Il tradimento dei chierici
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Il tradimento dei chierici

Il ruolo dell'intellettuale nella società contemporanea

Julien Benda

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Il tradimento dei chierici

Il ruolo dell'intellettuale nella società contemporanea

Julien Benda

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Anche se la questione ha radici lontane, che affondano nell' affaire Dreyfus che negli anni a cavallo tra Otto e Novecento divise la cultura francese ed europea in due schieramenti inconciliabili, Il tradimento dei chierici (1927) resta uno dei testi seminali sul ruolo (e l'autonomia) degli intellettuali: un libro che mette il sale della polemica su ferite tuttora aperte.
Contro la crescente barbarie delle società occidentali e il loro impoverimento culturale (la subordinazione del pensiero agli interessi del capitale), Benda difende un ruolo dell'intellettuale «custode di valori» al servizio di concetti universali come la ragione, la verità, la giustizia. I «traditori» contro i quali si scaglia sono gli sciovinisti, i razzisti, i fascisti di ogni gradazione. Ma anche i rappresentanti di quella corporazione intellettuale che fa politica al riparo della sua presunta superiorità e imparzialità; i servi di ogni regime o ideologia, anche quando mossi delle migliori intenzioni.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2019
ISBN
9788858432815

Premessa alla prima edizione [1927]

Tolstoj racconta che quand’era ufficiale, avendo visto nel corso di una marcia uno dei suoi commilitoni colpire un uomo che si allontanava dalla fila, gli disse: «Non si vergogna di trattare cosí un suo simile? Ma non ha letto il Vangelo?» Al che l’altro rispose: «E lei, non ha letto i regolamenti militari?»
Questa è la risposta che sempre si attirerà lo spirituale che vuole dettar legge al temporale. A me sembra molto saggia. Chi conduce gli uomini alla conquista delle cose non sa che farsene della giustizia e della carità1.
Tuttavia mi sembra importante che esistano uomini i quali, anche se scherniti, invitano i loro simili a religioni diverse da quella del temporale. Ora, coloro a cui spettava questo ruolo, e che io chiamo i chierici, non solo non lo svolgono piú, ma svolgono invece il ruolo contrario. La maggior parte dei moralisti che hanno un certo seguito in Europa da cinquant’anni a questa parte, in particolare i letterati in Francia, invitano gli uomini a farsi beffe del Vangelo e a leggere i regolamenti militari.
Questo nuovo insegnamento mi sembra tanto piú grave in quanto è rivolto a un’umanità che, di propria iniziativa, si colloca oggi nel temporale con una decisione finora sconosciuta. Comincerò col dimostrare proprio questo.
1. Scritto in un’epoca in cui la carità e l’amore non venivano impugnati per impedire la giustizia.
I.

