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- Italian
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Terrorismo italiano
Informazioni su questo libro
350 morti e più di 1000 feriti: è il bilancio delle vittime del terrorismo italiano. Le radici di questo capitolo sanguinoso della storia italiana vanno rintracciate oltre cinquant'anni fa, in quel 1968 che, scosso dalla nascita delle rivolte studentesche e operaie e dai violenti scontri di piazza, vide formarsi le prime profonde fratture negli equilibri politici del paese. Da lì fu un crescendo di attentati volti ad alimentare la paura collettiva che culminarono, il 12 dicembre del 1969, nella drammatica strage di piazza Fontana. Ma era solo l'inizio. Giovanni Bianconi ripercorre i momenti salienti di questo tragico fenomeno della nostra storia – le stragi di piazza della Loggia a Brescia, di Peteano, quella alla questura di Milano, l'Italicus, gli intrecci tra eversione nera e apparati istituzionali, la nascita delle Brigate Rosse e i sanguinosi agguati che seguirono, il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro, le uccisioni di agenti di polizia e magistrati, fino alla dissoluzione degli ultimi gruppi armati alla fine degli anni Ottanta – caratterizzato da estremismi e contraddizioni con cui si è ritrovato a fare i conti l'ex terrorista Cesare Battisti, rinchiuso dal 2019 nel carcere di Oristano e costretto ad ammettere che quello di cui fece parte fu «un movimento disastroso che ha stroncato una rivoluzione culturale e sociale che aveva preso avvio nel 1968». Lo stesso fenomeno che ha ridato corpo alle "ombre rosse" nella primavera del 2021, quando sono stati arrestati altri dieci ex militanti di organizzazioni rivoluzionarie degli anni Settanta condannati per reati di sangue che avevano trovato rifugio in Francia. A dimostrazione di una storia conclusa ma della quale l'Italia fatica a scrivere la parola "fine".
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Informazioni
1
Autobiografia di un terrorista minore
Cesare Battisti, nato a Cisterna di Latina nel dicembre 1954, è cresciuto in una famiglia di sentimenti comunisti, è stato iscritto alla Federazione giovanile del PCI e poi a Lotta Continua. Ha cominciato a commettere reati quand’era ancora minorenne, e dopo l’ultimo arresto rivela: «Ho dato diverse volte somme di denaro provento di furti e rapine per la causa comunista».
Arrestato la prima volta a diciotto anni, in cella incontra – a più riprese – compagni di detenzione che lo convincono a entrare nelle formazioni armate a cui si unisce una volta scarcerato. Aderisce ai PAC, e da clandestino partecipa all’esordio di quella sigla sulla scena: il ferimento a Milano del dottor Diego Fava, medico dell’INAM, l’ente pubblico che si occupa dei lavoratori in malattia; un’azione compiuta a sostegno dell’assenteismo operaio l’8 maggio 1978, il giorno prima che le Brigate Rosse, a Roma, uccidano Aldo Moro, tenuto in ostaggio da cinquantaquattro giorni in una introvabile “prigione del popolo”.
È Battisti a sparare a Fava. A ottobre del 1978 partecipa a Verona al ferimento dell’agente di custodia Arturo Nigro, facendo il “palo”. Quattro mesi prima, il 6 giugno, ha assassinato il maresciallo comandante delle guardie carcerarie del penitenziario di Udine Antonio Santoro.
«Non so indicare per quale motivo esatto venne deciso di ucciderlo, a differenza di quanto fu fatto per l’agente Nigro, in quanto ero appena giunto nel gruppo e l’azione era già stata decisa», spiega nell’interrogatorio del 2019. Nel volantino di rivendicazione di quell’omicidio, i PAC scrissero: «Per costringerci allo sfruttamento del lavoro nero e diffuso, lo stato agita il carcere a minaccia di ogni forma di dissenso, di procacciamento di reddito in altro modo, di offensiva di classe. E per riacquistare il controllo sulle carceri, sconvolte dall’insubordinazione dei proletari prigionieri, isola lo strato più combattivo in una condizione “speciale” (campi, sezioni, transiti) che significa annientamento. Dobbiamo stroncare il progetto. rafforzando la nostra pratica comunista, concretandola in organizzazione stabile ed espansiva, in armamento, in contropotere»4.
