Odissea
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Odissea

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Informazioni su questo libro

Quando lavora alla traduzione dell'Odissea, Thomas Edward Lawrence è ormai da dieci anni "Lawrence d'Arabia", un mito. Arruolatosi nella Royal Air Force sotto falso nome – risulta come T.E. Shaw – opera nell'attuale Pakistan, tra Karachi e Miranshah, in una missione sepolta da molti segreti. A Bruce Rogers, il leggendario tipografo americano che riesce a stanarlo e a commissionargli il lavoro, Lawrence risponde schermandosi: "Non sono in grado di tradurre come gradirebbe Omero... Il libro sarà pubblicato senza il nome del traduttore". Siamo nel gennaio del 1928; esattamente un anno dopo lo scrittore guerriero sarà rispedito in Inghilterra: pare ci sia lui dietro la rivolta che ha rovesciato Amanullah Khan, potente emiro afghano alleato con i sovietici, benvoluto da italiani e tedeschi, nemico dell'impero britannico. Nei momenti di pausa dalle azioni militari, T.E. Lawrence sprofonda nell'Odissea, "il primo romanzo europeo", scrive. L'Odissea secondo "Lawrence d'Arabia" – di cui si propone un'antologia di brani scelti – è pubblica nel 1932, diventando, inaspettatamente, un classico, un libro di culto: nel primo anno "brucia" oltre 12mila copie. Merito di una traduzione moderna che conserva la patina arcana dell'originale, che si legge come un sortilegio – o come la testimonianza remota del più inquieto avventuriero del secolo.

