Amore ed entropia
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Amore ed entropia

Dalla fisica alla metafisica

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Amore ed entropia

Dalla fisica alla metafisica

Informazioni su questo libro

IL LIBRO VINCITORE DEL PREMIO LETTERARIO NEMO 2010 NELLA SEZIONE SAGGISTICA.
Attraverso il concetto di entropia la scienza afferma che qualsiasi forma di materia-energia è destinata al degrado. Ma la coscienza e l'autocoscienza sono realtà strutturate che sembrano non avere niente a che vedere con la materia-energia. E' possibile che dopo la vita quel qualcosa di immateriale che è in noi, segua un percorso diverso? E' pensabile che tra le pieghe della realtà materiale possa nascondersi una dimensione mentale simile alla coscienza e in grado di «inglobarla» dopo la morte? Può la scienza fornire una risposta razionale alle domande sulla vita e sulla morte che da sempre l'uomo si pone? Sulla base delle più moderne teorie scientifiche e ispirandosi al pensiero di alcuni eminenti scienziati come Einstein, Schrödinger, Bohm, Capra, Penrose, Amore ed entropia arriva a proporre una visione del mondo in cui può esserci spazio per una nuova dimensione mentale in grado, tra l'altro, di «accogliere» la nostra coscienza. Si tratta di una proposta che evidenzia la possibile conciliazione tra fisica moderna e metafisica, fornendo a chiunque, credente o non credente, uno spiraglio di riflessione che infrange la chiusura di posizioni intransigenti e contrapposte.
"L'universo comincia a sembrare più simile a un grande pensiero che non a una grande macchina" (James Jeans).
«Quando si ama una persona, l'idea di averla persa per sempre è inaccettabile. C'è qualcosa dentro di noi che ci fa rifiutare quella che invece appare come una realtà ineluttabile. L'amore è un legame fortissimo e qualcosa ci dice che non si può spezzare. Ma cuore e mente possono anche collaborare e trovare un compromesso. La mente può arrendersi alla forza del cuore e può dire: "Va bene, supponiamo che lui ci sia. Allora cercalo, trovalo da qualche parte!"»

