Logica matematica
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Abraham Robinson

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Logica matematica

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Se la logica regola le forme e le leggi del pensiero, come può integrarsi con il ragionamento matematico? Tratteggiare i confini di questa congiunzione significa affrontare un viaggio tra le correnti della filosofia e della matematica, giungendo infine a un elemento altro, integrato: la logica matematica. Abraham Robinson ricostruisce il quadro storico di questo complessopercorso, tratteggiandone i rapporti con i diversi àmbiti della filosofia e del linguaggio, in un testo che, malgrado la complessità dell'argomento, riesce a mantenere salda una straordinaria forza divulgativa. Arricchiscono il volume l'illuminante prefazione di Gabriele Lolli e il saggio di Beppo Levi del 1934 sulla logica matematica.

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2021
ISBN
9788812008643
LOGICA MATEMATICA

1
INTRODUZIONE

La logica ha come oggetto le forme e le leggi del pensiero. La scoperta della grande efficacia del tipo di ragionamento matematico, unita alla considerazione che la matematica costituisca un campo naturale per l’applicazione e l’esemplificazione di argomenti logici astratti, ha fatto sì che nel XX secolo i legami tra logica e matematica si siano andati sempre rafforzando. È quindi abituale contraddistinguere la logica moderna per mezzo dell’aggettivo “matematica”. Cionondimeno questa disciplina è rimasta sostanzialmente qual era ai tempi di Aristotele. Non vi è motivo di tracciare una distinzione netta, come vorrebbero alcuni sostenitori della “logica matematica” o della “logica aristotelica”, i primi per sottolineare la maggiore efficacia del loro indirizzo, i secondi per rivendicare la maggiore profondità del proprio.
Branca fondamentale della filosofia, la logica conserva la sua importanza ben oltre i campi della matematica e delle scienze esatte. Così il termine “logica filosofica”, che è diventato di moda da qualche anno, si riferisce a taluni settori della logica, come quella modale, che rivestono un particolare interesse per i filosofi. In questo saggio, comunque, fisseremo l’attenzione su quegli aspetti della logica e della matematica che mettono in evidenza l’interazione tra le due discipline.
Abbiamo diviso il saggio in quattro parti. Dopo la prima, con una breve rassegna sullo sviluppo storico della logica, diamo nella seconda parte una descrizione piuttosto semplificata delle tendenze e delle correnti principali della filosofia della matematica. Sebbene i progressi contemporanei in questo campo siano stati in gran parte motivati o almeno influenzati dalla logica matematica, non si esige, a questo livello, una competenza tecnica in tale disciplina. Nella terza parte delineiamo i fondamenti dei principali settori disciplinari della matematica. Infine, nella quarta parte, descriviamo le caratteristiche più importanti dell’imponente edificio che costituisce oggigiorno la logica matematica. Tale esame risulterebbe incomprensibile se non includesse almeno qualche dettaglio di matematica formale.

