Alta fedeltà
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Il matrimonio cristiano e la coppia felice e generativa

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Il matrimonio cristiano e la coppia felice e generativa

Informazioni su questo libro

«Avreste voglia di fare qualcosa per voi due? Di dedicarvi del tempo? Di imparare strumenti per prendervi cura della vostra relazione coniugale?». Questo il focus del libro, che si sviluppa in tre parti: Partendo dal tentativo di superare alcuni luoghi comuni sul matrimonio il testo percorre gli spazi comuni di una casa, mettendo a fuoco cinque dimensioni della vita matrimoniale, sui cui lavorare per crescere nella relazione coniugale. Si tratta di: generatività, sacramentalità, intimità, spiritualità, fedeltà. In seguito, è preso in considerazione il rapporto con la società e la Chiesa, orizzonti della generatività dell'amore stesso, all'interno dei quali matrimonio e famiglia emergono come beni comuni. Uno strumento utile per le coppie, i sacerdoti ed i formatori.

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Informazioni

A Gildo e Mariella

Introduzione

«C’è sempre tempo per un sorriso»: con queste parole, un agente di commercio, padre di quattro figli, ha descritto la vita di una donna che ha svolto per anni il servizio di portineria in un’azienda del terzo settore di modeste dimensioni, che vedeva però l’accesso di molte persone tutti i giorni della settimana, weekend compresi. Uno stile di accoglienza e di interessamento reale che faceva intuire la volontà sincera di andar incontro alle persone per cercare una soluzione ai problemi, capace di «un sì con un sorriso sulle labbra» (come è stato cantato al termine del suo funerale): caratteristiche che, unite nella stessa persona, sono state in grado di comunicare presenza e, di conseguenza, di farne un punto di riferimento.
Essere presenti: un’espressione che esprime lo stile della fedeltà di un marito, o di una moglie, che ogni giorno c’è per il coniuge e ne accoglie la presenza. “Io ci sono, qui, per te, oggi, e ci sarò domani” sono le parole, non per forza pronunciate in questo modo, che costruiscono e rafforzano giorno dopo giorno la relazione tra i due; sono le parole non della sicurezza e del controllo, ma della fedeltà, ossia della fiducia che viene rinnovata: mi fido di te e mi affido a te. Che bello dirlo e sentirselo dire con un sorriso sulle labbra!
Ci sono stagioni della vita di una famiglia in cui non c’è nemmeno il tempo per un sorriso, altre in cui non c’è più tempo per sorridere: sono i «giorni amari», di cui parla anche papa Francesco nella sua lettera sull’amore in famiglia Amoris laetitia (317). Giorni durante i quali la vita familiare e la casa stessa sembrano stare strette. Ci sono altre stagioni, invece, in cui il sorriso del coniuge o quello dei genitori verso il figlio adolescente cambiano il senso della giornata, oppure giorni in cui si osserva il volto di un figlio piccolino che non si è mai stanchi di guardare e di ammirare di nuovo. E le relazioni ripartono.
Durante i mesi del confinamento, nel 2020, c’è chi ha potuto godere degli spazi della propria casa e magari anche di un giardino in cui prendere aria e mangiare all’aperto, approfittando delle belle giornate; altri, al contrario, si sono ritrovati in quattro in cinquanta metri quadri, con entrambi i genitori al lavoro da remoto (e ovviamente i figli in dad), che hanno riso a denti stretti di fronte ad affermazioni che definivano il tempo del lockdown un’occasione per riscoprire le relazioni coniugali e familiari. Se è vero che per molti sono stati giorni utili per rinsaldare i legami familiari, per altri hanno acuito tensioni esistenti o provocato nuove difficoltà relazionali, a motivo del forte stress e del forzato isolamento. Gli ambienti della casa si sono trasformati in luoghi di lavoro, aule scolastiche, piccole palestre o campi di gioco, pizzerie e pasticcerie, e qualche volta tutte queste attività si sono svolte nella stessa stanza. Videoriunioni di lavoro e lezioni in videoconferenza hanno aggiunto ad appuntamenti e corsi universitari nuovi spaccati di vita familiare («scusi, prof, devo accendere la pentola. Mio marito sta arrivando dal lavoro; così trova pronto e caldo», ha detto una studentessa mentre stava presentando un suo elaborato durante una lezione serale).
