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Informazioni su questo libro
Quarantasette interviste con domande fondamentali, non di rado scomode, per tutti ineludibili, dalle cui risposte dipendono orientamenti e stili di comportamento anche opposti, che riguardano il senso della vita, l'esistenza di Dio, la figura di Cristo. Dopo la «trilogia» su Gesù di Nazaret e il dirompente Scommessa sulla morte, torna un altro classico di Vittorio Messori. Il cronista Messori ha raccolto in questo volume anni di colloqui con grandi intellettuali, protagonisti indiscussi del XX secolo. Interrogando i personaggi più differenti, da Umberto Eco a Jean Guitton, da Elémire Zolla a Giulio Andreotti, da Claudio Magris a Divo Barsotti, da Eugène Inoseco ad André Frossard... l'Autore attinge al mondo della politica e a quello della cultura, incontra sacerdoti e agnostici per scandagliare le ragioni della fede o della sua assenza.
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Informazioni
Argomento
Teologia e religioneCategoria
ReligioneAltre voci
Due filosofi, uno storico, un umanista, un drammaturgo, un poeta, uno scrittore uniscono la loro voce – autorevole e umanissima, meditata e al contempo frutto di lunga esperienza di vita – al coro che abbiamo cercato di radunare, traendolo da ogni dove, nelle pagine precedenti.
Un filosofo: Vittorio Mathieu
«Napoleone», gli ricordo scherzando, mentre siamo a tavola, «confidava ai fedelissimi, a Sant’Elena, di avere saputo trovare un posto a tutti. Davanti a una sola categoria umana si chiedeva: “Ma di questi che posso mai farmene?”. “Questi”, naturalmente, erano i filosofi...».
A Vittorio Mathieu, docente di filosofia morale all’Università di Torino, filosofo fra i più noti e stimati, e non solo in Italia (tra l’altro, è stato per anni vicepresidente del Consiglio Esecutivo dell’Unesco, è socio dell’Accademia dei Lincei, è autore di monografie poderose su Leibniz, Kant, Bergson), a Mathieu, dunque, lo humour non manca di certo. Eccolo dirsi subito d’accordo con Napoleone: «È certo: funzione prevalente della filosofia è fare divertire i filosofi. Filosofare è un’attività che ha un senso solo se è “inutile”, se è “gratuita”». Come l’arte, dico. «Sì, come l’arte. È però vero che ci sono problemi che nessun’altra disciplina diversa dalla filosofia può porsi, se non la teologia: ma si sa come, e non a caso, teologia e filosofia siano state sempre intrecciate. Comunque, la società non avrebbe bisogno di una filosofia istituzionalizzata, come mestiere codificato da leggi che tutelino mutua e pensione del professionista della filosofia. Ma, se non istituzionalizzata, se non organica può essere utile, può svolgere una funzione critica, aiutare la gente a non farsi menare per il naso; almeno per alcuni problemi».
Bisogna riconoscere che il professor Mathieu fa di tutto per non essere filosofo istituzionalizzato, un cattedratico dedito a teorie comprensibili solo ai suoi colleghi. Questo signore di antica origine savoiarda, nato nel 1923 in Liguria (il padre era ingegnere navale), scrive come per dovere sulle riviste specializzate, preferendo applicare il suo gusto per il ragionamento negli elzeviri per il Giornale montanelliano o in pamphlet che finiscono col risultare «scandalosi». Ma è pronto ad affermare che lo scandalo non lo dà lui, bensì la logica: «Crudeltà è far notare l’inesorabilità della connessione: “se allora”. Una freccia più spietata di quelle che si infliggono nel corpo di san Sebastiano. La storia ci insegna che gli uomini si adattano a tutto, non a questo “se allora” (se volete certe cose, allora dovete volerne certe altre; se ammettete certi princìpi, allora ne nascono certe conseguenze). Tutto questo è inumano. “Umano” è pensare che tutto possa sempre accordarsi con tutto. L’incoerenza è umana, la logica è crudele».
Così, Mathieu passa per paradossale, mentre invece lui ripete che «paradossale è la ragione». Per questo si trova a difendere cause che la vulgata corrente giudica insopportabili ma che derivano strettamente da certe premesse: come, per esempio, l’eccellenza, tra tutti i sistemi politici possibili, della «monarchia assoluta temperata dal regicidio». «Perché», mi spiega, «soltanto il pugnale dell’attentatore costituisce un valido correttivo al potere: tutti gli altri rimedi escogitati dalla scienza politica si sono dimostrati inefficaci o si sono rovesciati nel loro contrario stesso». Tra gli altri suoi scandalosi convincimenti (vi ha dedicato un apposito pamphlet) vi è che l’Occidente è roso da quel cancro che è il «giacobinismo»: ossia il concetto, derivato dal profetismo calvinistico e puritano, e laicizzato poi da Rousseau e Robespierre, che solo «l’universale» (partiti, sindacati e altre lobbies), non la persona singola, sia autorizzato a «volere».
