L'Italia lontana
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L'Italia lontana

Una politica per le aree interne

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L'Italia lontana

Una politica per le aree interne

Informazioni su questo libro

C'è un pezzo importante del nostro paese che è tenuto lontano dai servizi fondamentali di cittadinanza. Aree dove non è garantito ai residenti l'accesso alle scuole, alle strutture sanitarie, ai trasporti, a internet. È l'Italia interna, per decenni oscurata, marginalizzata, rimossa perché considerata arcaica, improduttiva, refrattaria all'innovazione. Eppure sono luoghi, per lo più di collina e montagna, che offrono ossigeno, acqua, legname, silenzio, senza alcuna contropartita. E sono anche territori dove si producono alimenti di qualità, energia da fonti rinnovabili, dove la presenza umana cura e manutiene il paesaggio. La desertificazione umana di queste aree interne implica dunque un duplice costo: a monte, la svalorizzazione di ecosistemi vitali stratificatisi nel corso di secoli e, a valle, l'abbassamento delle condizioni di sicurezza e della qualità della vita. Nel 2013, su impulso dell'allora ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, nasce la Strategia nazionale per le aree interne (Snai), una politica diretta in primo luogo a riconoscere le fragilità sociali e fisiche dei luoghi e delle comunità lontane e, nel contempo, a potenziare la dotazione di servizi essenziali di cittadinanza in modo da contrastare lo spopolamento. La Snai è una politica place-based, che considera vincoli e potenzialità luogo per luogo, soggetti e risorse specifici di ogni area interna, dotazione di servizi civili e opportunità di occupazione in ogni contesto territoriale. In questo libro, scritto a più mani da alcuni dei protagonisti dell'esperienza Snai, si ricostruisce la storia di questa ancora giovane politica pubblica e si prefigurano adattamenti futuri per assicurare dignità e vivibilità agli italiani delle aree lontane.

