Guerra e pace
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Guerra e pace

Informazioni su questo libro

Russia, 1805. Mentre l'esercito guidato da Napoleone si avvicina inesorabilmente ai confini dell'Impero russo, a Mosca e a San Pietroburgo aristocratici e ricchi borghesi conducono un'esistenza spensierata e frivola, all'insegna della mondanità. Attraverso la cronaca della vita di diverse famiglie della nobiltà russa, vediamo delinearsi nel romanzo tre filoni narrativi principali: quello dell'ingenuo e indeciso idealista Pierre Bezukhov, erede di un'immensa fortuna, che cade nelle reti dell'intrigante e bellissima Hélène Kouraguine; quello del principe André Bolkonski, della sua giovane moglie Lise e di  sua sorella Mar'ja; e quello del giovane conte Nicolas Rostov e di sua sorella minore Natascia, appartenenti a un'ospitale famiglia dell'antica nobiltà moscovita. Le loro esistenze spensierate cambieranno presto quando la Russia entrerà in guerra insieme all'Austria contro la Francia. Pubblicato a puntate tra il 1865 e il 1869, "Guerra e pace" ebbe fin da subito un enorme successo. La ricchezza e il realismo dei dettagli, nonché le sue numerose descrizioni psicologiche, lo fanno tuttora considerare un romanzo d'importanza capitale, uno dei più grandi nella storia della letteratura. Tra le sue pagine Tolstoj sviluppa una teoria fatalista della storia, in cui il libero arbitrio assume un'importanza minore, mente tutti i "grandi" uomini politici, che credono di provocare gli avvenimenti e sono lodati o accusati dalle masse per aver portato da soli un cambiamento radicale nei loro paesi, non fanno altro che obbedire a un ineluttabile determinismo storico, in base al quale tutti gli eventi possono essere ricondotti a cause preesistenti.