Quella che facilmente viene chiamata “vita privata”, intendendo la vita della propria famiglia, è stata provocata a un’apertura oltre il proprio isolamento all’interno delle mura di casa.
È avvenuto anche che, proprio in concomitanza con quel confinamento primaverile, si siano raggiunti a livello di politiche familiari risultati insperati e nemmeno immaginati in precedenza, tanto siamo abituati ad arrangiarci in qualche modo, come famiglia. A maggio 2020, in Veneto, è stata approvata all’unanimità la Legge Regionale su famiglia e natalità; a luglio la Camera dei Deputati ha votato, nuovamente all’unanimità, l’approvazione della misura denominata Assegno unico o universale, la cui attuazione è stata programmata per il 2022. In quest’ultimo caso, si tratta della prima legge che riconosce la famiglia come soggetto e non come somma di individui e ne valorizza il ruolo sociale, sostenendola secondo il principio di sussidiarietà, in modo organico, diretto, continuativo.
Quel tempo inaspettato di relazioni familiari molto strette (o di isolamento e lontananza, in altri casi), sia se vissuto con pesantezza, sia se visto come occasione per le relazioni, sia se riconosciuto per la portata di risvolti sociali, rivela che le relazioni familiari, e quella coniugale in modo precipuo, domandano competenze specifiche. Queste non si improvvisano, ma hanno bisogno della costanza del maratoneta, della professionalità degli esperti e della pazienza dell’artigiano, che sa tentare nuovamente e aggiustare il tiro, con approssimazioni successive.
Stupisce sempre la reazione di coppie sposate da qualche anno, magari con i figli usciti dalla fase pannolini e lettone, di fronte alla proposta di un cammino formativo per la coppia: «Avreste voglia di fare qualcosa per voi due? Di dedicarvi del tempo? Di imparare strumenti per prendervi cura della vostra relazione coniugale?». La reazione è di curiosità e attesa, come di chi si sente colpito al punto giusto, quasi a dire: “è quello di cui abbiamo bisogno”, anche se con un po’ di timore a motivo della ruggine o della polvere che si intuiscono presenti nella propria relazione di coppia. La relazione coniugale, infatti, oltre ad essere appesantita dal fare i genitori e sovraccaricata di responsabilità e attese, oggi risulta particolarmente difficile, perché sfuggevole, continuamente da reinventare in un contesto culturale che dà importanza solo all’individuo e ai suoi bisogni. Nessuno sembra fare il tifo per la coppia.
Sulla scia di queste riflessioni, la prima parte di questo libro, presentando alcuni luoghi comuni sul matrimonio, metterà a fuoco la sfida della vita coniugale oggi, evidenziando alcune questioni di cui farsi carico.
Nei capitoli successivi, a partire da alcuni spazi comuni della casa, verranno delineate cinque dimensioni di cui tener conto per la crescita nella vita coniugale, in particolare nella capacità di prendersi cura della relazione di coppia.
Infine, la terza parte (beni comuni) toccherà il rapporto tra matrimonio/famiglia e contesti sociale ed ecclesiale come orizzonti della generatività dell’amore stesso, mostrando che, così come porte e finestre favoriscono lo scambio bidirezionale con l’ambiente, matrimonio e famiglia sono riconosciuti come beni comuni in rapporto alla cura del bene comune.
Ogni capitolo si conclude con la riscrittura del significato di una parola, ingrediente del cammino della vita insieme, fedele, stabile e unita.
Ispira la stesura di queste riflessioni un’immagine apparsa negli schermi di tutto il mondo durante la seconda ondata della pandemia di coronavirus: un uomo di 81 anni, nel cortile dell’ospedale di Piacenza, suona la fisarmonica per far arrivare la propria musica alla moglie ricoverata in isolamento e che, quindi, non può andare a trovare. Non ci sono solo mille modi per tradire, come recita un programma televisivo, ma anche mille e uno modi per essere fedeli, come testimoniato da tante coppie oggi, che, anche nella loro vita coniugale, trovano sempre tempo per un sorriso.

I

LUOGHI COMUNI

1

Ci basta il nostro amore (?)

