Storia delle idee
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Storia delle idee

  1. 120 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Storia delle idee

Informazioni su questo libro

Intorno agli anni Quaranta del Novecento, grazie agli studi del filosofo americano Arthur Oncken Lovejoy, nasce negli Stati Uniti la storia delle idee come disciplina autonoma, distinta dalla storia della filosofia e incentrata sul concetto di processo ed elaborazione inteso come continua mutazione. Proprio i testi di Lovejoy costituiscono il punto di partenza della riflessione di Jacques Le Goff che, con la chiarezza del divulgatore e una scrittura seducente, ripercorre tutti i passaggi che hanno caratterizzato l'accoglienza della disciplina in Europa e le sue conseguenze nell'elaborazione sociale e politica. La sua indagine dimostra come l'uomo attraverso la storia delle idee abbia saputo trovare una via d'uscita dai vincoli della storia, su cui è ancora possibile in qualche modo influire grazie alla consapevolezza politica e alla conseguente azione.

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Informazioni

Editore
Treccani
Anno
2021
Print ISBN
9788812008476
eBook ISBN
9788812008469
Argomento
History
STORIA DELLE IDEE
(1992)

I FONDAMENTI DELLA STORIA DELLE IDEE

La nozione di storia delle idee è stata introdotta in ambito filosofico e storico-culturale dagli storici e sociologi statunitensi. I testi teorici fondamentali di questo indirizzo di studi, che nel corso degli anni si è venuto configurando con una sua riconoscibile fisionomia metodologica, sono quelli − assai noti − di Arthur Lovejoy: l’introduzione al suo libro più importante, The Great Chain of Being (1936), e le sue Reflections on the History of Ideas, articolo introduttivo al primo numero del “Journal of the History of Ideas” (gennaio 1940); a questi si deve aggiungere la prefazione di P. Wiener al primo volume (1973) del Dictionary of the History of Ideas. Per la trattazione di quanto segue ci si riferisce a Le Goff (1974, 1983, 1989, 1992).
Se si esamina preliminarmente e per grandi linee la diffusione dell’espressione history of ideas, si può notare subito la scarsa penetrazione di questa nozione nelle varie aree culturali nazionali. In Germania, essa è venuta a urtare con l’espressione Geistesgeschichte. In Italia, dove è stata ostacolata dall’uso tradizionale dell’espressione storia della filosofia, solo nel 1981 una rivista, “Intersezioni”, si è collocata sotto l’etichetta di «Storia delle idee» anche se la penetrazione del termine idea come soggetto di storia, prima dell’uscita della rivista “Intersezioni”, è già documentata da uno studio di Tullio Gregory, L’idea della natura nella scuola di Chartres, uscito nel 1952 sul “Giornale critico della filosofia italiana” (v. inoltre l’altro importante studio di Gregory, 1964). Nemmeno in Francia l’espressione ha avuto molto successo, eccetto che nel campo della storia della letteratura, in particolare sotto la dizione: «l’idea di». Per esempio, negli anni Sessanta, sono usciti sotto questa etichetta due importanti volumi dedicati al movimento delle idee nel Settecento. Si tratta della ricerca di Robert Mauzi, L’idée de bonheur au XVIIIe siècle (1960), e di quella di Jean Ehrard, L’idée de nature en France dans la première moitié du XVIIIe siècle (1963). Per la verità, con la dizione «l’idea di» il concetto ha, comunque, conosciuto una discreta fortuna, anche in questo caso presso gli anglosassoni. Nel 1920, John B. Bury pubblicava il suo classico libro The Idea of Progress. In questa prospettiva, oggetto di studi è stata la storia stessa specialmente nelle opere di Robin G. Collingwood, The Idea of History (1946), e, più di recente, di George Huppert, The Idea of Perfect History (1970). Il termine idea è stato talvolta sostituito col termine vicino, ma non identico − perfetti sinonimi non ne esistono − di concetto; così nell’opera di Isaiah Berlin, The Concept of Scientific History (1960). Il termine concetto è stato ugualmente usato nella traduzione inglese del saggio di Hannah Arendt, The Concept of History, uscito a Londra nella sua raccolta di saggi, Between Past and Future (1961). Viceversa, le espressioni Geistesgeschichte, Geisteswissenschaften − “storia dello spirito”, “scienze dello spirito” − hanno mantenuto a lungo il predominio nella storiografia tedesca, prima di conoscere un regresso, specialmente nei confronti della Begriffsgeschichte (“storia del concetto”).