2
L’EVOLUZIONE DEI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA

I primi passi dell’uomo nelle scienze matematiche furono motivati da problemi di carattere pratico o almeno da questioni derivanti dall’osservazione diretta dei fenomeni naturali. La matematica babilonese e quella egiziana già comprendevano regole definite, acquisibili solo con l’aiuto del ragionamento deduttivo. Furono comunque i greci a tentare per primi di fondare esplicitamente la matematica sul ragionamento puro. Nello sforzo di costruire su solide basi la matematica e la scienza in generale, i pitagorici giunsero alla conclusione che tali fondamenti fossero forniti dall’aritmetica, cioè dai numeri naturali. Il loro punto di vista divenne insostenibile di fronte alla scoperta delle grandezze incommensurabili, cioè, in termini moderni, dei numeri irrazionali. Per reazione a questa scoperta, i matematici greci edificarono la matematica su basi puramente geometriche. In tal modo, anche i risultati relativi alla teoria dei numeri sono presentati da Euclide in linguaggio geometrico, secondo una tradizione che sopravvive ancora oggi, quando, per esempio, parliamo del quadrato o del cubo di un numero.
Non affronteremo in questa sede il problema di determinare fino a che punto Euclide fosse influenzato da filosofi come Zenone, Aristotele o Platone, o quanto la sua teoria attingesse da Eudosso. In ogni modo, i tredici libri dei suoi Elementi mostrano che attorno al 300 a.C. i greci avevano un’idea chiara dell’impiego del procedimento deduttivo in matematica. Il punto di partenza di Euclide era costituito da definizioni e da assiomi; questi ultimi erano suddivisi in due classi a seconda che l’autore li ritenesse di natura geometrica o puramente logica. Tali assiomi non erano considerati ipotesi arbitrarie, come gli attuali assiomi dell’algebra o della geometria, ma verità oggettive, e al tempo stesso si riteneva che le definizioni fornissero una chiara delimitazione degli oggetti da esse descritti. Ne segue che anche i teoremi erano considerati verità oggettive, ottenute dagli assiomi con un processo puramente deduttivo. Malgrado molte lacune, l’opera di Euclide e dei suoi immediati successori è espressione di un livello di chiarezza intellettuale che non fu superato per altri duemila anni, durante la maggior parte dei quali non fu, inoltre, neppure apprezzato. Sebbene in questo periodo la logica e la matematica non restassero ferme al punto di partenza, esse si svilupparono prevalentemente ciascuna per proprio conto. Nel XVII secolo si registra un rinnovato contatto tra la matematica e la logica o, più in generale, la filosofia. Così, per esempio, Cartesio considerava la sua opera geometrica un’applicazione dei principi generali dell’euristica che egli aveva sviluppato nella sua filosofia. E mezzo secolo più tardi Leibniz esponeva le sue idee pionieristiche nel campo della logica matematica al solo scopo, o quasi, di far progredire l’“arte della scoperta”. Tuttavia, benché queste intuizioni – che erano già affiorate nel Medioevo – fossero importanti in linea di principio, non costituirono molto di più che una sorta di sprone psicologico per le grandi scoperte matematiche dei loro formulatori. Persino i contributi di Leibniz alla fondazione del nascente calcolo differenziale e integrale hanno soltanto una remota connessione con le sue idee sulla formalizzazione della matematica e sulla matematizzazione della logica.
Cionondimeno furono i problemi relativi al calcolo a imporre ai matematici e ai filosofi un rinnovato interesse verso i fondamenti della matematica. Per centocinquant’anni dopo Leibniz imperversò un accanito dibattito sulla corretta definizione delle nozioni fondamentali dell’analisi (o calcolo infinitesimale). A questo proposito, lo stesso Leibniz aveva suggerito l’introduzione di numeri infinitamente piccoli e infinitamente grandi, in aggiunta a quelli reali la cui esistenza e il cui significato erano dati per scontati. Così, secondo Leibniz, la velocità di una particella avrebbe dovuto essere definita da una frazione il cui denominatore è la misura di un intervallo di tempo infinitamente piccolo e il cui numeratore è la distanza infinitamente piccola percorsa dalla particella in quell’intervallo di tempo. L’impostazione di Leibniz, malgrado l’intrinseca debolezza, nella misura in cui fu applicata tenendo conto delle sue contraddizioni interne, si dimostrò adeguata allo sviluppo dell’analisi e della geometria differenziale per oltre un secolo. Alla fine, comunque, tali contraddizioni, insieme al sorgere di problemi la cui soluzione richiedeva un apparato concettuale più sofisticato, portarono all’abbandono dell’impostazione leibniziana. Questa fu sostituita (dopo il 1850) dalla formulazione “ε, δ” di Weierstrass (prefigurata da Bolzano e, in qualche suo aspetto, da Cauchy), la cui caratteristica centrale è il concetto di limite, basato sul solo sistema dei numeri reali. A questo punto divenne necessario sottoporre anche questo sistema a un esame più approfondito. Si giunse così, da una parte, a un processo di riduzione in base al quale i numeri reali venivano ricondotti, in ultima istanza, ai soli numeri naturali e, dall’altra, all’indagine, effettuata da Cantor, su insiemi arbitrari di numeri reali, che costituì il punto di partenza per lo sviluppo di una teoria generale degli insiemi (infiniti). Vista superficialmente, questa “aritmetizzazione dell’analisi”, come fu chiamata a quel tempo, sembrò segnare l’abbandono definitivo dell’impostazione geometrica di Euclide, in base alla quale ogni numero reale è rappresentato da un punto su una retta. A un livello diverso e più profondo, questo stesso sviluppo segnò comunque anche un ritorno allo standard di rigore proprio dei greci e persino alle soluzioni da essi proposte per taluni problemi del calcolo.
Ad esempio, Euclide (e Eudosso, prima di lui) si era reso conto del fatto che il riferimento puro e semplice ai punti di una retta era inadeguato ai fini di una comprensione del sistema dei numeri reali. Conseguentemente egli basò la sua teoria delle proporzioni sul fatto che (in virtù dell’“assioma di Archimede”) i numeri irrazionali possono essere approssimati mediante numeri razionali con un grado di precisione arbitrario. La stessa concezione venne ripresa nel XIX secolo, questa volta al fine di definire i numeri reali in termini di numeri razionali.
Analogamente, sebbene i greci non definissero le aree e i volumi per mezzo del concetto di limite, ma ne dessero semplicemente per scontata l’esistenza, Archimede impiegò un procedimento di approssimazioni successive (detto in seguito “metodo di esaustione”) per calcolare aree e volumi in un modo non solo rigoroso, ma anche molto vicino alla formulazione “ε-δ” di Weierstrass.
All’inizio del XIX secolo si registrò un ulteriore sviluppo che, da una parte, polarizzò di nuovo l’attenzione sull’impostazione greca della matematica e, dall’altra, dimostrò la necessità di una sua revisione. Uno degli assiomi di Euclide è equivalente – presupponendo la validità degli altri assiomi – all’asserzione che, per una qualsiasi retta l in un dato piano p e per un qualsiasi punto Q di p che non appartenga a l, esiste una e solo una retta l′ nel piano p che passa per Q ed è parallela a l. A seguito dei molteplici tentativi che erano stati fatti per arrivare a dedurre questo assioma dai rimanenti, tre matematici (Gauss, Lobačevskij e Bolyai) svilupparono – indipendentemente l’uno dall’altro – una teoria in cui l’assioma delle parallele non è valido, mentre tutti gli altri assiomi (e postulati intuitivi) della geometria sono ancora soddisfatti. Essi pervennero alla conclusione che la nuova teoria non portava, apparentemente, ad alcuna contraddizione. Questa scoperta contribuì a creare un clima psicologico nel quale gli assiomi cessavano di essere considerati come verità assolute, sebbene indimostrabili, ma venivano piuttosto presi come proposizioni primitive di una teoria, quindi arbitrari, purché logicamente compatibili; l’arbitrarietà degli assiomi poteva essere eventualmente limitata dal contesto in cui si intendeva applicarli.
La rappresentazione di un punto mediante coordinate numeriche, che aveva per lungo tempo costituito un valido aiuto nella soluzione di problemi geometrici, veniva ora impiegata per ricondurre la coerenza della geometria alla (presunta) coerenza dell’aritmetica. Così, ad esempio, per stabilire la coerenza degli assiomi della geometria metrica tridimensionale sarebbe stato sufficiente dimostrare che essi possono essere interamente soddisfatti in una struttura i cui punti sono terne di numeri reali. Ma, mentre questa aritmetizzazione della geometria eliminava il problema della coerenza da tale disciplina, acuiva anche il bisogno di un’approfondita indagine sui fondamenti dell’aritmetica e sugli strumenti logici usati nello sviluppo della matematica.
La modernizzazione della logica era stata avviata da Boole, attorno alla metà del XIX secolo, con un metodo algebrico che riecheggiava le idee già proposte da Leibniz un secolo e mezzo prima; fu proseguita durante la seconda metà del secolo da parecchi studiosi in Inghilterra, Germania, Italia e Stati Uniti. Forse chi più di ogni altro si adoperò per render saldi i fondamenti della nuova logica e, nello stesso tempo, fu in grado di applicarla al problema dei fondamenti della matematica fu Gottlob Frege. Questa reciproca interazione – tra la matematizzazione della logica e la formalizzazione...

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