Perfezionamento moderno delle passioni politiche. L’epoca del politico

Consideriamo quelle passioni, cosiddette politiche, per le quali degli uomini si contrappongono ad altri uomini; tra queste le principali sono le passioni di razza, le passioni di classe, le passioni di nazione. Le persone piú decise a credere al fatale progresso della specie umana, per la precisione alla necessità che essa si avvii verso una maggiore pace e amore, non possono non convenire che da un secolo in qua e di giorno in giorno sempre piú, queste passioni raggiungono, in molti e importanti sensi, una perfezione che la storia non aveva mai visto.
Prima di tutto esse interessano un numero di persone senza precedenti. Mentre, quando si studiano per esempio le guerre civili che agitarono la Francia nel Cinquecento e anche alla fine del Settecento, colpisce il numero limitato di persone di cui hanno veramente turbato l’animo; mentre la storia fino al secolo XIX è piena di lunghe guerre europee che lasciarono perfettamente indifferente la grande maggioranza delle popolazioni, a parte i danni materiali che esse causavano loro1, si può dire che oggi in Europa non vi è animo che non sia toccato, o non creda di esserlo, da una passione di razza o di classe o di nazione e molto sovente da tutte e tre. Sembra che lo stesso progresso lo si constati nel Nuovo Mondo, mentre agli estremi lembi dell’Oriente immense masse d’uomini, che sembravano immuni da questi sentimenti, si svegliano agli odî sociali, al regime dei partiti, allo spirito nazionale inteso come volontà di umiliare altri uomini. Le passioni politiche raggiungono oggi un’universalità che non hanno mai conosciuto.
Esse raggiungono anche la coerenza. È chiaro che, grazie al progresso delle comunicazioni tra gli uomini, e, ancor piú, allo spirito di raggruppamento, gli adepti di uno stesso odio politico, che ancora un secolo fa si capivano male tra di loro ed esprimevano il loro odio, se cosí oso dire, in ordine sparso, formano oggi una massa compatta di passioni, ogni elemento della quale si sente collegato all’infinità degli altri. Ciò colpisce particolarmente per quanto riguarda la classe operaia, che, ancora alla metà del secolo XIX manifesta contro la classe avversaria un’ostilità rada, movimenti di lotta sporadici (per esempio, pratica lo sciopero solo in una città, in una corporazione), e oggi forma, da un capo all’altro dell’Europa, un tessuto d’odio cosí fitto. Questa coerenza, si può affermare, non farà che accentuarsi, essendo la volontà di raggruppamento una delle caratteristiche piú profonde del mondo moderno, che diventa via via, anche sui terreni dove meno c’era da aspettarselo (per esempio nel campo del pensiero), il mondo delle leghe, delle «unioni», dei «fasci». È necessario dire che la passione dell’individuo trae forza dal sentirsi cosí vicina a migliaia di passioni simili ad essa? Aggiungiamo che l’individuo conferisce una personalità mistica all’insieme di cui si sente membro, gli dedica un’adorazione religiosa, che in fondo altro non è se non la deificazione della propria passione e ne accresce non poco la potenza.
A questa coerenza per cosí dire superficiale si aggiunge, se cosí possiamo chiamarla, una coerenza di natura. Per il fatto stesso di formare una massa passionale piú compatta, i difensori d’una medesima passione politica formano una massa passionale piú omogenea, nella quale i modi di sentire individuali vengono aboliti e gli ardori di tutti assumono sempre piú un unico colore. Chi non è colpito nel vedere come, in Francia per esempio, i nemici del regime democratico (parlo della massa, non dei vertici) manifestino oggi una passione poco varia, poco differenziata a seconda di chi l’esprime; come questo blocco d’odio venga scarsamente indebolito da maniere personali e originali di odiare (si potrebbe dire: quanto obbedisca anch’esso al «livellamento democratico»); come i sentimenti detti antisemitismo, anticlericalismo, socialismo, malgrado le molteplici forme di quest’ultimo, presentino ognuno maggiore uniformità rispetto a cent’anni fa; come coloro che vi portano il loro tributo dicano piú di allora tutti la stessa cosa?2. Le passioni politiche sembrano essersi educate alla pratica della disciplina proprio in quanto passioni; sembrano osservare una parola d’ordine anche nel modo in cui sono sentite. Si vede chiaramente quale sovrappiú di forza ne acquistino.