Il medievista osserva con interesse che il fenomeno delle crociate ha dato luogo a tutta una serie di studi importanti sotto il titolo «l’idea di», o intitolati con simili espressioni. Contemporaneamente, nel 1935, uscivano l’opera di Carl Erdmann, Die Entstehung des Kreuzzugsgedankens, e La formation de l’idée de croisade di Ètienne Delaruelle, punto di partenza della sua serie d’articoli scritti fra il 1941 e il 1970 e pubblicati nel 1980 col titolo L’idée de croisade au Moyen Âge. Nel 1954 usciva l’importante opera postuma di Paul Alphandéry, messa a punto da Alphonse Dupront, La chrétienté et l’idée de croisade. Nel 1981 Louise e Jonathan Riley-Smith pubblicavano una raccolta di documenti intitolandola The Crusades. Idea and Reality, 1095-1274. Usando un altro termine, ma nella stessa prospettiva, Jean Richard aveva pubblicato, nel 1969, L’esprit de la croisade, e Paul Rousset avrebbe pubblicato, nel 1983, Histoire d’une idéologie. La croisade. Degno di nota è il fatto che un fenomeno essenzialmente militare, religioso e collettivo abbia dato luogo a studi che si collocano sotto l’insegna della storia delle idee. Ma in che modo Alphandéry e Dupront definiscono il tipo di storia che si esplica sotto il titolo «l’idea di crociata»? Essi scrivono: «Una storia della crociata nella realtà del suo significato e della spiritualità collettiva deve partire da un inventario delle esperienze, delle immagini e delle tradizioni insite nel subconscio collettivo dell’Occidente cristiano» (tomo I, p. 9) e inoltre intitolano uno dei loro capitoli: L’Occidente e Gerusalemme: immagini e rappresentazioni collettive. La storia di cui si tratta è dunque quella che si situa al livello delle rappresentazioni (una rivista, “Representations”, è stata pubblicata in seguito sotto la direzione di Herbert Bloch dall’università di Berkeley), storia oggi molto di moda e che accorda particolare importanza alle immagini, ossia all’immaginario, seguendo anche qui uno dei nuovi orientamenti della metodologia storica attuale. Abbiamo così un’interessante estensione della nozione d’idea che viene a integrare nella storia delle idee la storia delle immagini.
Rilevante è la penetrazione della storia delle idee nel campo della storia dell’arte. Anche qui il fenomeno si verifica soprattutto nell’ambito degli autori anglosassoni. Se l’espressione compare di rado in Erwin Panofsky, spesso tuttavia la si avverte, evidentemente in sottofondo, nel suo bagaglio concettuale. Ma Panofsky ha soprattutto imposto la nozione di idee con la sua celebre opera pubblicata in Germania nel 1924 negli “Studien der Bibliothek Warburg”: Idea. Ein Beitrag zur Begriffsgeschichte der älteren Kunsttheorie. Si vede qui quanto presto avesse fortuna in Germania l’espressione “storia dei concetti”; più chiaramente lo si vede in Rudolf Wittkower, soprattutto nella sua opera postuma Idea and Image. Studies in the Italian Renaissance (1978), e in Gerhart Ladner, Images and Ideas in the Middle Ages. Selected Studies in History and Art (1983-84).
Quanto a Lovejoy, per comprendere la sua posizione teorica e metodologica, si ricorderà che egli intende l’espressione history of ideas in contrapposto a history of philosophy. Essa indica un campo più circoscritto di quello della filosofia, il campo delle idee, ma, al tempo stesso, il concetto è più ampio poiché lo si ritrova anche al di fuori della filosofia, nella letteratura, nell’arte e in numerosi fenomeni storici. Nel manifesto di Lovejoy, il già citato The Great Chain, si possono fissare sei punti principali.

