L'eclisse di Laken Cottle
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L'eclisse di Laken Cottle

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'eclisse di Laken Cottle

Informazioni su questo libro

«Chi racconta le storie governa il mondo». Una misteriosa oscurità avanza inesorabile dall'Antartide a obliare la Terra. L'umanità è nel panico, i continenti, i paesi e gli esseri umani vengono cancellati uno a uno, senza possibilità di salvezza. E mentre il buio ammanta il pianeta inghiottendo luoghi, corpi e destini, un uomo che non ricorda più bene chi è cerca disperatamente di tornare a casa a New York dalla propria famiglia. Il suo nome è Laken Cottle, e il viaggio che compie si trasforma presto in una ricerca impossibile di redenzione nel mezzo dell'orrore puro, a ritroso nella propria memoria in un mondo che sta, letteralmente, scomparendo. Immaginifico, psichedelico, sconvolgente e assolutamente a sé nella letteratura contemporanea mondiale, L'eclisse di Laken Cottle, opera magistrale di una delle voci più originali di questi anni, è un romanzo stupefacente, lirico e orrorifico, sul potere delle storie e sulla responsabilità individuale, sulla colpa e sull'oscurità dell'anima umana. Tiffany McDaniel compie insieme ai suoi personaggi un viaggio epico e mistico insieme, conducendo il lettore in un ottovolante di emozioni e rivelazioni senza cinture di sicurezza, e mostrando come, attraverso la magia della sua scrittura, si possa essere terrorizzati ed estasiati allo stesso tempo.