Questo aumento di omogeneità è accompagnato, in alcune di loro, da un aumento di precisione; è noto, per esempio, quanto il socialismo che, ancora un secolo fa, era, nella massa dei suoi adepti, una passione forte ma vaga, abbia oggi circoscritto meglio l’oggetto del suo volere, stabilito il punto esatto in cui vuol colpire l’avversario (i trust), il percorso che vuol compiere per riuscirvi; lo stesso progresso lo si osserva nell’antidemocraticismo. Si vede bene anche quanto l’odio, precisandosi, diventi piú forte.
Altro perfezionamento delle passioni politiche. Fino ai nostri giorni vedo, attraverso la storia, come queste passioni procedano a intermittenza, siano soggette a sussulti e pause, ad alti e bassi: per le passioni di razza e di classe, vedo delle esplosioni, certo terribili e numerose, seguite da lunghi periodi di calma o almeno di sonnolenza; tra le nazioni, le guerre duravano degli anni, ma non cosí gli odi, ammesso che esistessero. Oggi basta sfogliare ogni mattina un giornale qualsiasi per constatare che gli odî politici non stanno inoccupati neppure un giorno. Tutt’al piú alcuni tacciono per un istante a vantaggio di uno tra loro che improvvisamente reclama tutte le forze disponibili; è l’ora delle «unioni sacre», che non preannunciano affatto il regno dell’amore, bensí quello di un odio generale che domina momentaneamente gli odî parziali. Le passioni politiche hanno acquisito oggi una qualità cosí rara sul piano del sentimento: la continuità.
Fermiamoci a considerare quel processo per cui degli odî parziali abdicano a favore di un altro piú generale, il quale dal fatto di sentirsi appunto generale trae una religione di se stesso e quindi una forza del tutto nuova. Forse non si è sottolineato abbastanza che un processo di questa specie è una delle caratteristiche essenziali dell’Ottocento. Questo è non solo il secolo che, a due riprese, in Germania e in Italia, avrà visto venir meno odî secolari di piccoli Stati a vantaggio di una grande passione nazionale, ma è anche quello (piú esattamente la fine del XVIII) che, in Francia, avrà visto l’odio reciproco della nobiltà di corte e della nobiltà provinciale spegnersi a vantaggio dell’odio dell’una e dell’altra per tutto ciò che non è nobile; l’odio della nobiltà di spada e della nobiltà di toga fondersi in un’unica fiammata; l’odio dell’alto e del basso clero sparire nel comune odio per il laicismo: l’odio del clero e della nobiltà svanire a vantaggio dell’odio di entrambi per il terzo stato; infine, ai giorni nostri, l’odio dei tre stati tra di loro fondersi in un unico odio dei possidenti per la classe operaia. La condensazione delle passioni politiche in un numero limitato di odî semplicissimi e profondamente radicati nel cuore umano è una conquista dell’età moderna3.
Credo di vedere anche un grande progresso delle passioni politiche nel rapporto che oggi queste sembrano avere, in chi ne è il teatro, con le altre sue passioni. Mentre sembra che, in un borghese della Francia antica, le passioni politiche – pur occupando molto piú spazio di quanto normalmente non si creda – ne occupassero tuttavia di meno che la sete di lucro, l’appetito di piaceri, il senso della famiglia, i bisogni di vanità, il minimo che si possa dire del suo omologo moderno è che, quando le passioni politiche entrano nel suo cuore, vi entrano alla stessa stregua delle altre. Si confronti per esempio l’infimo posto che occupano le passioni politiche nel borghese francese quale appare nei fabliaux, nella commedia medievale, nei romanzi di Scarron, di Furetière, di Charles Sorel4, con quello occupato nello stesso borghese descritto da Balzac, Stendhal, Anatole France, Abel Hermant, Paul Bourget (non parlo beninteso dei tempi di crisi, come quelli della Lega o della Fronda, in cui le passioni politiche, non appena afferrano l’individuo, lo possiedono tutto intero). La verità è che oggi le passioni politiche invadono in questo borghese la maggior parte delle altre passioni e le alterano a loro vantaggio. È risaputo che ai giorni nostri, le rivalità tra famiglie, le ostilità commerciali, le ambizioni di carriera, le competizioni d’onore sono impregnate di passione politica. La politica innanzitutto, vuole un apostolo dell’anima moderna; politica ovunque, può constatare, politica sempre, soltanto politica5. Basta aprire gli occhi per vedere di quanto aumenti la potenza della