Il ruolo di professore in diversi Istituti nel corso degli anni mi ha consentito di essere un osservatore privilegiato del mondo della scuola direttamente dall’interno dei suoi gangli più sensibili e profondi. Il mio sguardo ha potuto mantenersi critico e libero a causa di un sentire che potrebbe essere tacciato di infedeltà e incoerenza e invece è soltanto segno di radicata indipendenza intellettuale: la consapevolezza di essere uno studioso e un educatore del tutto autonomo, che per ragioni puramente contingenti e pratiche ha esercitato e continua a esercitare la sua militanza di umanista in strutture scolastiche private o pubbliche. In altri secoli avrei potuto essere al servizio di un Signore in una Corte; o lavorare come precettore e pedagogo nella villa di un nobile; o essere inserito in un’Accademia settecentesca con uno pseudonimo pastorale; o anche, come usava in quello splendido e irripetibile Egitto ellenistico in cui si fondevano la tradizione dei Faraoni e la sapienza greca, passare le mie giornate al Museo e nella Biblioteca di Alessandria, condividendo le mie ricerche con colleghi e discepoli nel corso di lunghe passeggiate nel criptoportico, sotto lo sguardo protettore delle statue di Iside e di qualche Tolemeo.
La sorte di essere nato nella seconda metà del Novecento, unitamente alla mia forte vocazione letteraria e didattica, mi ha invece obbligato a entrare in quel corpaccione ipertrofico che è il sistema scolastico italiano repubblicano, dal quale sono stato remunerato mese per mese, anno per anno, con un salario avarissimo e ingrato. Mi sarei presto accorto, subito dopo le fantastiche immaginazioni giovanili circa il mio ingresso nel presunto Tempio della formazione e dello studio, di essere finito in uno zoo, o forse meglio in un acquario, popolato dalle specie più varie di persone reali e di creature mitologiche.
Impossibile da dimenticare una maturità vissuta all’inizio degli anni Novanta in un illustre Istituto superiore della Riviera di Levante, gestito da un manipolo di efficienti suorine grigio vestite.
Era il tempo in cui, nei giorni immediatamente precedenti gli esami, l’Italia intera era percorsa da un fremito migratorio dalle Alpi a Scilla e viceversa: si trattava di molte decine di migliaia di professori (commissari esterni e presidenti) che avevano chiesto con successo di prestare il loro servizio fuori della regione di appartenenza, in cambio di lauti compensi per il sacrificio compiuto. Si trattava di ripagare il viaggio – a tariffa chilometrica – le spese di permanenza in albergo, le spese per il vitto. Ne uscivano somme ingenti a carico del Ministero. L’ipocrisia pubblica e privata andava dicendo che si trattava di un benefico rimescolamento dei membri della classe docente della Penisola, allo scopo che ci si scambiassero i metodi, che si apprendessero nuove didattiche, che si effettuassero controlli incrociati sulla qualità dell’insegnamento tra Nord, Centro e Sud: neanche si fosse stati nell’Italia postunitaria.
« Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia di qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all'Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra patria, dove son grandi foreste e grandi montagne, abitate da un popolo pieno d'ingegno, di coraggio. Vogliategli bene, in maniera che non s'accorga di esser lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta il piede, ci trova dei fratelli. »
Detto questo s'alzò e segnò sulla carta murale d'Italia il punto dov'è Reggio di Calabria. Poi chiamò forte:
« Ernesto Derossi! » quello che ha sempre il primo premio.
Derossi s'alzò.
« Vieni qua » disse il maestro.
Derossi uscì dal banco e s'andò a mettere accanto al tavolino, in faccia al calabrese.
« Come primo della scuola », gli disse il maestro, « dà l'abbraccio del benvenuto, in nome di tutta la classe, al nuovo compagno; l'abbraccio dei figliuoli del Piemonte al figliuolo della Calabria. »
Derossi abbracciò il calabrese, dicendo con la sua voce chiara: « Benvenuto! » e questi baciò lui sulle due guancie, con impeto. Tutti batterono le mani.