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Informazioni

Capitolo Sette
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A un passo dall’abisso
Le eresie di Princeton
Gli “eretici” di Princeton sembrano affascinati da alcune istanze filosofico-religiose, soprattutto di matrice orientale. Essi sono convinti che esiste un qualcosa di “spirituale” racchiuso nella materia e che solo la conoscenza metafisica, non la fede, può condurre fino a Dio.
È la prima volta che attraverso la scienza, sia pure di frontiera, si arriva a parlare di “spirito” e di Dio e non può non sorprendere il fatto che grandi fisici, biologi, matematici, cosmologi, operanti in ogni parte del mondo, nonostante la dominante tendenza a eliminare Dio dal quadro della scienza, oggi gli si avvicinino quasi con naturalezza, proponendo una visione del mondo in cui pare che Dio trovi una sua collocazione.
Si tratta di un Dio immanente e non trascendente come il Dio cristiano, che sta “dentro” l’universo e non “fuori”, molto vicino alle concezioni orientali, concezioni che la maggior parte degli scienziati ignorano e a cui sembrano giungere spontaneamente attraverso la scienza.
Questi scienziati si oppongono al riduzionismo e al meccanicismo di certa scienza e vanno alla ricerca dell’ordine nascosto che guida l’universo.
Negano ogni dualismo oggetto-soggetto, materia-spirito (spirito può essere inteso come informazione, pensiero o coscienza), poiché per essi spirito e materia non sono separati, ma sono semplicemente le due facce estreme di una sola realtà globale che è insieme spirito e materia.
La materia si genera dal disordine, mentre lo spirito è l’ordine che pervade tutto il mondo fisico. La materia, in quanto ordinata dallo spirito, possiede quindi una dimensione spirituale, intesa come coscienza.
L’universo è cosciente, così come, a un altro livello, lo è l’uomo. Ogni tipo di realtà fisica deriva dall’ordine operato da una realtà superiore, cosciente e informata, per cui la coscienza non è una proprietà emergente dalla materia, ma viceversa è la materia a essere una produzione della coscienza.
Si tratta evidentemente di un vero e proprio ribaltamento rispetto alle concezioni scientifiche ortodosse. Queste ultime considerano superficialmente solo l’aspetto esteriore e materiale delle cose, che però non è altro che il “rovescio” della realtà, mentre si lasciano sfuggire il “dritto” del cosmo, che è spirito e coscienza.
L’universo è una sequenza gerarchica di enti che sono contemporaneamente parti e totalità. In cima alla scala gerarchica c’è la totalità della coscienza cosmica e al di sotto di essa si snodano, come in un incastro di “matrioske”, delle sub-totalità coscienti, dette “oloni” che hanno una doppia faccia, una dipendente dal livello superiore e una da cui dipende il livello inferiore. Vi ricordate l’universo “olografico” di Bohm?
Gli “eretici” di Princeton si pongono in atteggiamento piuttosto critico anche nei confronti delle teorie evoluzionistiche.
Devo dire che questo mi fa molto piacere.
Rileggendo quello che ho scritto su Darwin e l’evoluzionismo mi sono accorta di essere stata molto sbrigativa. Non me ne pento, perché trovo che sia arrivato il momento di rivedere questa teoria ormai vecchia di 150 anni che, pur avendo avuto il merito di rompere con i dogmi statici del creazionismo religioso, è pur sempre una teoria meccanicistica, tra l’altro di un meccanicismo anomalo, in quanto introduce il caso come propulsore di leggi di causa-effetto che per il meccanicismo classico sono invece leggi deterministiche e non casuali.
È una teoria che ha cacciato Dio dalla porta, ma lo ha fatto rientrare dalla finestra travestito da Caso!
Le teorie evoluzionistiche non mi piacciono, non perché non contengano delle innegabili verità. Il solo concetto di evoluzione biologica è di per sé rivoluzionario, rispetto ai tempi in cui è stato proposto. Non mi piacciono perché, secondo me, individuano solo in parte le reali cause dell’evoluzione biologica. Non si può limitare tutto al caso e alla selezione naturale per adattamento! A me sembra un po’ troppo riduttivo e superficiale ostinarsi a non cercare anche altri fattori determinanti nell’evoluzione biologica.
Il fatto che studiosi molto più qualificati di me siano arrivati alle stesse conclusioni, lo confesso, mi conforta moltissimo. Sono molti gli scienziati che assumono un atteggiamento critico nei confronti dell’evoluzionismo alla Darwin e non sono solo scienziati di frontiera.
Il fisico italiano contemporaneo Antonino Zichichi, tanto per citarne uno, definisce l’evoluzionismo una “mistificazione culturale” che nasce dalla “presunta esistenza di prove rigorosamente scientifiche che sono invece lungi dall’essere presenti in questo settore tanto delicato quanto importante della nostra esistenza materiale”.