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Informazioni

Categoria
Sociologia

I. La Snai nel contesto delle politiche di sviluppo
e coesione

di Sabrina Lucatelli

1. Il primo decennio del XXI secolo.

In Italia, come negli altri paesi occidentali, forti disuguaglianze, distanza nell’azione delle classi dirigenti e politiche di sviluppo errate hanno provocato una domanda di protezione sociale inascoltata, che si è incanalata in sentimenti di chiusura e intolleranza. Questo è ancora più vero nelle aree interne del paese, dove la sottoutilizzazione del potenziale di sviluppo è forte e le disuguaglianze sono sistematiche, soprattutto nell’accesso e nella qualità dei servizi fondamentali.
Dopo anni di flussi di risorse compensative che hanno favorito l’immobilismo e la rendita delle classi dirigenti locali, e non hanno intaccato l’abbandono e la grave crisi demografica di questi territori, è nata la Strategia nazionale per le aree interne (Snai), con il chiaro intento di segnare un giro di boa nel panorama delle politiche di sviluppo in favore dei territori marginali. Nella sua prima fase – quella maggiormente di rottura e innovativa – la teoria e l’azione di questa politica rivolta ai luoghi (place-based) hanno provato a ribaltare il modo di fare politiche di sviluppo, incontrando tanta resistenza (soprattutto ai diversi livelli di governo e istituzionali interessati, decisamente meno a livello delle comunità e degli attori maggiormente innovativi).
Con la Strategia, Stato e regioni hanno tentato – anche se non sempre con abbastanza coraggio – di piegare l’offerta dei propri servizi essenziali (scuola, salute, mobilità) alle esigenze dei singoli luoghi; in cambio hanno richiesto la disponibilità dei gruppi dirigenti locali (in primis i sindaci) ad aprire le proprie decisioni a soggetti nuovi e di legarle a una visione di medio e lungo termine. Requisito indispensabile di questo approccio rivolto ai luoghi è la condivisione di risultati attesi monitorabili e misurabili. Non target decisi dal centro, ma indicatori utilizzati nel confronto pubblico e target fissati con l’intento di misurare il successo o l’insuccesso delle scelte effettuate.
Un coeso gruppo di lavoro – il Comitato tecnico aree interne, con rappresentanti delle amministrazioni centrali ma anche ricercatori, esperti e progettisti –, il gruppo di sostegno all’associazionismo di Anci e di funzione pubblica. Un organigramma operativo, costruito con un gruppo di lavoro per ogni regione e per ogni area selezionata, che ha seguito i lavori di ciascuna delle aree, dalle prime riunioni a Roma con le regioni, passando per le missioni di campo per la selezione delle aree, poi il primo incontro a Roma col sindaco referente e tutti i lavori che, con un approccio in parte desk ma soprattutto di campo, attraverso il metodo della costruzione strategica e della co-progettazione, hanno invertito il modo di costruire politiche per i territori, scardinando il viziosissimo win-win del bando facile e gestito da Roma o dai diversi capoluoghi e la risposta veloce, che per tanto tempo ha distribuito risorse (sempre poche ma abbastanza per cercare di dare un appannaggio di risposta, nell’ottica del poco sempre meglio di niente), in favore invece della costruzione di una visione di cambiamento, a medio e lungo termine, da realizzare attraverso pochi, ma nuovi e co-decisi progetti. Questi ultimi, per innescare il cambiamento necessario, avrebbero dovuto essere fortemente innovativi e di rottura. Poche cose da cui iniziare; come abbiamo sempre detto ai sindaci: «siamo qui per individuare le due gambe su cui iniziare a correre…», per poi però rintracciare delle traiettorie davvero alternative.
E tanti, tantissimi chilometri percorsi con soluzioni intermodali, treni, bus e incontri territoriali, spesso nei municipi dei comuni delle aree interne, ma non solo anche nelle scuole, nei centri sanitari, sotto le tensostrutture della Protezione civile. Come scordare l’incontro di Pieve Torina, in provincia di Macerata, quando in macchina il sindaco referente ci confessò di sentire ancora nel naso l’odore della polvere del terremoto che aveva invaso le case… Il centro (lo Stato) è tornato, dopo anni di profonda assenza, a discutere decisioni difficili come la localizzazione di una scuola, l’apertura di un nuovo indirizzo scolastico, con le comunità e per le comunità. Senza dettare nessuna ricetta scritta a tavolino, ma costruendo un set di opzioni percorribili e facendo leva sul sapere delle comunità locali per individuare soluzioni specifiche, per utilizzare al meglio la normativa esistente col fine di potenziare l’attuazione delle politiche ordinarie – scuola, salute e trasporti – in favore delle esigenze delle aree interne1. Ma lo ha fatto anche spezzando squilibri di vecchia data, che tenevano risorse bloccate, barriere alzate agli innovatori, sogni incastrati. E sempre e costantemente progetti «inadeguati» pronti nei «diversi» cassetti…
La Strategia nazionale per le aree interne, così come pensata, concepita e lanciata tra il 2012 e il 2014, è stato un tentativo di innovazione, politica e istituzionale. Simili operazioni innovative richiedono una serie di fattori e circostanze per potersi effettivamente affermare: una forte volontà della politica, un’amministrazione capace di registrare e tradurre tale volontà in scelte e atti amministrativi, un confronto costante col mondo interno ed esterno alla pubblica amministrazione, il mondo della conoscenza (università e altri «alti» centri di competenza) e l’entrata in partita di tutti gli attori chiave, in particolare dei primi cittadini di queste comunità, con l’intento poi di raggiungere la comunità più allargata e quelli che abbiamo sempre chiamato i «soggetti rilevanti» (in contrapposizione a quelli rappresentativi).
Tutte queste circostanze si sono verificate tra il 2012 e il 2014, ma ovviamente non basta guardarle e analizzarle (lo faremo in questo libro, una a una), bisogna anche capire perché proprio all’inizio del secondo decennio del Duemila in Italia e in Europa si siano create le circostanze favorevoli per sperimentare, per la prima volta – pur essendo il nostro un paese di forti tradizioni di interventi di sviluppo locale –, una politica così audace dal punto di vista dell’impostazione place-based. In testa metterei sicuramente il contesto europeo. Tutti i paesi dell’Europa avevano da poco prodotto l’Agenda 20202 con l’intento di ricollocare la coesione territoriale al cuore delle scelte europee e riconoscendo, dopo tanto tempo, l’importanza di assicurare servizi adeguati a tutti i cittadini affinché tutte le regioni del continente, anche quelle meno densamente popolate, potessero partecipare a processi di crescita socio-economica sostenibili.