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Informazioni

VOLUME I

PARTE PRIMA

I

— Ebbene, principe, Genova e Lucca son divenute appannaggio della famiglia Bonaparte. No, vi prevengo, se mi direte ancora che non avremo la guerra, se vi permetterete di assumere le difese di tutte le turpitudini, di tutti gli orrori perpetrati da quell’Anticristo, – chè per tale lo tengo, in fede mia! – non vi guarderò più in viso, non vi avrò più per amico, non sarete più, secondo voi dite, il mio schiavo fedele. Orsù, sedete: vedo che vi ho spaventato a dovere: sedete e raccontate.
Così parlava nel Luglio 1805 Anna Scherer, damigella di onore ed intima della imperatrice Maria Feodòrovna, accogliendo il grave e impettito principe Basilio, che arrivava per primo alla veglia di lei. Anna Scherer avea tossito vari giorni di fila, afflitta da un fiero crup (parola scozzese allora nuova e da pochissimi adoperata). Nei biglietti diramati la mattina, per mezzo di un cameriere in livrea rossa, era scritto:
«Se voi – conte o principe – non avete di meglio in vista, e se non troppo vi spaventa la prospettiva di spender la serata in compagnia d’una povera inferma, sarò lieta di una vostra visita tra le 7 e le 9 di stasera.
Anna Scherer».
— Oh, oh! che furioso ed ingiusto attacco! – rispose il principe, non che turbato, con una espressione aperta e serena del viso piatto e schiacciato. Indossava l’uniforme gallonato di Corte, calze attillate, scarpini, e decorazioni.
Parlava in quel ricercato francese, nel quale parlavano, anzi pensavano i nostri nonni, con le intonazioni blande, carezzevoli, proprie di un uomo di conto, rotto al mondo e invecchiato nella Corte. Avvicinatosi ad Anna Scherer, curvò davanti a lei la testa calva e profumata, le baciò la mano e tranquillamente prese posto sul divano.
— Come state, prima di tutto? Rassicurate l’amico, disse in un tono di galante sollecitudine, dal quale trapelava anche una indifferenza beffarda.
— Come si può stare, quando si soffre moralmente? Si può forse viver tranquilli in un tempo come questo, quando si ha un po’ di sentimento? – protestò Anna Scherer. – Voi, spero, passerete la serata da me?
— E la festa dell’ambasciadore d’Inghilterra? Oggi è mercoledì. Non posso mancare. Verrà mia figlia a prendermi.
— Credevo che la festa fosse rimandata. Vi confesso che tutte coteste feste e fuochi d’artificio diventano insopportabili.
— Se avessero saputo del vostro desiderio, l’avrebbero di certo rimandata, – disse il principe con un formalismo meccanico da orologio, senza nessuna premura che gli si credesse.
— Via, non mi tormentate. Ma che si è poi deciso a proposito del dispaccio di Novosilzew? Voi, già, sapete tutto.
— Che dirvi?... Si è deciso che Bonaparte ha bruciato i suoi vascelli, e parrebbe che noi s’incominci a bruciare i nostri.
Il principe Basilio parlava sempre lento e svogliato, come un attore che reciti una vecchia parte. Anna Scherer invece, a dispetto dei suoi quarant’anni, era tutta fuoco e scatti. Godeva fama di entusiasta; epperò si mostrava tale, anche a non averne voglia, per non venir meno all’aspettazione della gente. Il suo mezzo sorriso, che mal s’accordava ai non freschi lineamenti, esprimeva, come nei ragazzi viziati, l’assidua coscienza di quel grazioso difetto, del quale ella non voleva, non poteva e non reputava necessario disfarsi.
Ingolfatasi nella discussione politica, Anna Scherer si accalorò fino ad irritarsi.
— Ah! non mi parlate dell’Austria! Può darsi benissimo ch’io non ci capisca niente, ma l’Austria non ha mai voluto la guerra, e non la vuole. L’Austria ci tradisce. Tocca a noi, alla sola Russia, salvar l’Europa. Il nostro benefattore ha coscienza del suo alto mandato, e non vi verrà meno. Questa è la mia fede incrollabile. Una gran parte è serbata nel mondo al nostro imperatore; ed egli è così buono, così nobile, che Dio non lo abbandonerà, e gli farà schiacciare l’idra rivoluzionaria incarnata in questo assassino e masnadiero. Noi, noi soli dovremo riscattare il sangue del giusto... E su chi si potrebbe contare, vi domando io?... L’Inghilterra, col suo spirito commerciale, non capirà mai tutta l’altezza d’animo dell’imperatore Alessandro. Si è rifiutata a sgombrar Malta. Cerca e vuol trovare per forza nelle nostre azioni un secondo fine. Che cosa han detto a Novosilzew?... Niente. Non intendono, no, il disinteresse del nostro imperatore, il quale nulla vuole per sè, e tutto pel bene del mondo. E che hanno promesso?... niente, o, se mai, non manterranno. Quanto alla Prussia, ha già riconosciuto che Buonaparte è invincibile e che tutta Europa è impotente contro di lui... Io non credo nemmeno una mezza parola di Hardenberg o di Haugviz. Cotesta decantata neutralità della Prussia è un tranello bell’e buono. Solo in Dio ho fede e negli alti destini del nostro amato Sovrano. Egli salverà l’Europa!
Tacque di botto, sorridendo del proprio calore.
— Io credo, – disse il principe in tono scherzoso, – che se avessero mandato voi in cambio del nostro simpatico Vinzengherode, avreste strappato d’assalto il consenso del re di Prussia. Che eloquenza!... Ma mi darete del tè?