LE “UNIT-IDEAS”

Per Lovejoy lo studio delle idee è studio delle unità che costituiscono la storia del pensiero, da lui chiamate unit-ideas: la dottrina di un filosofo o di una scuola di pensiero è «un aggregato eterogeneo e complesso di idee-unità»; secondo Lovejoy, quindi, una dottrina si presenta come un aggregato. In questa concezione si possono distinguere due idee. In primo luogo, l’identificazione dell’idea con l’atomo; concezione che porta a una visione meccanicistica del pensiero, considerato come un’attività combinatoria di idee, in contrasto con tutte le concezioni moderne della vita mentale e intellettuale; è in questo trasferimento del concetto di atomo al campo delle idee e del pensiero che si ravvisa un vero e proprio errore epistemologico. In secondo luogo, lo slittamento concettuale, altrettanto discutibile, dalla nozione di filosofia come disciplina del sapere verso quella di thought, facoltà dello spirito umano. Questo slittamento mette capo alla confusione di una disciplina con un tipo di attività mentale. Senza dubbio lo storico ha bisogno di servirsi di determinate unità di pensiero, ma gli strumenti mentali e intellettuali sono molto diversi dagli atomi di pensiero di Lovejoy.
Poiché il lavoro storico poggia sull’incrociarsi di nozioni del passato, mezzo essenziale per evitare l’anacronismo, e di nozioni attuali per beneficiare del progresso del sapere, la storia che davvero può rispondere alle esigenze cui ha tentato di dare una risposta la storia delle idee deve servirsi di due tipi di strumenti: i concetti del passato e quelli della scienza attuale. L’utilizzazione dei concetti del passato porta alla necessità di uno studio lessicale preciso in una prospettiva di lunga durata suscettibile di far cogliere le evoluzioni, i mutamenti e le rotture. Studi del genere sono stati egregiamente condotti, in Italia, nell’ambito del Lessico intellettuale europeo a proposito, per esempio, dei termini e dei concetti di ordo, res, spiritus, phantasia, imaginatio, idea, ratio. Questo è essenziale, per esempio, per il Medioevo, sia per l’importanza che quel periodo annetteva alle parole, sia per l’odierna necessità di uno studio almeno bilingue del vocabolario: termini latini e termini in volgare. Pur restando critici circa i presupposti di una storia delle idee alla Lovejoy, si può tuttavia credere alla validità di una storia dei concetti, purché i concetti siano considerati come strumenti e non come delle cose o degli esseri. La storia dei concetti che l’autore di questa voce, insieme ad altri, sostiene, e che sembra corrispondere alla Begriffsgeschichte dei tedeschi, differisce da quella che molti storici attuali, specialmente francesi, chiamano storia concettuale. Se ne possono trovare, per esempio, alcune definizioni nell’articolo di Paul Veyne, L’histoire conceptualisante, nel primo tomo di Faire de l’histoire (1974), di Jacques Le Goff e Pierre Nora, e nella raccolta di François Furet, L’atelier de l’histoire (1982). Furet parla anche di storia intellettuale: «Le mie preferenze vanno a una storia intellettuale che costruisca esplicitamente i propri dati partendo da questioni concettualmente elaborate». La storia concettuale mi sembra interessante come tipo particolare d’approccio storico, che cerca il contenuto di pensiero dei fenomeni storici e si sforza di definire alcuni strumenti che permettono di pensare la storia; la ritengo invece, se non dannosa, per lo meno limitata, se privilegia l’aspetto intellettuale nella ricerca storica, e tanto più restrittiva se si ferma a questo.
Per tornare alla storia delle idee intesa come storia dei concetti, essa ha giustamente messo l’accento su termini come ordo, res, status, corpus ecc., che escono dal campo della filosofia e che, per esempio, si trovano nella scienza, nel diritto, nella politica e, più ancora − come vedremo più avanti − nel vasto ambito delle mentalità. La storia delle idee, intesa come storia dei concetti, è pertanto strumento fondamentale di una storia pluridisciplinare, che si sforza di spingersi oltre lo strato superiore delle élite sociali e intellettuali.