Determinante è stata la decisione di Danuta Hübner – economista polacca democratica e progressista e commissaria Ue per la Politica regionale – di creare un gruppo di lavoro, coordinato da Fabrizio Barca, per elaborare un documento di riforma della politica di coesione (An Agenda for a Reformed Cohesion Policy), per gettare le basi teoriche e operative di un nuovo approccio allo sviluppo «basato sui luoghi» (place-based), che assumesse i rischi delle disuguaglianze territoriali e sociali sempre più crescenti. In questo documento è possibile ritrovare le linee portanti che avrebbero poi caratterizzato, a partire dal 2012, secondo un approccio evolutivo tipico del learning by doing, la Strategia: l’attenzione ai luoghi e alle comunità, l’importanza di costruire le politiche attraverso l’incontro del centro (lo Stato) e della conoscenza espressa dai territori, l’ossessione per la trasparenza e l’accountability, l’attenzione al risultato. Alla commissaria Hübner il riconoscimento di aver intuito l’innovazione della proposta italiana della Strategia, organizzando numerosi incontri-seminari già in fase di costruzione della stessa, ma anche dedicando una prefazione a quello che sarebbe rimasto – dopo quello che state leggendo – uno dei più importanti libri testimonianza di questa avventura: La voce dei sindaci delle aree interne (Lucatelli - Monaco 2018).
Il Trattato di Lisbona, adottato nel 2009, fa infatti della coesione territoriale un obiettivo dell’Unione europea e riconosce il carattere fortemente diversificato dei territori che la compongono. Gli obiettivi chiave della coesione territoriale sono la promozione di uno sviluppo più equilibrato, di una maggiore solidarietà tra territori e di un accesso equo dei cittadini ai servizi di base. Si tratta anche di rendere operativi alcuni principî organizzativi propri della coesione territoriale: perseguire la fluidità tra i diversi livelli territoriali all’interno di forme di governance multi-livello e non gerarchizzata; facilitare il coordinamento tra politiche territoriali e settoriali; mirare a strategie integrate e cooperazione tra territori (Lucatelli - Salez 2012). Inoltre, il Trattato rafforza il ruolo degli attori regionali e locali nelle politiche territoriali europee, conferendo loro lo statuto di veri e propri partner. E sono appunto questa concezione più ampia del partenariato e questi nuovi principî di governance territoriale, fondati su un approccio integrato, che è possibile ritrovare negli orientamenti della Commissione europea sulle politiche territoriali per il periodo 2014-2020.
La coraggiosa azione innovativa della Commissione europea – voluta dal Parlamento europeo3 – sui legami tra città e campagna e la sperimentazione di un primo e importante gruppo di discussione a livello europeo che ha messo insieme attori rilevanti del mondo delle città e delle città metropolitane fino ai rappresentanti della ruralità europea e delle reti/associazioni di gruppi organizzati come i Gruppi di azione locale (Gal). Un meraviglioso think tank dove la Germania raccontava già più di quindici anni fa l’esperienza delle sue città metropolitane ben strutturate, che da tempo sperimentavano soluzioni di collaborazione tra la città metropolitana e i comuni interni che su di essa gravitavano4. All’interno di questo gruppo l’Italia era invitata proprio per i suoi interessanti tentativi di integrazione tra la politica di sviluppo rurale e quella di coesione in corso già nel periodo 2007-2013, e presentava il modello di città di piccole e medie dimensioni come una possibile alternativa alla lettura dicotomica città/campagna (cfr. Ocse 2013). Erano i prodromi…
In parallelo, il solido lavoro teorico dell’Ocse che proprio nei legami tra città e campagna è entrata, li ha esaminati e ha pubblicato una serie di casi studio e ricerche per scandagliarne la natura e per spingere verso soluzioni di governance – organizzazioni amministrative e di partenariato – maggiormente capaci di accompagnare e assecondare questi legami di natura sociale ed economica, e di trovare le migliori soluzioni possibili per l’organizzazione e la gestione dei servizi sui territori. Da anni l’Italia, peraltro, gioca un ruolo importante nell’ambito del Gruppo Ocse per le politiche regionali, all’interno del quale dalla fine degli anni novanta si è costituito un sottogruppo dedicato proprio alle politiche territoriali in favore dei territori rurali (Rural Working Party5) che ha prodotto analisi e documenti di orientamento strategico per la costruzione di politiche innovative attente ai luoghi rurali e marginali. Si tratta dell’unico gruppo al mondo in cui i territori rurali sono analizzati partendo da due importanti prospettive: la qualità della vita dei cittadini che vi risiedono e il potenziale (altamente inesplorato) di crescita delle aree rurali, specialmente di quelle più prossime a città con cui costruire legami di relazione e gravitazionali (vedremo di seguito come Snai abbia abbracciato e superato parzialmente questo concetto, proponendo – ben prima della crisi da Covid-19 – l’importanza delle reti lunghe e dei centri di competenza su cui gravitare). In un contesto internazionale in cui anche gli organismi internazionali tendono a riflettere l’organizzazione per silos delle politiche – si pensi alla Fao, che si concentra sull’agricoltura, e al World Food Programme, che si concentra sull’alimentazione –, il Gruppo Ocse in favore dei territori rurali lavora per la costruzione di politiche integrate, che superino l’ottica compensativa, in favore di investimenti atte...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Nota editoriale
  6. A mo’ di introduzione. Conversazione con Fabrizio Barca
  7. I. La Snai nel contesto delle politiche di sviluppo e coesione di Sabrina Lucatelli
  8. II. La Snai sui territori. La co-progettazione dalla partecipazione al coinvolgimento strategico dei cittadini di Filippo Tantillo
  9. III. I dispositivi abilitanti per una politica di sviluppo place-based di Giovanni Carrosio e Alessia Zabatino
  10. IV. Una politica agricola orientata ai luoghi di Daniela Storti
  11. V. Le piattaforme di collaborazione amministrativa di Giovanni Xilo
  12. VI. I cambiamenti, attesi e inattesi di Daniela Luisi
  13. VII. Riavvicinarsi al paese. La Snai come politica-metodo per l’Italia lontana di Domenico Cersosimo e Sabina Licursi
  14. Gli autori