— Subito. A proposito, aspetto stasera due personaggi molto interessanti: il visconte Mortemar, parente dei Montmorency per via dei Rohan, una delle più illustri famiglie di Francia. Un emigrato, ma di quei buoni... E poi l’abate Morio, sapete, uno spirito serio, profondo. È stato anche ricevuto dall’imperatore.
— Ah, sì? ne sarò lietissimo... E ditemi, è poi vero che l’imperatrice vedova desidera la nomina del barone Funcke a primo segretario presso l’ambasciata di Vienna? Una nullità, a quanto pare.
Il principe Basilio mosse la domanda con affettata noncuranza, benchè fosse quello il vero scopo della sua visita. Ambiva quel posto per il proprio figliuolo, e assai gli cuoceva che altri brigasse presso l’imperatrice in favore del barone.
Anna Scherer chiuse gli occhi a mezzo, come per dire che a nessuno al mondo era dato giudicare delle simpatie e delle intenzioni dell’imperatrice.
— Il barone Funcke è raccomandato all’imperatrice madre dalla sorella di lei, – disse poi in tono dolente e di profonda devozione, come accadevale quante volte ricordasse la sua augusta protettrice. – Sua Maestà si degna mostrarsi assai benevolente verso il barone.
Il principe tacque, simulando indifferenza. Anna Scherer, con la fine destrezza femminile e di Corte, avea voluto punzecchiarlo per la sua temerità nel parlare di una persona raccomandata all’imperatrice; ma subito s’ingegnò di consolarlo.
— A proposito della vostra famiglia, – disse, – sapete che vostra figlia, da che ha preso a frequentare la società, forma l’ammirazione di tutti? La trovano bella come un occhio di sole.
Il principe s’inchinò in segno di riconoscenza.
— Tante volte io penso, – proseguì Anna Scherer, dopo un minuto di silenzio, accostandosi al principe e sorridendogli, come per mostrare che ai discorsi politici e mondani sottentravano oramai le espansioni affettuose; – tante volte io penso alla ingiusta distribuzione della felicità nella vita. Perchè mai la sorte vi ha dato due perle di figliuoli,... ne escludo Anatolio, l’ultimo, che non mi piace affatto,... due creature veramente invidiabili? E dire che voi li apprezzate meno di tutti, epperò non li meritate.
— Che volete?... Lavater avrebbe trovato che a me fa difetto il bernoccolo dell’amor paterno.
— Da banda gli scherzi. Io davvero, parlando sul serio, sono scontenta del vostro Anatolio. A dirla fra noi, anche in Corte s’è fatto il suo nome alla presenza di Sua Maestà, e vi si è compatito.
Il principe aggrottò le sopracciglia.
— E che vorreste ch’io facessi! – disse poi. – Sapete benissimo che nulla ho trascurato per la loro educazione, e tutti e due mi son riusciti cattivi. Ippolito almeno è uno sciocco tranquillo; Anatolio è irrequieto: ecco l’unica differenza.
E qui sorrideva con meno naturalezza del solito, mostrando nelle rughette agli angoli della bocca non so che di burbero e di poco simpatico.
— Ma perchè, dico io, un uomo del vostro stampo deve aver dei figli? Se non foste padre, non avrei davvero che cosa rimproverarvi.
— Io sono il vostro schiavo fedele, epperò solo a voi posso confessare in tutta confidenza, che i miei figli sono il peso più grave della mia esistenza. Questa, si vede, è la mia croce. Che farci?
— E come va che non pensaste mai a dargli moglie, al vostro figliuol prodigo? Dicono che le vecchie zitelle hanno la mania dei matrimoni. Per me, non l’avverto ancora questo debole; ma ho in vista una certa personcina, nostra parente, la principessina Bolconski, che è molto infelice in casa di suo padre.
Il principe Basilio non rispose a parole; ma con la prontezza e l’acume dell’uomo di mondo, mostrò crollando il capo di prendere in buon conto quelle informazioni.
— No, – disse poi, non riuscendo a sviare il corso malinconico dei suoi pensieri, – voi forse ignorate che quel benedetto Anatolio non mi costa meno di 40 mila rubli all’anno. E che sarà da qui a cinque anni? Ecco quel che si guadagna ad esser padre. È ricca la vostra principessina?
— Il padre è ricchissimo e avaro. Vive in campagna. Sapete, il famoso principe Bolconski, che fu messo al riposo sotto il defunto imperatore, e che chiamavano il re di Prussia. Uomo intelligente, ma bisbetico e pesante. La poverina è infelicissima. Ha un fratello, quello che da poco ha sposato Lisa Meinen, l’aiutante di Kutusow. Stasera verrà qui.
— Sentite, cara Annetta, – disse il principe, prendendo per mano la sua interlocutrice. – Aggiustatemi questo affare, ed io sarò in eterno il fedelissimo fra i vostri schiavi. Un casato illustre, una buona dote... è tutto quel che mi bisogna.
E con la disinvolta familiarità che gli era propria, baciò la mano della damigella d’onore, la strinse leggermente e la carezzò, sdraiandosi finalmente nell’angolo del divano e volgendo altrove lo sguardo indifferente.
— Aspettate, – disse Anna Scherer, dopo aver pensato un poco. – Stasera stessa ne parlerò a Lisa Bolconski. Chi sa che non mi riesca... Incomincerò con la vostra famiglia a imparare il mestiere di vecchia zitella.