Tra i leit-motiv del suo pensiero ce n’è uno che dice: «Nessun inferno è peggiore di quello cui portano tutti i tentativi di creare il paradiso in terra». Avversario, dunque, con le armi dell’ironia e della logica, di ogni fanatismo utopico, non è per questo uno scettico, anzi. Fa tra l’altro parte di quel Circolo Nova Spes che, presieduto e fondato dal cardinale Franz König, già arcivescovo di Vienna, tenendosi lontano da ogni illusione («Tutti invocano riforme, visto che ormai quasi più nessuno crede nel mito della rivoluzione; ma, quando le riforme vengono intraprese, spesso peggiorano la situazione invece di migliorarla», dice il «manifesto» del movimento, Vivere la speranza, dare speranza, steso giusto da Mathieu) punta tuttavia, «seppur nato in un ambiente religioso cattolico, su un progetto che dia salvezza all’uomo in questa vita e non solo in un’altra».
Già, perché Mathieu è un cristiano, anzi un cattolico praticante. «Cattolico», mi spiega subito, «perché accetto ciò che soprattutto caratterizza il cattolico». Che sarebbe? «La transustanziazione, il dogma secondo il quale, all’atto della consacrazione durante la Messa, le sostanze del pane e del vino si trasformano in quelle della carne e del sangue di Cristo». Questa sua affermazione, lo confesso, mi spiazza un poco: con san Paolo, infatti, credevo che ciò che caratterizza il cristiano in quanto tale, prima ancora di ogni divisione confessionale, fosse il credere nella risurrezione dei corpi («Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede...»). Pronta la replica del professore: «Certo, ma prima della risurrezione c’è il mistero dell’Incarnazione, la congiunzione dell’Eterno con il tempo in un punto e in un momento determinati della storia. Fatto unico e sconvolgente: ma – una volta ammessa l’esistenza di Dio – anche l’Incarnazione, alla pari della Trinità e degli altri misteri cristiani, trova una giustificazione per il filosofo che riesce a mettere a posto, in un “sistema”, queste realtà pur uniche. La materialità dell’Eucaristia è invece a parte, esce da ogni logica: è questo aspetto che stacca ancor di più il cristianesimo da ogni altra religione e il cattolicesimo da ogni altra confessione cristiana. Soltanto la Chiesa di Roma, in effetti, ha stabilito questo dogma della transustanziazione».
Per Mathieu, lo «scandalo» eucaristico è tale che, tra i teologi cattolici stessi, circolerebbe «una paura tremenda di insisterci, una tentazione costante di ridurre la consacrazione a simbolo, come avviene per i calvinisti». Ma perché, gli chiedo, questa paura? «È ben comprensibile! Chi afferma la transustanziazione lancia una sfida a ogni razionalità, a ogni buon senso. È un atto temerario, eppure bisogna tener saldo: è grazie alla realtà “materiale” dell’Eucaristia che la Chiesa, da istituzione, si trasforma in organismo vivo che ogni giorno, centinaia di migliaia di volte, dà vita alla materia». Riflette un poco e poi: «E pensare che, al Vaticano II, non mancavano coloro che avrebbero voluto attenuare, magari nascondere o negare questa realtà. Mi chiedo quanti preti ci credano ancora: ma non importa, in fondo, perché alla consacrazione il prodigio si ripete egualmente, attraverso di loro e magari malgrado loro. È l’idea quasi insopportabile di essere strumenti di un simile mistero che spiega del resto perché santi come Francesco d’Assisi non abbiano osato ricevere il sacerdozio. D’altro canto, non dimentichiamo che il cristianesimo inteso in senso vero, dunque radicale, può fare paura al punto di provocare una crisi di rigetto che oggi sembra scatenarsi con maggiore virulenza».
Ma perché? «L’unione ipostatica, la congiunzione cioè delle due nature (umana e divina)...
Indice dei contenuti
- Nota editoriale
- Istruzioni per l’uso
- Quattro no, «in nome della ragione»
- Quattro sì, «in nome della ragione»
- Tre no al sospetto
- Due sì alla «religione»
- Un ebreo e un’antropologa «per» Gesù
- Due biblisti e un archeologo
- Tre convertiti, a Parigi
- Il più celebre tra i teologi
- Due modi per vivere la fede
- Se il cattolico va a Palazzo
- Un «generale» e la sua strategia
- La suora eremita e il prete dei drogati
- Lo storico dei «secoli cristiani»
- Lo scrittore e la Scrittura
- La via della mistica
- Alla ricerca dell’unità perduta
- La sfida degli «altri»
- Quattro incursioni nel Mistero
- Altre voci
- Indice