passione politica quando si combina con altre passioni cosí numerose, cosí costanti e forti di per se stesse. In quanto all’uomo della strada, per misurare quanto sia cresciuto con l’età moderna il rapporto tra le passioni politiche e le altre sue passioni, basta pensare per quanto tempo tutta la sua passione si è ridotta, per usare l’espressione di Stendhal, ad auspicare 1o di non essere ucciso, 2o di avere un buon vestito ben caldo; e in seguito, quando una minor miseria gli ha permesso qualche aspirazione di ordine generale, quanto ci hanno messo i suoi vaghi desideri di cambiamenti sociali a trasformarsi in passioni, voglio dire ad assumerne i due caratteri essenziali: l’idea fissa e il bisogno di passare all’azione6. Credo di poter dire che, in tutte le classi, le passioni politiche raggiungono oggi, in colui che ne è posseduto, un grado di preponderanza sulle altre sue passioni che non hanno mai conosciuto.
Il lettore ha già dato un nome a un fattore di capitale importanza nei processi che stiamo segnalando: nelle passioni politiche rese universali, coerenti, omogenee, permanenti, preponderanti, tutti riconoscono, in gran parte, l’opera del giornale politico quotidiano e a buon mercato. Non si può non preoccuparsi e non chiedersi se per caso le guerre tra gli uomini siano solo all’inizio quando si pensa a questo strumento di cultura delle proprie passioni che gli uomini hanno appena inventato, o quanto meno portato a un grado di potenza che non si era mai visto, e al quale essi si offrono con tutto lo slancio del loro cuore ogni giorno, fin dal risveglio.
Abbiamo dimostrato quello che si potrebbe chiamare il perfezionamento delle passioni politiche in superficie, in forme piú o meno esteriori. Esse si sono notevolmente perfezionate anche in profondità, in forza interiore.
Prima di tutto hanno progredito eccezionalmente nella coscienza di sé. È evidente che oggi (molto, anche in questo caso, per effetto del giornale) l’animo affetto da odio politico prende coscienza della propria passione, se la formula, se la rappresenta con una chiarezza che non conosceva cinquant’anni fa; e non è necessario dire quanto tale chiarezza contribuisca a rendere piú intensa la passione stessa. Vorrei a questo proposito segnalare due passioni che il nostro tempo ha visto nascere, certamente non all’esistenza, ma alla coscienza, all’ammissione, alla fierezza di sé.
La prima è quella che chiamerò un certo nazionalismo ebraico. Mentre finora gli ebrei, accusati in numerosi paesi di costituire una razza inferiore o quanto meno particolare e non assimilabile, rispondevano negando questa particolarità, sforzandosi di cancellarne i segni esteriori, rifiutandosi di ammettere che le razze siano una realtà, da qualche anno si vedono alcuni di loro tutti impegnati a proclamare questa particolarità, a precisarne le caratteristiche, o ciò che credono tali, a vantarsene, a condannare chiunque voglia assimilarsi con gli avversari (si vedano le opere d’Israel Zangwill, d’André Spire, la «Revue Juive»). Non si tratta qui di stabilire se l’atteggiamento di questi ebrei sia piú o meno nobile dell’impegno che tanti altri mettono nel farsi perdonare la loro origine; si tratta di fare osservare a coloro a cui interessa il progresso della pace nel mondo che agli orgogli che mettono gli uomini gli uni contro gli altri il nostro tempo ne avrà aggiunto uno di piú, almeno in quanto cosciente e fiero di sé7.
L’altro movimento che ho in mente è il borghesismo, voglio dire la passione della classe borghese di affermarsi contro quella che la minaccia. Si può dire che fino ai nostri giorni l’«odio di classe», come odio cosciente e fiero di sé, fosse soprattutto l’odio dell’operaio contro il mondo borghese; l’odio reciproco veniva confessato molto meno chiaramente; vergognosa d’un egoismo che credeva specifico della sua casta, la borghesia ricorreva a sotterfugi sull’argomento, lo ammetteva malvolentieri, anche con se stessa, voleva che lo si credesse, e voleva crederlo essa stessa, una forma indiretta della cura del bene di tutti8; al dogma della lotta di classe essa rispondeva contestando che vi fossero effettivamente delle classi, mostrando che, pur sentendo un’opposizione irriducibile nei confronti del suo avversario, non voleva però ammettere di sentirla. Oggi, basta pensare al «fascismo» italiano, ...

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