In altre parole, secondo Zichichi, l’evoluzionismo non è un teoria scientifica, perché non è basata sul metodo scientifico galileiano, ma solo su ipotesi non dimostrabili. “Studiando la materia vivente, uno scienziato che seguisse il metodo galileiano (e non ne esistono altri se si vuole restare nell’ambito della scienza moderna) troverebbe che i meccanismi biologici sono esempi delle leggi fondamentali dell’elettromagnetismo”, mentre le teorie dell’evoluzione biologica, oggi accettate e sbandierate come verità scientifiche, sono molto lontane da questo tipo di approccio.
Secondo il paleontologo Roberto Fondi dell’università di Siena occorre distinguere tra il concetto di evoluzione inteso come succedersi nel tempo di varie forme viventi e il concetto di evoluzione inteso come processo di “discendenza con modificazione” secondo una logica causale di continuità che fa partire tutto da un’unica cellula e che implica la connessione genetica di tutte le specie. Questo secondo modo di concepire l’evoluzione non è, secondo Fondi, suffragato da sufficienti riscontri, poiché gli ipotetici anelli intermedi (documentazione fossile), gli unici in grado di provare il collegamento tra le varie specie in una sequenza continua, in realtà sono pochissimi e discutibili, e ciò fa pensare che “la storia della vita non sia caratterizzata dalla continuità”.
Rifacendosi a interpretazioni non ortodosse della meccanica quantistica, come quella di Bohm, che vedono la realtà come una totalità indivisa che include anche l’uomo, concepibile non solo come massa-energia positiva, ma anche come informazione, Fondi propone l’esistenza di un fattore organizzante che connetta le parti all’interno del tutto, in base a una “istanza” di natura eminentemente psichica (mentale)”. Questa istanza di natura mentale sostituirebbe quindi il caso come motore del divenire dei processi evolutivi. Mi pare di ravvisare in questo livello di realtà uno stretto legame con il Mondo delle Idee di Platone.
Nel saggio “La mente nuova dell’imperatore” Penrose, riflettendo sulla natura e sul funzionamento della coscienza, a un certo punto dice: “Se mai riusciremo a scoprire quale sia quella qualità che permette a un oggetto fisico di diventare cosciente, potremmo essere in grado di costruire degli oggetti coscienti”. Queste macchine speciali potrebbero essere progettate specificamente per produrre coscienza, senza bisogno di derivare da una singola cellula, senza la necessità di portarsi dietro il bagaglio dell’eredità dei loro avi. Ma, aggiunge Penrose: “ …nel problema della coscienza potrebbe esserci qualcosa di più. Forse, in qualche modo, la nostra coscienza dipende dalla nostra eredità e dai miliardi di anni di evoluzione reale che abbiamo dietro alle spalle. Secondo me c’è ancora qualcosa di misterioso nell’evoluzione, col suo apparente tendere verso un qualche fine futuro. Le cose, quanto meno, sembrano organizzarsi un po’ meglio di quanto dovrebbero sulla sola base dell’evoluzione a opera del cieco caso e della selezione naturale…Pare che nel modo di operare delle leggi della fisica ci sia un qualcosa (di apparentemente intelligente) che permette alla selezione naturale di essere un processo molto più efficace di quanto sarebbe se ci fossero solo leggi arbitrarie”.
Secondo gli “eretici” di Princeton, l’evoluzione potrebbe essere guidata dalla coscienza cosmica la quale, lasciando una certa libertà al caso e alla selezione naturale, ne avrebbe stabilito le regole generali, pur senza entrare nei dettagli.
La coscienza cosmica assumerebbe così il ruolo di coordinatore di meccanismi secondari, come le mutazioni genetiche, scegliendo le mutazioni utili per realizzare i suoi scopi.
Appare chiaro che sempre più spesso tra gli scienziati si sta imponendo una inversione di tendenza che porta alcuni di loro a prendere in considerazione l’eventualità di una dimensione nascosta e indefinibile all’interno del mondo fisico, che si può chiamare in tanti modi e che qualcuno si azzarda persino a chiamare coscienza o spirito. Gli scienziati che imboccano questa strada controcorrente vengono isolati, ma è anche vero che la strada da essi indicata sembra essere l’unica percorribile, se la scienza vuole evitare di imprigionare se stessa con i suoi stessi lacci.
Il fatto che la dimensione spirituale possa essere ricercata attraverso le leggi fisiche può risultare duro da digerire non solo per chi è convinto che tale dimensione spirituale non esiste, ma anche per chi a tale dimensione crede di poter giungere esclusivamente attraverso la fede.
