Fiction
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Informazioni su questo libro

Perché la voce di un'enciclopedia italiana dovrebbe intitolarsi fiction invece che finzione? Sono in tutto sovrapponibili le implicazioni semantiche dei due termini? Tanto più che la pragmatica ci insegna che in italiano (e in molte altre lingue) chi parla oggi di fiction ha in mente principalmente una narrazione audiovisiva trasmessa da una piattaforma digitale come Netflix, Prime Video o da una qualunque rete televisiva pubblica o privata; il che implica peraltro un forestierismo al limite dell'improprietà, dal momento che inglesi e americani di solito chiamano produzioni del genere TV shows. da Fiction di Daniele Giglioli

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2021
eBook ISBN
9788812009732

DAL PRINCIPIO

Si ricominci dal principio: Platone e Aristotele. Sono note le obiezioni che Platone, nella Repubblica ma non solo, muove al concetto di mìmesis artistica in quanto pallida e slavata imitazione del mondo sensibile, copia di copia, rappresentazione di terzo grado e in quanto tale quanto di più lontano possibile dalla verità dell’ousia. Tuttavia, a leggere il testo con un poco più di attenzione, non è questo il vero motivo per cui Platone riterrebbe conveniente espellere i poeti dallo Stato ideale. Sia pure l’imitazione artistica un esercizio futile e inutile: che male può fare? Ma di motivi ce ne sono anche altri e di molto maggior momento. Il primo, di natura moralistica, è che i poeti attribuiscono spesso e volentieri a dei e a eroi passioni e azioni disonorevoli, il che è altamente diseducativo: nella cultura occidentale, la madre di tutte le censure. Ma è il secondo a essere di gran lunga il più rilevante e in ultima analisi decisivo. Il fatto è che Platone, di suo, non è affatto ostile al concetto di mìmesis in generale. Lo Stato ideale non è forse un’imitazione il più possibile esatta dell’idea di Giustizia? E non sono forse utili e commendevoli le diverse tèchnai («arti»), da quella del carpentiere a quella dello stratega, nella misura in cui più si avvicinano all’essenza della ‘cosa’, e cioè dell’idea, di cui sono imitazione? Ora, se la pratica del carpentiere e quella dello stratega possono a buon diritto essere chiamate tèchnai, perché non dovrebbe esistere, a rigore, un’arte poetica, una tèkne poietichè? Il fatto è che, dice sempre Platone per bocca di Socrate, carpentieri e strateghi imitano qualcosa che sanno fare. Si prenda per contro il caso di un pittore che imita un letto. La questione non è tanto se la sua produzione sia un letto su cui ci si possa distendere. Il punto fondamentale è un altro. Cosa ne sa, concretamente, il pittore di un letto? È forse in grado di costruirlo? No di certo. E, peggio ancora, un poeta che pretenda di imitare re, strateghi o guerrieri. Forse che per questo affidiamo ai poeti la conduzione delle nostre città o delle nostre guerre? A differenza di tutti gli altri artefici, il poeta imita qualcosa che non sa, e che non sa perché non la sa fare. La sua pòiesis è un logos senza pragma, senza cosa, un logos vuoto, senza criterio e senza origine. A rigore, dunque, il poeta non imita nulla perché non sa nulla e si limita a disseminare pathos, contagioso e potenzialmente nocivo, intorno ad argomenti cruciali come la religione, lo Stato, la guerra e così via. Tecnicament...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. FICTION O FINZIONE?
  5. DAL PRINCIPIO
  6. AUTOFINZIONE E REALISMO DOCUMENTARIO COME DISAGIO
  7. TRA FANTASY E LEGGE: QUESTIONI APERTE
  8. BIBLIOGRAFIA