Naturalmente la verità era tutt’altra, o almeno così l’interpretò gran parte della classe docente. Era un affare. Bastava partire in auto dalla Puglia (per fare un esempio) con tutta la famiglia, per portarla in vacanza in Trentino: il viaggio si sarebbe fatto ugualmente, ma ora, così, era pagato dallo Stato. Bastava andare tutti in un albergo economico a Moena o a Pozza: l’insegnante al mattino sarebbe andato a fare gli esami, ma il resto della giornata si sarebbe riunito ai familiari, senza spender nulla. Il vero terno al lotto si aveva nel caso di una coppia di coniugi entrambi insegnanti. Oppure si chiedeva di andare in una regione dove c’era un parente, un amico, che ti avrebbe ospitato gratis, e un albergatore compiacente che in cambio di qualcosa dichiarasse la tua finta presenza per venti giorni nella struttura. Al termine degli esami l’assegno sarebbe stato davvero sostanzioso e in grado di compensare le misere retribuzioni ordinarie.
Ancora non era scoppiato lo scandalo di “Mani pulite”, che comunque avrebbe colpito non i pesci piccoli ma la classe politica democristiana e socialista – anche per le colpe storiche di aver permesso la crescita ipertrofica di un sistema-Paese corrotto fin nelle midolla e maestro di sprechi miliardari.
Tutto era cominciato un mattino d'inverno, il 17 febbraio 1992, quando, con un mandato d'arresto, una vettura dal lampeggiante azzurro si era fermata al Pio Albergo Trivulzio e prelevava il presidente, l'ingegner Mario Chiesa, esponente del Partito Socialista Italiano con l'ambizione di diventare sindaco di Milano. Lo pescano mentre ha appena intascato una bustarella di sette milioni, la metà del pattuito, dal proprietario di una piccola azienda di pulizie che, come altri fornitori, deve versare il suo obolo, il 10 per cento dell' appalto che in quel caso ammontava a 140 milioni.
Io rimasi a fare gli esami di luglio sempre nella mia regione, in Liguria, senza mai chiedere una commissione ad Amalfi o Matera, come peraltro non era raro sentir domandare da vari colleghi – per nobili ragioni di approfondimento culturale, s’intende: non è forse vero che Amalfi fu una delle Repubbliche marinare e che Matera è la straordinaria località dei Sassi d’origine neolitica?
Fatto sta che quella volta, per un capriccio dei burocrati del Provveditorato (allora non si poteva ancora invocare l’olimpica irresponsabilità del computer), ricevetti l’incarico di commissario esterno di italiano e latino in un Istituto superiore religioso in una località marittima distante quasi un’ora di treno, un tempo tuttavia insufficiente, anche se solo per pochi minuti, per poter aspirare a qualsiasi incremento stipendiale.
L’ingresso quotidiano in quel lindo edificio era sufficiente a far dimenticare ogni disagio. Le suorine ci avevano espressamente chiesto, se fosse possibile, di arrivare da loro sempre qualche minuto prima dell’inizio delle attività, per dar loro il tempo di offrirci una semplice colazione e prepararci nel modo migliore alle fatiche degli esami. L’orario del treno era quello, ma imparai ben presto, una volta sceso sul binario, ad affrettare il passo per dare pieno compimento a quell’autentico rito liturgico.
“ Semplice colazione”? Dopo aver attraversato a passi leggeri e a bassa voce, noi colleghi e colleghe, alcuni immacolati locali profumati di lavanda e ispirati a una candida fede nel sacro dal primo all’ultimo degli arredi, venivamo fatti accomodare da Suor Imelda in un ampio tinello dove, su un grande tavolo di legno adorno di intagli floreali e di forma circolare, erano già disposte fragranti brioches di vario tipo ancora calde di forno; chicchere di modesta eleganza con i loro piattini e cucchiaini risplendenti erano pronte ad accogliere, su nostra richiesta, thè caldo, caffelatte o cioccolata. E intanto Suor Imelda, coadiuvata da una conversa, trascorreva premurosa, ma senza nessun affanno, da una posizione all’altra, facilitandoci le scelte e accostando a noi le bianchissime zollette di zucchero contenute in alcune bomboniere di silver.
Di quelle merende ottenute prim...