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Informazioni

Tra gli dèi
Disse Zeus che aggioga le nuvole: “Non ignoro il genio di Odisseo, che supera ogni uomo in scaltrezza, generoso con gli dèi che da sempre dominano i cieli. Una rabbia inebria Poseidone che cinge la terra, perché Odisseo ha accecato il Ciclope, Polifemo simile a un dio, il più potente tra i suoi figli – la madre, Toosa (figlia di Forco, che domina sui mari reietti, infecondi), lo ha concepito dopo essersi unita al dio tra gli anfratti di una scogliera. Per questo, Poseidone che fa tremare la terra, benché non osi uccidere Odisseo, ostacola, con pazienza implacabile, ogni suo sforzo per tornare nella casa dei padri. Sommiamo le nostre menti, architettiamo il ritorno di quell’uomo: Poseidone ingoierà la sua rabbia. Da solo è nulla contro il verdetto degli Immortali”.
Atena dagli occhi vitrei, divina, rispose: “Padre, di tutti Re, Cronide, se gli dèi, davvero ineffabili, promulgano oggi il ritorno del cauto Odisseo, convoca Hermes, l’araldo, l’assassino di Argo, e invialo immediatamente a Ogigia, l’isola della ninfa dai capelli incantati, che incatenano: la avverta del nostro incontrovertibile editto, liberi l’intrepido, che intraprenda la via verso casa”.
Calipso
“Crudeli, dèi, gelosi, e smisuratamente, più di tutti; più di tutto odiate quando una dea sceglie di posarsi su un uomo, si innamora e si lega a un mortale. Ricordo quando Aurora ditarosate scelse Orione. Voi, dèi, adagiati nel vostro cielo, avete condannato l’unione laceri di rancore, finché Artemide la casta, dal trono d’oro, non l’ha ucciso a Ortigia infliggendogli delicati dardi. Poi toccò a Demetra dai lunghi capelli: scatenò la sua passione, si diede a Giasone, nel campo appena arato. Non ne fu ignaro Zeus: lo uccise con la folgore scintillante. Allo stesso modo, ora, dèi invitati dall’invidia, non sopportate che io ami un uomo. Eppure, sono io che l’ho salvato: aggrappato alla chiglia della barca, solo, alla deriva, nell’oscuro mare colore del vino. Con la bianca folgore Zeus gli ha distrutto la nave: nel disastro finirono dispersi i valorosi compagni. Il caso lo ha rovinato alla mia riva, tra vento e flutti: l’ho amato, l’ho curato, gli ho promesso che non sarebbe mai morto, privi di vecchiaia i suoi giorni”.
Tra parole d’addio il messaggero, l’assassino di Argo, se ne andò; la ninfa allora cercò Odisseo dal grande cuore, secondo i comandi dettati da Zeus. Lo trovò seduto sul ciglio delle acque: occhi fecondi di lacrime, piangeva di continuo la vita preziosa, vani lamenti di chi anela la libertà – da tempo la ninfa non soddisfava più il suo genio. Eppure, ogni notte dormiva con lei, nella grotta profonda: non poteva sottrarsi a quel destino. Lui non la voleva, lei lo voleva troppo: così, ogni giorno, ossessionava le rocce e i sassi sulla spiaggia, tra conati di pianto e sospiri e grida, vomitava il cuore, lo sguardo fisso alla desolazione, maculato di lacrime.
La dea gli fu accanto, gli disse: “Uomo corroso dal fato, non soffrirai più. Non svanirà la tua vita in questo luogo: la mia anima è ben disposta a lasciarti partire”.
E disse Odisseo, saturo di saggezza: “Regina e dea, non assalirmi. So bene, nel mio intimo, quanto diversa da te, in bellezza e prodigio, sia l’umile Penelope. Lei è mortale: tu sei immutabile, immortale, per sempre giovane. Eppure ho scelto – tutti i miei giorni cancellati da questo desiderio –: tornare a casa e misurare l’alba del mio approdo. Un dio vuole annientarmi sull’oscuro oceano colore del vino. Soffrirò con cuore vasto; il mio coraggio è temprato a sopportare ogni miseria. Ho conosciuto ogni sorta di dolore, sapiente nel soffrire, tra tempeste e guerre. Questo schianto si sommerà agli altri”.
Crollava il sole, dilagava la tenebra, mentre egli parlava. Entrarono nella grotta, così bella – e fu la fine: si unirono, dandosi gioia, secondo le vie dell’amare, per tutta la notte.
Il velo di Ino
Ma Ino dalle caviglie sottili lo vide – luminosa Ino, figlia di Cadmo. Nata mortale, pura ragazza dalla voce cristallina, aveva ottenuto grazia dagli dèi e ora dimorava tra gli abissi salati dell’oceano. Provava compassione per Odisseo, travolto dall’angoscia. Sinuosa, come un gabbiano, volteggiò sulle acque, posandosi sulla zattera, e disse: “Uomo infelice, Poseidone piantuma il male sul tuo cammino, ma nonostante il suo odio non ti ucciderà. Fai come ti dico. Strappati le vesti, abbandona la zattera ai venti, nuota verso la terra dei Feaci, dove sarai salvo. Prendi questo velo divino, io l’ho fatto, e annodalo ai fianchi. Finché lo indossi, nessun dolore ti toccherà, né morte: quando sarai a terra, slega il velo e gettalo nel mare oscuro colore del vino, volta le spalle e vai”.
Così disse la dea: gli diede il velo, poi, con gioia di uccello, si distese, gettandosi tra le onde; la tenebra dell’oceano si chiuse su di lei.
Nausicaa
Si svegliò, il grande Odisseo, sedeva, e rimbombava il dubbio nel cuore, tenebra nella testa. “E ora, in quale luogo dell’uomo sono? Tra gente inospitale, forgiata nell’ingiustizia selvaggia; o tra gentili, che temono il dio e rispettano l’ospite? Strida di ragazze, intorno a me, fruscio di ninfe, che vagano per cime inaccessibili, nel segreto dei fiumi, lungo laghi d’erba. Dalle voci, riconosco l’umano. Capire devo, vedere…”.
Mormorava, Odisseo, e uscì dal folto: con le mani potenti aveva strappato il ramo intricato di un albero, per coprirsi. Camminava come un leone dei monti, solenne, fiero della forza, buca le piogge e i venti, gli occhi scagliano fiamme. Caccia ogni bestia, mira il cervo selvatico. Quando la fame lo fagocita, assale le pecore, incurante degli alti recinti. Così, crudo e carnale, nudo, Odisseo avanzò tra la banda delle ragazze: necessità lo impugnava. Ai loro occhi parve ripugnante, cardato dal naufragio, incrostato di sale; spaventate, corsero verso il mare. Soltanto la figlia di Alcinoo restò: Atena aveva insediato il coraggio nel suo cuore, scrostando la paura dalla mente; fissa, statuaria, affrontava Odisseo che vagava in sé: era meglio abbracciare le ginocchia della ragazza e supplicare la sua bellezza, o allontanarsi, ingabbiarla tra parole dolci, che gli donasse delle vesti, accompagnandolo nella sua città? Pesò la questione, sul bivio della domanda; preferì persuadere, avrebbe oltraggiato il suo pudore toccandola.
Dunque, valutò le parole, sbriciolate in un sussurro: “In ginocchio, supplice, o Regina: ambigua la tua natura, di donna o di dea? Se sei divina, creatura degli alti spazi, ad Artemide, la figlia di Zeus possente, ti comparo per forma, nobiltà e corpo. Ma se sei umana, prole di chi poggia su questa terra, tre volte benedetto tuo padre e la madre, triplice benedizione sulla tua famiglia! Il cuore scandito dalla gioia quando ammirano la tua danza, perfetta primizia: benedetto tra gli uomini chi vincerà la gara dei doni, saprà piegare i Pretendenti, coglierti e condurti nella sua casa. Mai ho visto con questi occhi rarità simile – la tua presenza mi schiaccia”.
Era distante, seduto sul confine del mare, radioso in gloria; la ragazza, rapita, disse alle compagne dai capelli setacciati di luce: “Silenzio, fanciulle dalle braccia bianche, ascoltatemi. Gli dèi che abitano l’Olimpo non si sono opposti: quest’uomo è arrivato tra i Feaci, popolo puro. Non sembrava un uomo, prima: ora è pari a un dio, domina gli spazi celesti. Che possa radicarsi, per sempre, nella nostra città, e non disdegni di essere chiamato marito! Venite, ragazze, omaggiamo lo straniero con il cibo, sfatiamo la sua sete”.
Lotofagi
Il decimo giorno approdammo nella landa dei Lotofagi, uomini che ricavano dai fiori il pasto. Sbarcammo per rifornirci d’acqua; alcuni presero cibo sulla riva, presso le agili navi. Appena la fame fu placata, scelsi due sodali e ne aggiunsi un terzo, rapido araldo, per esplorare quella terra, capire quali uomini la abitassero. Quasi subito incontrarono i Lotofagi: non volevano ucciderli, li invitarono a gustare il loto. Assaggia...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Tra gli dèi
  5. Appendice