gli appoggia i palmi sul petto. – Ti prego, Ermanno. Ti prego. Ha sbagliato, d’accordo. Ha commesso una vera stupidaggine. Hai ragione. Ma cerca di controllarti –. E aggiunge: – Se mi ami, devi ascoltarmi.
– Io ti amo, – dice lui guardando me, tanto che per un attimo penso che mi stia confessando un suo insano sentimento, – ma lui se ne deve andare entro… – ci pensa su, – entro la fine del mese.
Esce dalla stanza del figlio con passo marziale, convinto di aver spuntato l’ultima casella del mio foglio di via.
Invece Paola accetta quelle parole come se fossero la promessa di una tregua che durerà molto piú del tempo indicato, crede che avrà modo di blandirlo e di fargli cambiare idea, procrastinando ancora una volta la mia uscita di scena da questa casa.
Nei giorni successivi io ed Ermanno abbiamo guadato lo stesso fiume di insofferenza. Ci siamo evitati. Anche stamattina. Sebbene non avessi un cazzo da fare, mi sono alzato prima di lui, alle sei, e dopo una doccia veloce mi sono fiondato fuori dall’appartamento senza nemmeno aspettare il caffè di Paola, indossando la mia eroica giacca militare e uscendo incontro a un mattino che, se lo definisci solo freddo, quello magari si offende e abbassa ancora di piú la propria insostenibile temperatura.
Per strada ci sono solo facce cupe e la mia deve essere la piú angosciante. I bar sono aperti, le vetrine appannate, c’è una fila di tre auto davanti al distributore, qualcuno suona il clacson per dare una mossa all’indiano che lavora in nero e che forse ha dormito accanto alla pompa di benzina.
Mi vedo riflesso nei finestrini mezzo congelati di una Punto che qualcuno ha parcheggiato in corso Vercelli circa due anni fa.
Che faccio, dove vado?
Massí, raggiungo la lavanderia a gettoni.
Ho un angolo in quel locale dove il proprietario mi fa tenere due sedie per ricevere i clienti. Di mestiere faccio l’investigatore privato e non navigo nell’oro. Navigo a vista, diciamo.
Mi siedo e guardo il buio lasciar posto alla luce fredda del giorno. Resto lí a fissare i clienti che entrano ed escono coi panni da lavare, alcuni li conosco, altri non li ho mai visti e forse mai li rivedrò. In questo momento particolare della mia fiorente attività mi ritrovo senza un caso da seguire. Perciò non serve a niente che io stia qui ad aspettare. Ma a casa tira una brutta aria.
Mohamed, il padrone della lavanderia, spalanca la porta e tutto il freddo di dicembre si introduce con lui nello spazio umido. Dicembre è impresso persino sulla sua faccia chiazzata da macchie piú scure. Esclama: – Contrera! – picchiando su tutte le consonanti del mio cognome.
– Che t’è successo? – chiedo.
– È scomparsa una bambina.

2.

Una scarica mi parte dai polpacci e approda nei timpani. – Cosa? – Non riesco a muovermi.
– È sparita una bambina dalla scuola elementare, – ribadisce Mohamed.
Appena dice cosí, «elementare», immagino il visino di Giada, la mia nipotina, che mi guarda sconfortata e impaurita da un punto imprecisato del mio subconscio. E allora sí che mi tiro su in piedi. Alla svelta.
– Giada? – chiedo.
Mohamed scuote la testa. – Non lo so. So solo che è italiana.
Una precisazione doverosa, considerando che in questo quartiere ormai ci abitano, vivono e muoiono tutte le etnie del pianeta.
– Ma come cazzo è successo?
– È uscita da sola e non è piú tornata –. Comprende il mio spavento, e in tono paterno aggiunge: – Ma vedrai che non è lei.
Chiudo la giacca e lo spingo via. Un attimo dopo sono già per strada che corro nel gelo senza sentirlo, come se la tensione mi stesse anestetizzando ogni sensazione eccetto la paura per mia nipote. Procedo come un matto in corso Giulio Cesare, scarto le persone senza davvero guardarle, tutto proiettato in via Martorelli e, pochi istanti dopo, in corso Vercelli.
Appena svolto l’angolo, vedo l’edificio scolastico e i lampeggianti di una gazzella dei carabinieri che paiono scoppiettare come petardi nella bruma del mattino autunnale.
Il cellulare comincia a vibrarmi in tasca, ma non ho voglia di guardare chi è, ormai sto attraversando la strada, metto un piede davanti all’altro mentre dentro sono tutto un tamburellare del cuore e un contrarsi di organi, come se mi stessero strizzando.
Giada, penso. E senza rivolgermi a nessuno in particolare, o forse al Dio di riserva che imploriamo solo quando ne abbiamo bisogno, aggiungo: fa’ che non sia lei. E lo ripeto almeno sei volte, mentre mi dirigo verso ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Omicidio per principianti
  4. 1.
  5. 2.
  6. 3.
  7. 4.
  8. 5.
  9. 6.
  10. 7.
  11. 8.
  12. 9.
  13. 10.
  14. 11.
  15. 12.
  16. 13.
  17. 14.
  18. 15.
  19. 16.
  20. 17.
  21. 18.
  22. 19.
  23. 20.
  24. 21
  25. 22.
  26. 23.
  27. 24.
  28. 25.
  29. Il libro
  30. L’autore
  31. Dello stesso autore
  32. Copyright