Volersi bene non basta: non è solo un sentimento a fare la coppia. «Non siamo più solo due persone distinte, ma una coppia, con i suoi punti di forza e le sue debolezze» (parole pronunciate da Pierangelo e Vanessa, durante la messa del loro matrimonio).
Perché non basta volersi bene? Di cos’altro ci sarebbe bisogno?
Se è vero che l’amore tra uomo e donna è un’esperienza presente nelle culture e attraverso i secoli come fondamento delle relazioni sociali, è altrettanto vero che esso assume caratteristiche differenti a seconda dei contesti in cui lo si vive.
Il rapporto del Centro Internazionale Studi sulla Famiglia del 2020 mette in rilievo alcune sfide a cui tale amore è esposto, almeno nell’ambito italiano, come già evidenziato dal titolo della pubblicazione La famiglia nella società post-familiare. In particolare, il Rapporto mette in luce un nuova forma di relazione: la connessione. Secondo tale lettura, «alla relazione si sostituisce la “connessione”, che costituisce la nuova privilegiata forma di relazione interpersonale. È fluida, consente espressioni narcisistiche di sé, esalta l’“emotivismo”, è provvisoria, liquida e senza garanzie di durata, è ambigua e indefinita» (T. Cantelmi).
Con le parole dell’attuale pontefice si possono evidenziare le conseguenze immediate di tale visione per la relazione di coppia: è come se «l’amore, come nelle reti sociali, si possa connettere e disconnettere a piacimento» (Amoris laetitia 39). In altre parole, anche l’amore uomo-donna e il matrimonio sono influenzati da un modo di considerare la relazione come una pura connessione: la relazione viene vissuta come se fosse un gusto personale (dello stesso tipo di: tifo Inter, faccio ciclismo, mi piacciono i Guns n’ Roses), centrato su se stessi. In quanto tale, allora, può essere cambiata a piacimento, come si cambia uno sport perché ci si è stancati o perché, passando a un’altra fase d’età, entrano in campo nuove esigenze. In quanto connessione e gusto personale, la relazione è vissuta come terreno per provare se stessi, per dare spazio ai propri bisogni personali, «con un conseguente impoverimento dell’attenzione verso l’altra persona» (Rapporto CISF 228).
Di conseguenza, la relazione, più che essere considerata come ambito in cui incontrare l’altro, è vissuta piuttosto come espressione di sé.
Ne sono indicatrici le parole di una coppia che, insieme da 11 anni, si è espressa così: «Noi non parliamo mai degli inizi, del passato, di come ci siamo conosciuti. Lo sappiamo entrambi, non abbiamo bisogno di dircelo». La mancanza di una lettura comune della propria storia di coppia forse è indice della fatica di incontrare l’altro come altro e, soprattutto, di riconoscere che la relazione di coppia non è un’espressione di se stessi ma un fatto, che emerge dall’interazione tra i due lungo il tempo. Si tratta, pertanto, di una difficoltà a vedere lo spazio comune tra i due, che esiste e va oltre i due individui. D’altro canto, la stessa fatica è presente in relazioni di coppia che scivolano verso la fusione, in cui la singolarità di uno dei due prevale sull’altro (o sparisce nel partner): «decidi tu, a me va bene tutto». Anche in questo caso sembra che non sia considerata l’esistenza di uno spazio tra i due, condizione per mantenere le originalità di ognuno.
Questa modalità di vivere le relazioni, oggi, influenza la nostra concezione di amore: l’espressione comune “Ci basta il nostro amore”, di conseguenza, è esposta a interpretazioni che ne rivelano l’inadeguatezza a indicare lo specifico della relazione di coppia e della vita matrimoniale. Infatti, per far fronte all’insicurezza causata da relazioni viste come connessioni temporanee, si interpreta e si vive tale espressione o all’interno di un orizzonte idealistico o come possibilità di un rapporto intimistico. Nel primo caso, ci si trova a pensare o a dire che “dobbiamo diventare come quella coppia che conosciamo”, oppure che “per essere una coppia perfetta dovremmo comportarci in un determinato modo”, fino ad affermare che “il nostro non è amore con la A maiuscola, è ancora imperfetto”. Nel secondo caso avviene quanto è indicato nell’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco sulla fraternità: si costruiscono «intimismi egoistici con l’apparenza di relazioni intense» (FT 89), che dovrebbero offrire quella sicurezza che sembra indispensabile per togliere la fatica della costruzione della relazione.
In entrambi i casi è presente sia il mito dell’intesa totale (e senza fatica), come è ben evidente nella richiesta “se mi ami davvero dovresti capire di cosa ho bisogno senza che io lo dica”, cioè l’idealismo della “coppia modello”, sia l’attesa di relazioni rassicuranti. Convinzioni e aspirazioni, queste, che mostrano che dietro al “ci basta il nostro amore” potrebbe esserci la ricerca dell’anima gemella, la cosiddetta metà che mi mancava e che dovrebbe completarmi.
È evidente che l’aspetto carente in questo approccio è l’assunzione della storia e della crescita della relazione di coppia come un elemento che non può ridursi alla somma dei due individui.
Ne è conferma lo smarrimento a cui si va incontro allorché nella vita matrimoniale o familiare emergono imprevisti o situazioni che richiedono di adottare un approccio nuovo: “Non ci basta più il nostro amore…abbiamo bisogno di strumenti per affrontare ciò che stiamo vivendo”. Un’ulteriore conferma è un’esperienza comune espressa dalle parole “perché, se ci vogliamo bene, non riusciamo ad andare d’accordo?”. Anche in questo caso i soggetti implicati sembrano invocare una competenza specifica nella presa in carico della relazione di coppia, con strumenti adeguati.
Per questi motivi, ritenere che basti il nostro amore diventa perciò espressione di assolutizzazione di se stessi e della propria esperienza. Solo noi, noi due, non abbiamo bisogno di altro, ce la faremo sempre e comunque: se è vero che questo slancio sul futuro traccia l’orizzonte verso cui investire le energie, è vero anche che tali parole tendono quasi a divinizzare l’esperienza che si sta vivendo.
L’annuncio cristiano interviene interrompendo tale esaltazione: non è possibile, infatti, affermare che «La relazione tra uomo e donna è Dio!», come è apparso in un post di Facebook a introduzione di una riflessione sulla vita della coppia. Invece, dal momento che «Dio è amore» (1Gv 4,8), queste parole non permettono di identificare la nostra esperienza (e quindi la nostra relazione di coppia) con il tutto dell’amore: è Dio a essere amore. Inoltre, non è vero il contrario, ossia che ogni amore sia divino, né tantomeno che sia Dio stesso: noi facciamo esperienze d’amore, ma non siamo la sorgente dell’amore. Questo riconoscimento del limite del proprio amore, ossia dell’incapacità di garantirne la vittoria su ciò che vi si oppone, permette ai due sposi di aver fiducia che l’amore vincerà sulla mancanza di amore e di continuare ad aprirsi a ricevere dal di fuori tale garanzia.
La prospettiva di Amoris laetitia di «far maturare l’amore» (AL 135), ossia di «fare un lavoro sull’amore» (P. Sequeri), può essere allora meglio compresa a partire dal rischio di assolutizzare, da parte della coppia, la propria esperienza d’amore. Proprio perché «Bisogna mettere da parte le illusioni e accettarlo così com’è», l’amore di coppia, «incompiuto, chiamato a crescere, in cammino» (AL 218), è lo spazio in cui viene annunciata e realizzata la sacramentalità del matrimonio quale pienezza del consenso manifestato il giorno delle nozze.
Basta il nostro amore solo se è fatto anche di capacità di farlo crescere, ossia di prendersi cura della relazione di coppia.

