Sul dolore
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Sul dolore

Parole che non ti aspetti

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Sul dolore

Parole che non ti aspetti

Informazioni su questo libro

Se Dio c'è ed è come ce lo ha raccontato Gesù, un Padre misericordioso, come può esistere il dolore, come può permetterlo? Non cercate nella Scrittura una risposta al grande quesito. Ma nemmeno, come ancora succede, dite che Dio apprezza la sofferenza o, peggio, che la invia. Niente del genere. Parlare del dolore significa entrare nel tempio sacro del mistero. Disposti ad ascoltare, a ragionare, a meditare, a guardare, fino ad arrivare ai piedi della collina dove Dio, anziché ribellarsi al dolore inflittogli dagli uomini, lo assume e lo redime.

Domande frequenti

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Informazioni

TERZA PARTE
RIFLESSIONE SUL DOLORE

L’ESPERIENZA DELLA MALATTIA

Una riflessione

È il primo dolore a cui pensiamo, quello più istintivo, immediato: quello provocato fisicamente da un trauma, da una malattia.
Quando prendo una botta, o mi spezzo una gamba, o il mio cuore subisce un infarto, so bene cos’è il dolore, lo avverto immediatamente: il corpo allerta tutti i sensi e invia un segnale d’allarme per spingermi ad agire.
Se il dolore persiste, ho bisogno di un analgesico per poter andare avanti: non sono in grado di controllare quella sensazione che assorbe tutte le mie energie.
Quando sto male fisicamente, anche solo per una banale carie dentale, sono stordito, la vista mi si annebbia, riesco solo a pensare a come attenuare il dolore che mi trapana il cervello. Se poi il dolore fisico non passa, se la mia malattia è cronica, o ritorna periodicamente, la mia vita diventa un vero e proprio calvario.
Il dolore fisico è importante, ci dicono i medici: segnala in maniera inequivocabile che il mio corpo sta male, che ha bisogno di un intervento urgente, di farmaci, di calore, di riposo, di riequilibrio.
Ci spaventa, e tanto, il dolore fisico, e abbiamo ragione ad esserne spaventati!
La soglia del dolore fisico varia da persona a persona; amici medici che sono stati in missione mi raccontano di avere eseguito appendicectomie in emergenza su bambini africani con una blanda anestesia locale, senza che questi apparentemente mostrassero segni di sofferenza, mentre altre persone non sopportano nemmeno il trapano di un dentista (come il sottoscritto)!
Il dolore provocato da una malattia o da un trauma ci spaventa.
E ci cambia.
Chi vive una malattia seria e riesce a superarla, spesso ridisegna la sua vita.
Cose che sembravano importanti diventano relative, si dedica più tempo a ciò che si ama, la vita quotidiana si rivela come il più prezioso dei doni.
Ho conosciuto persone che, dopo un tumore e un lungo ciclo di cure, hanno scelto di cambiare stile di vita, lavoro, città.

Conversioni

È un dialogo di quelli seri, mentre entrambi aspettiamo un aereo per tornare a casa.
Ho saputo della sua tragica vicenda da alcuni suoi famigliari: un virus, contratto chissà dove, lo ha portato alle soglie della morte, cancellando gran parte della sua capacità motoria. Dopo alcuni mesi passati in rianimazione sotto cura antibiotica, è uscito dal coma incapace di parlare, di camminare, di stringere gli oggetti. Un successivo, lungo periodo in un centro specializzato gli ha permesso di recuperare la maggior parte delle sue facoltà.
Mi colpisce, mentre parla, il suo sguardo sereno e luminoso, ancora segnato dagli strascichi della terribile infezione neurologica.
Racconta della sua seconda vita, della gioia di poter camminare, anche se goffamente, delle piccole gioie quotidiane, ignorate fino ad allora.
No, mi dice, non rimpiango la vita di prima, le ragazze, le sciate, le vacanze nei paesi esotici…
Afferma che, perdendo tutto, ha scoperto cosa è veramente importante e che ogni giorno si stupisce delle cose preziose che lo circondano; un raggio di sole al mattino, l’odore del caffè, la sensazione della pioggia che bagna il viso.
Si stupisce del tatto ritrovato, del gusto delle cose salate o dolci, del suono che emette la voce.
Mi dice di essere rinato.
E aggiunge: tu puoi capirmi.
Sorrido.
Certo che lo capisco, e tanto.
A volte la sofferenza e l’essere stati vicini alla morte ci restituisce ad una dimensione più profonda, più autentica.
A volte.