Il 16 febbraio 1979 i PAC firmano due omicidi commessi quasi contemporaneamente. A Santa Maria di Sala, in provincia di Venezia, uccidono Lino Sabadin, titolare di una macelleria, e a Milano l’orefice Luigi Pietro Torreggiani.
«Erano due commercianti che ai nostri occhi si erano resi responsabili di aver ucciso due rapinatori, noi chiamavamo costoro “miliziani”», racconta adesso Battisti. «Rivendicavano questo atteggiamento per noi inaccettabile. E dal nostro punto di vista meritavano una punizione».
Secondo l’ex terrorista, che partecipò all’omicidio di Udine «con ruolo di copertura», il progetto era di ferirli; «tuttavia accadde che il Torreggiani, come appresi dai miei compagni, reagì sparando e pertanto il volume di fuoco nei suoi confronti fu tale da determinarne la morte». Quanto a Sabadin, «accadde che la persona incaricata dell’azione lo uccise». Senza dare ulteriori spiegazioni, evidentemente. Né altri gliene chiesero.
Due mesi più tardi, il 19 aprile 1979, Battisti assassinò a Milano l’agente della DIGOS Andrea Campagna: «L’indicazione è stata data dal collettivo di Zona sud, in quanto il Campagna era stato ritenuto uno dei principali responsabili di una retata di compagni del collettivo Barona, che erano stati poi torturati in caserma… Per lui fu decisa la morte nel corso di una riunione dei PAC, e io mi sono reso disponibile all’azione».
Trascorsi altri due mesi Battisti venne nuovamente fermato, ma nel 1981 riuscì a evadere dal carcere di Frosinone. Cominciò quindi la lunga latitanza conclusasi – tra altri arresti e liberazioni in Francia e in Brasile – nel 2019.
A proposito degli omicidi commessi quarant’anni prima, l’ex terrorista tiene a precisare al pm Alberto Nobili: «Lei mi ha parlato di “freddezza” che sembrerebbe io abbia manifestato nei casi in cui ho sparato. Intendo evidenziare che io non sono un killer, ma sono stato una persona che ha creduto, in quell’epoca, nelle cose che abbiamo fatto, e quindi la mia determinazione era data da un movente ideologico e non da un temperamento feroce; quando credi in una cosa sei deciso e determinato. A ripensarci oggi provo una sensazione di disagio, ma all’epoca era così».
2
Ammissione di un fallimento
L’indomani, domenica 24 marzo, alle 9:30 del mattino, Cesare Battisti è ancora davanti al magistrato per completare il racconto del proprio vissuto di clandestino e di fuggiasco, e conclude così le sue dichiarazioni:
Io non posso che chiedere scusa ai famigliari delle persone che ho ucciso e alle quali ho fatto del male, perché penso che la lotta armata è stata un movimento disastroso che ha stroncato una rivoluzione culturale e sociale che aveva preso avvio nel 1968 con prospettive sicuramente positive per il paese, ma che proprio la lotta armata contribuì a stroncare. Chiedo scusa pur non potendo rinnegare che in quell’epoca per me e per tutti gli altri che aderirono alla lotta armata si trattava di “una guerra giusta”; oggi non posso che confermare quel disagio di cui ho parlato ieri nel ricostruire il mio passato e rivivere momenti che non possono che suscitare una mia revisione di un passato che all’epoca ritenni giusto. Parlare oggi di lotta armata per me è qualcosa privo di senso5.