II

Il salotto di Anna Scherer si andò man mano popolando. Il più alto patriziato di Pietroburgo vi si dava convegno, gente varia di età e di carattere, ma parificata dalla società cui apparteneva. Arrivò la figlia del principe Basilio, la bellissima Elena, venuta a cercare il padre per andare insieme alla festa dell’ambasciadore. Era in abito da ballo con la cifra imperiale. Venne la principessa Bolconski, una personcina che avea fama della più seducente donna di Pietroburgo. Maritatasi l’inverno precedente, avea smesso di frequentare il così detto gran mondo, a motivo del suo stato interessante, e non si mostrava che nelle piccole serate. Venne il principe Ippolito, figlio del principe Basilio, con Mortemar, da lui presentato, l’abate Morio e molti altri.
— Non avete ancora visto o forse non conoscete mia zia? – diceva la padrona di casa agli ospiti, via via che arrivavano. Poi, con la massima serietà, li menava al cospetto di una vecchietta infronzolita sbucata dalle camere interne, li presentava per nome e per titoli, e subito se la svignava. Uno dopo l’altro soggiacevano gli ospiti alla cerimonia dei convenevoli con quel personaggio superfluo, sconosciuto e tutt’altro che interessante. A ciascuno la zia rivolgeva le medesime frasi sulla salute del visitatore, sulla propria e su quella di Sua Maestà che adesso, grazie a Dio, andava migliorando. Tutti i presentati, che per convenienza non davano a vedere nessuna sorta di fretta, traevano un sospiro di sollievo allontanandosi dalla vecchia, col fermo proposito di non accostarlesi più per l’intiera serata.
La giovane principessa Bolconski avea portato il suo lavoro in una sacchettina di velluto ricamato in oro. Il labbro superiore di lei, ombreggiato da una fine peluria, corto anzi che no, lasciava allo scoperto i denti bianchissimi e si abbassava con grazioso sforzo sull’inferiore. Questo difetto, come sempre accade in una bella donna, era stimato un pregio singolare, un carattere spiccato della sua bellezza. Era un piacere contemplare questa giovane madre, riboccante di salute e di vivacità, che con tanta disinvoltura sopportava la sua delicata posizione. Gli uomini attempati, non che i giovani annoiati della vita, dopo scambiate con lei alcune parole, si figuravano volentieri di essersi rifatti a nuovo. Tutti poi, vedendo quel suo luminoso ed assiduo sorriso, lo attribuivano soddisfatti alla propria amabilità e ad una speciale efficacia della propria conversazione.
Dondolandosi un poco, a passettini rapidi e brevi, la piccola principessa girò intorno alla tavola e, senza lasciare la sua sacchettina, si aggiustò le pieghe della gonna, e prese posto sul divano, vicino al bricco argenteo del tè. Checchè facesse, pareva intesa a rallegrar sè stessa e quanti la circondavano.
— Ho por...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. PREFAZIONE
  3. VOLUME I
  4. VOLUME II
  5. VOLUME III
  6. VOLUME IV
  7. EPILOGO
  8. POSCRITTO