Luci

Non ho mai avuto grandi problemi fisici, ad essere sincero.
Non ho una gran salute ma, complice qualche trucco, ho imparato a gestire bene le mie risorse.
Il punto più debole del mio fisico da montanaro resta la vista.
Non mi ha mai dato grande dolore, ma qualche problema, anche grosso, quello sì.
Soprattutto nelle fasi più critiche, la vista può incidere su molti aspetti del corpo, spingendolo ad assumere una postura sbagliata, che provoca continue tensioni muscolari e infiammazioni ai tendini.
Oggi sono al mio terzo trapianto di cornea e, in un anno, spendo più in colliri e in occhiali che in benzina, ma sono relativamente sereno e deciso.
Il mio visus, al massimo della correzione, non raggiunge il 70%, ma va bene così.
Ci sono stati dei momenti in cui il mio occhio sinistro vedeva mezzo decimo, il 5%.
Molti anni fa, ventenne, all’insorgenza del problema, ho scoperto una cosa semplice: si può avere una malattia, ma si può decidere di non vivere da ammalati.
È allora che ho scelto di non fare l’ammalato, per quanto possibile, di non passare il tempo a lamentarmi, di guardare alle cose che ancora riesco a fare, nonostante tutto.
E sono tante.
Certo, i limiti ci sono, ma non ho di che recriminare e, ad oggi, riesco ancora a scrivere libri.
Speriamo per molto tempo, finché serve, finché a Dio piace di usare questo suo discepolo birbone.
Ho imparato a guardare il bicchiere mezzo pieno.
Ogni volta che, dopo un trapianto, riesco a recuperare qualche diottria e i contorni si fanno più chiari, lodo il Signore per le cose belle che ancora posso vedere.
È come se, ogni volta, riscoprissi la bellezza delle cose.
Come se rinascessi.
Capisco fisicamente cosa intende Gesù quando ci invita a passare dalla tenebra alla luce.
Sono fortunato: ho la possibilità di poter riprendere una vita quasi normale dopo ogni intervento.
Fortuna che molti non hanno.

Sostegno

Oggi, grazie ai progressi della scienza medica, molte malattie si possono guarire e anche il dolore che le accompagna è molto diminuito.
Le terapie del dolore hanno aiutato molti ammalati cronici o terminali ad avere una qualità di vita accettabile.
Dedicare del tempo ad alleviare le sofferenze della malattia è sempre un’opera meritoria!
Molti fra noi, in realtà, temono la morte perché sono spaventati dal dolore e molte discussioni sull’eutanasia provengono proprio da questa paura. Nessuno vuole morire soffrendo atrocemente o prolungando innaturalmente una vita che non ha possibilità di guarigione, ovvio.
Il buon Dio ci ha creato bene: una malattia grave ci porta alla morte, non c’è bisogno di porre artificialmente fine alla vita.
Ma nemmeno di conservarla artificialmente!
La cosa veramente difficile è individuare la linea che divide una cura da un accanimento terapeutico.

UNA PAROLA

Spesso la Bibbia parla della malattia, ne cerca una ragione, ne analizza le conseguenze.
Tutti conosciamo gli interventi di Gesù nei confronti di ammalati anche gravi e la loro guarigione. Ma, ad essere onesti, ed è proprio una delle accuse che saranno mosse a Gesù, solo pochi malati sono guariti. E gli altri?
Vi propongo alcuni stralci tratti da un testo estremamente interessante e poco conosciuto dell’Antico Testamento: il libro del Siracide.
È un libro sapienziale, che raccoglie alcune massime ispirate alla tradizione dei padri, scritto in ebraico da un tale Jeshua ben Sirach (Sir 50,27) intorno al II secolo prima di Cristo, poi tradotto in greco da suo nipote, che aggiunge un prologo, un secolo prima di Cristo.
Siracide riflette sulla condizione dell’uomo, affronta molti temi che nascono nel cuore di ognuno di noi. Chi frequenta la Bibbia si accorge subito che è un testo meno cupo di Giobbe e meno cinico rispetto al Qoelet.
Così dice riguardo alla malattia:
Una lunga malattia si prende gioco del medico;
chi oggi è re, domani morirà.(Sir 10,10)
Quanto è vero! La malattia è democratica, non conosce confini, colpisce tutti indistintamente.
Come la morte, chiamata con genialità dal comico napoletano Totò, nella poesia Due novembre,”’a livella”, la livella, che mette tutti sullo stesso piano, il marchese come il netturbino.
Ci sono, purtroppo, malattie che derivano dalla povertà, dalla denutrizione, dalle scarse condizioni igieniche. Come non ricordare il fatto che malattie terribili come la lebbra sono presenti solo nei paesi poveri, proprio perché legate alle condizioni di vita di chi ne viene colpito?
Ci sono malattie gravi che sono conseguenza di una vita fatta di stenti.
Ma anche malattie legate ad una vita fatta di eccessi!
Uno scorretto stile di vita, un’alimentazione squilibrata, la mancanza di sonno, gli eccessi, gli abusi e l’uso di sostanze nocive (fumo, alcol, droga) scatenano una impressionante serie di patologie.
Viviamo, in occidente, una vita poco sana e acquisiamo stili di vita che, nel lungo periodo, sono portatori di patologie anche gravi.
Le campagne di sensibilizzazione promosse dalle autorità sanitarie e finalizzate a favorire uno stile di vita corretto spesso cadono nel vuoto!
Come credente, penso che sia importante ricordarci che il nostro corpo e la nostra vita sono un dono di Dio e che vanno trattati con rispetto.
Non abusare dell’alcol, non fumare, stare attenti all’alimentazione (quanto bene ci farebbe recuperare l’autentico spirito del digiuno cristiano!), dedicarsi del tempo per riposare correttamente, fare del movimento (senza cadere negli eccessi di un salutis...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Indice
  3. Premessa alla nuova edizione
  4. Prologo
  5. Prima parte: In punta di piedi
  6. Seconda parte: Parole di uomini
  7. Terza parte: Riflessione sul dolore
  8. Quarta parte: Tracce di luce