Con queste parole l’ex militante dei PAC, piccolo protagonista di una piccola sigla del terrorismo italiano, chiude un cerchio della vita (durante il quale, da latitante, ha messo su famiglie diventando padre) ed è costretto ad aprirne uno nuovo: da detenuto che spera di ottenere, un giorno, i benefici previsti dalla legge italiana. Un percorso che comincia all’età di 65 anni, mentre quasi tutti gli altri compagni di quella stagione – alcune migliaia di persone – hanno finito di scontare da tempo le loro pene e sono tornati liberi. Un destino individuale controcorrente, frutto di scelte individuali.
Ma le confessioni dell’ex “guerrigliero” dei PAC travalicano le vicissitudini del protagonista-narratore e assumono una dimensione più ampia, diventando importanti ed emblematiche per diversi motivi.
Costituiscono, al di là delle scuse per le sofferenze inflitte alle vittime e ai loro cari, la presa d’atto di un fallimento personale e collettivo, come lo stesso Battisti è costretto ad ammettere; sono il riconoscimento dei risultati raggiunti dalla giustizia italiana nell’individuazione delle singole responsabilità di imputati e condannati per i fatti loro attribuiti, anche quando queste venivano negate; confermano una certa aura romantica e per certi versi persino salvifica o liberatoria che circondava i terroristi in alcuni ambienti intellettuali di sinistra, soprattutto all’estero; rappresentano la conclusione di una fuga non solo dalla pena, ma anche dalle proprie colpe, negate finché è stato possibile nascondersi dietro una narrazione della lotta armata in Italia come un movimento insurrezionale di liberazione, in grado di garantire sostegno e protezione attraverso una falsa ricostruzione della storia recente.
Ora quel tempo è finito, ammette anche l’ex terrorista.
3
Ombre dal passato
Due anni dopo le dichiarazioni di Battisti, nella primavera del 2021, altri dieci ex militanti di organizzazioni rivoluzionarie degli anni Settanta condannati per reati di sangue che hanno trovato rifugio in Francia sono stati arrestati su richiesta dell’Italia, che insiste a sollecitarne l’estradizione. Per alcuni non era la prima volta.
Scarcerati nel giro di poche ore, è ricominciata la disputa legale davanti ai giudici di Parigi che devono decidere la loro sorte. L’operazione coordinata dalle polizie dei due paesi ha avuto grande clamore mediatico, sia in Italia che in Francia; gli investigatori l’hanno chiamata “Ombre rosse”, quasi a evocare gli ultimi fantasmi di un’epoca storica tramontata ma che di tanto in tanto risorge, ritornando cronaca e ravvivando lutti, emozioni, passioni, dolori e pulsioni contrapposte, vecchie ormai di mezzo secolo.
Le persone da estradare, che chiedono alla Francia di respingere le domande italiane e poter continuare a vivere lì da liberi cittadini, sono state condannate per omicidi e ferimenti attribuiti a gruppi diversi, dalle Brigate Rosse in giù; episodi tutti in qualche modo legati tra loro, in un’unica lunga catena che ha avvolto e condizionato la storia d’Italia per circa un ventennio, dal 1969 al 1989, e che ha trovato degli epigoni dieci anni più tardi, nel 1999, intenzionati a riproporre schemi e slogan divenuti sempre più improponibili. Un tentativo evaporato in breve tempo, ma al prezzo di altre vite umane.
Sono uomini e donne espatriati per lo più nei primi anni Ottanta del Novecento, ormai in età da pensione, alcuni malati, tecnicamente assassini o complici di assassini sfuggiti all’esecuzione della pena che oltralpe – nel limbo della giustizia sospesa – sono riusciti a costruirsi nuove vite, hanno praticato lavori alla luce del sole, sono diventati genitori e nonni; ma sempre gravati da un passato più grande delle loro esistenze, che ha pesato e continua a pesare sulla storia d’Italia.