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Informazioni

Capitolo 1

1998
Laken Cottle si trova su una spiaggia da cartolina in California. Steso come un crocifisso, spicca tra i pantaloncini floreali e i bikini. Non usa la protezione solare. Non ha un telo da mare. Indossa una camicia button down a righe bianche e rosse, infilata in un paio di pantaloni kaki, arrotolati sino a metà polpaccio; i peli delle gambe si arricciano attorno ai risvolti. Per un attimo si domanda se gli uomini, in fondo, non siano bestie.
Ha la sensazione che i vestiti che indossa appartengano a un altro uomo. Forse quest’uomo era anche grande e grosso. Forse è Laken a essere troppo piccolo. Si è morso l’interno della guancia. Sente il sapore del sangue e ripensa al sangue del coniglio bianco intrappolato nel recinto di filo spinato della sua infanzia; poi volge lo sguardo al sole.
«C’era una volta il sole», dice Laken strizzando gli occhi perché la luce è troppo forte.
«Dicono che tra qualche miliardo di anni», s’intromette l’uomo accanto a lui, «il sole diventerà un gigante infuocato e s’ingrosserà così tanto da far ribollire i nostri oceani e consumare tutta la terra. Questa luce splendente e intensa, che adesso ci circonda, un giorno ci distruggerà».
Laken cerca di vedere il volto dell’uomo, ma è seduto di spalle.
«Non fa sempre così l’amore?», continua l’uomo prima di alzarsi e andarsene.
Laken ricomincia a guardare il sole. Lui crede nel potere del sole, come una fede. Suo padre, Norman, diceva sempre che il sole era il cimitero delle stelle. Che quando le stelle morivano andavano alla deriva nell’universo, finché non raggiungevano la dimora del loro eterno riposo. Per il padre di Laken, le stelle non erano semplici sfere di gas bollente. Erano umane, come tutti noi. Facile innamorarsi delle stelle. Ancora più facile perderle. E tra gli esseri umani che erano stelle c’era la madre di Laken, anche se lui l’aveva conosciuta appena.
Aveva solo cinque anni, quando sua madre se n’era andata. Adesso, a trentatré, Laken mangia ancora maccheroni gratinati al formaggio serviti su una foglia d’insalata, proprio come glieli preparava lei.
La madre di Laken si chiamava Heaven Pearl. Lui era il suo unico figlio, e nacque lo stesso giorno in cui fu scoperta la stella più grande del firmamento. Era il 1965. Lei meditò di chiamarlo come quella stella, ma concluse che sarebbe stato veramente troppo per un bambino. Decise allora di chiamarlo Laken, come una tartaruga che una volta, verso sera, trovò in un lago.
«La mia piccola tartaruga», gli diceva.
Della madre di Laken si può dire che fosse ansiosa. Con il passare degli anni cominciò a soffrire di veri e propri disturbi nervosi, nonostante tutti gli sforzi di tenerli a bada. Laken la vide l’ultima volta nel 1970: lui era in salotto e si stava ciucciando l’orlo della sua copertina preferita; la madre stava consumando il pavimento a furia di fare su e giù; era ormai una porta che si reggeva su un solo cardine. Sullo sfondo, la tivù accesa incorniciava un conduttore televisivo davanti alla giostra dei cavalli al Joyland Amusement Park di Lubbock, in Texas.
«Oggi, 11 maggio 1970, è un giorno che Lubbock non dimenticherà». Il presentatore strascicò le parole mentre il parrucchino gli svolazzava nel vento. «Perché oggi un tornado di classe F5 ha lasciato una cicatrice sul cuore di Lubbock uccidendo più di venti persone, ferendone centinaia e devastando la città».
La madre di Laken seguiva rapita il notiziario: batteva febbrilmente il piede, con il braccio destro si cingeva il corpo esile, mentre con le dita della mano sinistra si tormentava l’orecchino a forma di stella.
«Il Texas non viene mai risparmiato dai tornado assassini». Il presentatore, con il colletto dell’impermeabile all’insù, fece il giro della giostra. «Esattamente diciassette anni fa, l’11 maggio 1953, Waco fu devastata da un crudele tornado di classe F5 che si lasciò alle spalle un tragico epilogo di 144 vittime».
Mentre Heaven guardava il telegiornale, si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare e con le dita continuò a giocherellare con l’orecchino a forma di stella finché non si sfilò dall’orecchio. Riuscì però ad afferrarlo prima che si perdesse tra le fessure nelle assi di legno del pavimento.
Quando la donna aprì il palmo della mano, vide la stella adagiata al centro. La fissò, incantata da come catturasse e riflettesse la luce del soffitto, poi si girò e andò in cucina. Laken con i suoi cinque anni continuò a ciucciare il lembo della coperta, mentre la madre si succhiava il sangue dal labbro. Lui la osservò dirigersi al piano cottura e accendere la piastra al massimo.
Heaven afferrò un paio di pinze da un vaso di coccio e cercò di usarle per prendere il perno dell’orecchino, ma il perno era troppo piccolo e le pinze troppo grandi.
«Ci vogliono le pinzette da orologiaio di tuo padre», disse a Laken. «Dove sono?».
Lui si sfilò la coperta di bocca per dire: «Nella veranda sul retro, mamma».
Poi Heaven si ricordò dov’erano: le aveva lasciate là il giorno prima, quando una scheggia era finita nel palmo di Laken e per tirarla fuori lei aveva usato le pinzette.
Lui la seguì come un’ombra sulla veranda, dove lei recuperò le pinzette dal barattolo rotto che tenevano sulla ringhiera. Prima di rientrare in casa, la madre si fermò a guardare il sole che stava sorgendo luminoso, le nuvole sospese sulle montagne del Montana.
«C’erano una volta le montagne», mormorò lei, proprio prima di vedere il coniglio bianco intrappolato nel filo spinato del recinto.
«Non guardare», disse a Laken, ma ormai era troppo tardi.
Lui fissò il sangue rosso che striava il pelo bianco del coniglio. Non avrebbe sognato altro nelle due settimane seguenti.
«Vieni, mia piccola tartaruga». Heaven gli afferrò la mano e lo trascinò dentro casa con lei. Laken continuò a guardare il coniglio che scalciava con le zampe, nel tentativo di liberarsi.
«Mamma». Le strattonò la mano. «Aiuta il coniglietto».
«Non posso», rispose lei. «Se gli salviamo la vita, qualcun altro dovrà morire al suo posto. E se toccasse a me o a te?».
Tornata in cucina con le pinzette, Heaven prese l’orecchino e lo avvicinò alla piastra bollente del piano cottura. Contò fino a dieci, molto lentamente, finché il perno non iniziò ad annerirsi.
«È arrivato il momento, tartaruga», annunciò tenendo l’orecchino rovente con le pinzette, poi afferrò Laken per un braccio.
«No», strillò lui, mollando la coperta, e le diede uno schiaffo sulla mano.
«Sentirai dolore solo per un secondo, tartarughina mia», lo rassicurò. «Meglio così, che una vita intera di dolore».
Lui le diede un calcio alla gamba e si liberò dalla sua stretta, corse di sopra e lungo il corridoio fino all’altra rampa di scale che conduceva in soffitta, dove si nascose sotto un mucchio di coperte e piumini addossati al muro.
«Non fare così, tartaruga». Heaven l’aveva rincorso fin lassù e lo trascinò fuori con forza dalla montagna di coperte, senza mai mollare le pinzette che stringevano l’orecchino incandescente. Dalla finestra di vetro colorato filtrava la luce del sole, proiettava le decorazioni sul viso della madre: corvi in mezzo ai girasoli.
«Mamma, no». Laken gridò per chiamare il padre, ma era in città.
«Tuo padre non può aiutarti», disse lei prima di intonare la ninna nanna che gli cantava spesso. «Svegliati, svegliati, piccolo Laken, al calduccio nel tuo lettino. Che sogni fai, che sogni danzano nella tua testolina. La magia non è mai lontana quando sei nel paese della stella splendente».
Si chinò su di lui e gli baciò il lobo dell’orecchio sinistro, prima di marchiarlo con la stella incandescente. Quando Laken gridò ancora più forte, sua madre lanciò l’orecchino dall’altra parte della soffitta, dove f...

Indice dei contenuti

  1. Colophon
  2. Frontespizio
  3. L'eclisse di Laken Cottle
  4. Capitolo 1
  5. Capitolo 2
  6. Capitolo 3
  7. Capitolo 4
  8. Capitolo 5
  9. Capitolo 6
  10. Capitolo 7
  11. Capitolo 8
  12. Capitolo 9
  13. Capitolo 10
  14. Capitolo 11
  15. Capitolo 12
  16. Capitolo 13
  17. Capitolo 14
  18. Capitolo 15
  19. Capitolo 16