Prendersi cura della relazione di coppia

Raccontando il tempo della preparazione al matrimonio, un giovane ha indicato che la scoperta più grande come coppia è stata rendersi conto che “non ci siamo solo tu e io, ci siamo anche noi”. Questo li ha posti in una prospettiva completamente nuova. Quando si parla di coppia, allora, si ha a che fare non con due singoli che si presentano insieme, uno vicino all’altro, ma con due persone che stanno costituendo un terzo, la relazione tra loro.
In questo senso, fare qualcosa per il partner non esaurisce il prendersi cura della coppia. Questa ha bisogno di tempo, di accettazione dell’altro così com’è, di capacità di prendere decisioni insieme, di superamento dei conflitti, di integrare i cambiamenti propri e del coniuge, di armonizzazione affettiva e sessuale, di spiritualità di coppia, dentro la costruzione di un progetto comune.

2

Devo sacrificarmi per te (?)

Marito: «Ho rinunciato a giocare a pallavolo. Mi piaceva tanto, lo sai. Ti ricordi quando venivi a vedermi giocare? Eravamo giovani, con tanti progetti. Poi ci sono stati i lavori nella casa, tutti i fine sett...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Quarta
  3. Autore
  4. Frontespizio
  5. Colophon
  6. Indice
  7. Introduzione
  8. I. LUOGHI COMUNI