PROCESSI DI PENSIERO

Per Lovejoy, dato che le idee hanno degli effetti, esse introducono una dinamica nella storia del pensiero che induce lo storico a interessarsi dei processes of thought. È in gioco qui una nozione, molto feconda, come quella di process, che non solo comporta uno studio dinamico, evolutivo, uno studio cioè dei mutamenti e delle innovazioni nella storia, ma che, a somiglianza del modo in cui la nozione di “genesi” viene a sostituire quella di “origine”, deve eliminare dall’ambito storico ogni concezione di effetto automatico per sostituirla con quella di sviluppo costruttivo.
Per richiamarci in modo sommario a tre esempi tratti dalla concezione medievale, ricorderemo come il concetto antico di iustitia nell’Alto Medioevo regredisca fino alla nozione materiale di diritto di giustizia, di ammenda, di tributo da pagare per un’azione giudiziaria, e in seguito si arricchisca fino a diventare un ideale religioso, l’attributo essenziale del principe, uno strumento di potere. Ancora, l’evoluzione in senso riduttivo del concetto di pax che, scaturito da un’idea escatologica, quella dello stato perfetto della fine del mondo, evolve via via verso il fenomeno storico del movimento di pace, poi verso l’espressione giuridica “la pace di Dio”, e infine verso la definizione della pace come un semplice stato di assenza di guerra. Nell’evoluzione del concetto di ordo, infine, si può rilevare in particolare il processo storico che, nel corso dell’Alto Medioevo, porta a stabilire la concezione degli ordines, come tre ordini dell’attività classificatoria del pensiero e della descrizione della società. L’utilizzazione di questa nozione di process of thought deve scostarsi tuttavia da due concezioni che parimenti impoveriscono l’analisi storica: da un lato quella di un determinismo che farebbe derivare effetti necessari, in modo ineluttabile, dalle medesime cause; dall’altro quella, ugualmente riduttiva, di un evoluzionismo lineare, che negherebbe le possibilità di ritorno all’indietro, di scarto e di alternativa dell’evoluzione storica.

CINQUE “TIPI” DI IDEE

Lovejoy definisce cinque principali tipi d’idee che rientrano propriamente nella storia delle idee.
Gli “abiti mentali inconsci”: questa nozione di abiti mentali inconsapevoli sembra molto produttiva. Essa ci porta alla storia delle mentalità, di cui parleremo oltre, che rappresenta un arricchimento innegabile della nozione di storia delle idee, divenuta, nonostante i suoi pericoli, una branca della storia in senso pieno, e che non è più riconducibile nell’ambito ristretto di una storia delle idee tradizionale e nemmeno di una storia intellettuale. Questa concezione permette anche di stabilire un nesso tra la storia delle idee e la nozione di habitus di cui specialmente Panofsky e Pierre Bourdieu hanno messo in rilievo l’aspetto interessante. Questa nozione, inoltre, si indirizza verso l’ambito dell’inconscio e molti sono gli storici che pensano alla ricchezza di risultati che ne deriverebbe se si trovassero i metodi e gli strumenti intellettuali capaci di introdurre uno studio dell’inconscio e forme di psicanalisi nella problematica storica, anche se con la dovuta cautela. Del pari, questa nozione permetterebbe di affrontare meglio lo studio storico di quelle che Lovejoy chiama «categorie o particolari tipi di produzione d’immagini». S’intravede quanto questo procedimento potrebbe contribuire a una storia dell’immaginario, che sta diventando anch’essa una branca autonoma della storia. E sarebbe non meno stimolante, oltre che utile, che la storia delle idee potesse avviare a una storia dell’irrazionale e che questo diventasse oggetto di una ricerca storica aperta e più ampia, che non si fondi essenzialmente, come finora, sulla razionalità delle idee.
Motivi dialettici: Lovejoy sottolinea la tendenza delle idee al generico e al vago. Egli nota che spesso nelle riflessioni di un individuo, di una scuola, di una generazione, c’è un motivo dominante, che egli chiama dialectical per via della sua capacità di comparire nei più diversi orientamenti di pensiero. Si tratta forse di qualcosa che si avvicina a ciò che i tedeschi chiamano Zeitgeist? In questo caso, si tratterebbe di un concetto di portata limitata, proprio perché troppo vago e in genere incapace di rendere veramente la nota dominante, supposto che esista, del pensiero di un’epoca.
Tendenza al “pathos metafisico”: Lovejoy si riferisce, con ciò, a un’altra tendenza del pensiero, la tendenza all’oscurità e all’esoterismo, e si sofferma in particolare sulla tendenza a ritenere prodigioso tutto ciò che sfugge alla conoscenza: omne ignotum pro mirifico. Egli pensa che vi siano due orientamenti naturali del pensiero: il primo, dipendente dall’inerzia, porta alla considerazione di idee eterne e immobili, il che egli chiama pathos dell’eterno; l’altro è il fascino dell’unità, del numero uno, dei concett...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. DALLE IDEE AI VALORI (E RITORNO)
  5. STORIA DELLE IDEE
  6. BIBLIOGRAFIA