Un passato che gli ex terroristi giustificano con tentazioni sovversive e giustizialiste evaporate da tempo ma all’epoca considerate legittime, come ha cercato di spiegare Battisti, e che dunque non avrebbe senso riproporre attraverso un vecchio conto giudiziario da pagare; tuttavia il loro paese d’origine continua a inseguirli nella convinzione che non possano essere tollerati spazi d’impunità, sia pure a tanti decenni di distanza, proprio a causa di ciò che il terrorismo ha rappresentato nella storia italiana del secondo dopoguerra, con i rischi corsi dalla convivenza democratica e il tributo di sangue pagato dalle vittime.
Le massime istituzioni repubblicane si sono spese per ottenere le estradizioni e hanno attribuito un grande valore simbolico e pratico a quell’operazione di polizia, anche per contribuire a fare piena luce su alcuni aspetti oscuri dei cosiddetti “anni di piombo”. A cominciare dal capo dello Stato Sergio Mattarella6.
I delitti attribuiti ai latitanti (o rifugiati, o esuli, a seconda dei punti di vista) a cui il governo vorrebbe far scontare la pena, possono offrire a loro volta una chiave di lettura dell’evoluzione della lotta armata in Italia, e di ciò che ha rappresentato.
4
Una bomba e altri delitti
Le drammatiche e turbolente vicende del terrorismo italiano – tralasciando i decenni precedenti, in cui pure sono avvenuti episodi significativi per la nascita e lo sviluppo della lotta armata, a partire dalla Resistenza antifascista e dagli episodi di violenza politica proseguiti anche dopo la Liberazione – affondano le proprie radici cinquant’anni prima dell’interrogatorio di Cesare Battisti.
Le rivendicazioni studentesche e operaie del 1968, sostenute dai partiti di sinistra, dai sindacati e da movimenti extraparlamentari dichiaratamente insurrezionali, avevano cominciato a incidere sugli equilibri politici del paese, diventando terreno di discussione ma anche di repressione, con scontri di piazza sfociati in violenze e vittime provocate dall’azione dei manifestanti e dalla reazione delle forze dell’ordine.
In questo contesto, tra la primavera e l’estate del 1969 si susseguirono una serie di attentati contro banche, treni e altri obiettivi simbolici – senza gravi conseguenze e non rivendicati da alcuno – con il chiaro intento di alimentare la paura e surriscaldare un clima politico nel quale l’esperienza dei governi di centro-sinistra si andava esaurendo per lasciare spazio a una fase di incertezza e preoccupazione. Soprattutto in chi temeva il costante aumento di consensi da parte del PCI, il più forte partito comunista dell’Europa occidentale.
Oggi sappiamo con certezza che quegli attentati furono organizzati e portati a termine da appartenenti e simpatizzanti del movimento neofascista Ordine Nuovo, e in particolare della sua “cellula” veneta, responsabile anche della bomba che il 12 dicembre 1969 uccise diciassette persone alla Banca nazionale dell’agricoltura di Milano.
Un evento tragico che segnò uno spartiacque nella storia italiana, soprattutto per i depistaggi e le coperture istituzionali garantite ai responsabili. Per anni le indagini furono indirizzate v...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Colophon
- Lessico degli anni Settanta di Edoardo Albinati
- Terrorismo italiano
- Prologo. Una confessione tardiva
- 1. Autobiografia di un terrorista minore
- 2. Ammissione di un fallimento
- 3. Ombre dal passato
- 4. Una bomba e altri delitti
- 5. Depistaggi, paradossi e nuove stragi
- 6. Arrivano le Brigate Rosse
- 7. Assalto alle istituzioni
- 8. Cambio di strategia (della tensione)
- 9. Il delitto Moro e le sue conseguenze
- 10. L’attacco non si ferma
- 11. Eversione e pentimento
- 12. Verso la “ritirata strategica”
- 13. La strada della dissociazione
- 14. I nuovi terroristi neri
- 15. Gli ultimi fuochi
- Epilogo. Le contraddizioni di una stagione