Io penso che l’una cosa non escluda l’altra. Anzi sono convinta che se le leggi fisiche potessero veramente dimostrare che esiste una dimensione mentale della materia, ciò non farebbe altro che dare concretezza a quelle intuizioni profonde che ci spingono ad andare oltre la realtà fisica materiale e ci fanno intravedere una realtà metafisica immateriale o mentale.
Jung e la psiche
Non abbiamo mai parlato fin qui di psiche, speravo di poterlo evitare, ma temo che non sia corretto: troppo spesso durante questa ricerca mi sono imbattuta in Jung, tanto che ho dovuto decidermi ad approfondire il personaggio e le sue tematiche, anche perché stimolata da un amico filosofo, un secondo amico filosofo, Giuse, che mi ha guidata in questo approfondimento.
Nonostante la mia scarsa propensione per la psicologia, la psicanalisi e la psichiatria, quando mi sono finalmente decisa ad affrontare Jung ho dovuto ricredermi.
Il semplice racconto della sua vita, delle sue esperienze psichiche e di quelle dei suoi pazienti, quel suo mondo così insolito e misterioso fatto di immagini, di sogni simbolici, di visioni, mi ha affascinata, conquistata, trascinata in una specie di “transfert” fuori del tempo e dello spazio.
Ho poi conosciuto un personaggio insolito e affascinante, un uomo coltissimo, creativo, fecondo, sensibile, direi iper-sensibile, forse un “sensitivo”, eclettico, assolutamente fuori dagli schemi, tanto che di lui si è detto tutto e il contrario di tutto, un ricercatore e uno studioso serissimo e attento, un vero “scienziato”, e metto questo termine tra virgolette perché non è possibile parlare di “scienza”, non nel senso galileiano del termine, quando ci si riferisce a un oggetto di indagine così soggettivo come la psiche.
Se è difficile definire la mente e la coscienza in termini scientifici, è pur sempre possibile farlo in termini filosofici o intuitivi, perché ci appaiono comunque esistenti e operanti. Ma quando si comincia a parlare di psiche, termine derivato dal greco che significa “anima”, le cose si fanno molto più complicate. Ecco perché finora ho evitato accuratamente ogni accenno alla psiche e soprattutto all’“anima”.
Con l’aiuto del vocabolario potremmo definire la psiche come “il complesso delle funzioni sensitive, affettive e mentali di un individuo” o forse, mi azzardo a dire, come un processo di elaborazione dei contenuti della coscienza, ma temo che, con la psiche, il mio bisogno razionale di definire le cose subirà un duro colpo.
Lo stesso Jung afferma che: “Noi non sappiamo che cosa sia la psiche, più di quanto sappiamo che cosa sia la vita”.
È però possibile parlare della psiche in termini di livelli.
Sigmund Freud (moldavo - attuale repubblica ceca - 1856-1939), padre della psicanalisi e maestro di Jung, individua nella psiche due livelli: conscio e inconscio.
Se il primo livello può essere assimilato alla coscienza, cioè a un insieme di esperienze oggettive e soggettive strutturate e consapevoli, quando si parla di inconscio freudiano si può intendere quell’insieme di esperienze rimosse, non strutturate e non consapevoli, fatte soprattutto di desideri libidici repressi, che a volte emergono al livello della coscienza, ma che più spesso rimangono in uno stato latente. L’inconscio è quella parte nascosta della psiche che gli “strizzacervelli” tentano di far emergere a livello conscio, poiché si ritiene che la mancata integrazione tra i contenuti della coscienza e quelli dell’inconscio sia una delle cause di insorgenza di patologie mentali.
Per Freud l’inconscio ha una connotazione strettamente personale, poiché i suoi contenuti derivano dalle esperienze dell’individuo, dalla sua particolare storia, in una visione biologica, nonché meccanicistica e causale della psiche.
Sia Freud che Jung hanno studiato i meccanismi dell’inconscio attraverso l’analisi dei sogni. Ed è soprattutto grazie allo studio dei sogni, propri e dei suoi pazienti, che Jung arriva alla conclusione che non tutte le manifestazioni oniriche possono essere ricondotte ai contenuti dell’inconscio personale: nei sogni ci sono delle immagini, dei simbolismi, che trascendono l’esperienza soggettiva, che non sembrano poter derivare da essa per un p...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Introduzione
  3. PARTE PRIMA
  4. Capitolo Uno
  5. Capitolo Due
  6. Capitolo Tre
  7. Capitolo Quattro
  8. Capitolo Cinque
  9. Capitolo Sei
  10. Capitolo Sette
  11. Capitolo Otto
  12. Capitolo Nove
  13. Capitolo Uno
  14. Capitolo Due
  15. Capitolo Tre
  16. Capitolo Quattro
  17. Capitolo Cinque
  18. Capitolo Sei
  19. Capitolo Sette
  20. Bibliografia