Velo pietoso
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Velo pietoso

Una stagione di retorica

Edoardo Albinati

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  1. 160 pages
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Velo pietoso

Una stagione di retorica

Edoardo Albinati

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Quando ascolta o legge cose scontate, ridicole o semplicemente assurde, ognuno di noi è tentato di segnarsele e al tempo stesso di archiviarle in fretta, stendendoci sopra un "velo pietoso". Nella primavera del 2021, Albinati ha fatto entrambe le cose: invece che tapparsele, ha tenuto le orecchie bene aperte registrando le sparate, i rumori di fondo, i discorsi ingannevoli o deliranti, le frasi fatte, i miraggi, le parole d'ordine che caratterizzano quest'epoca sommersa dalla retorica. Perché è la retorica il male che affligge a ogni livello il nostro Paese: minacciosa o patetica, contamina ogni discorso, lo gonfia e lo trascina il più possibile lontano dalla realtà. Mescolati con l'ironia pungente di un pamphlet, brandelli di tv, giornali, libri, pubblicità e cronaca politica si alternano a brevi racconti esemplari e riflessioni sul parlare e sullo scrivere, schegge di bellezza e verità che ci permettono di muoverci dall'abulia e andare avanti. Il risultato di questa "stagione in ascolto" è un diario amaro e divertente, da consumare tutto d'un fiato o da consultare di volta in volta, per mantenere accesa l'attenzione.

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Information

Publisher
RIZZOLI
Year
2021
ISBN
9788831805643

MAGGIO

Una controprova del famoso discorso sul “particulare” di Guicciardini, ovvero della cura minuziosa che gli italiani hanno verso ciò che è familiare o privato e del largo disinteresse o disprezzo verso ciò che è pubblico la trovo nell’Università LUISS, intitolata a Guido Carli, di cui sono dirimpettaio. È un notevole e singolare edificio modernista progettato da Pietro Aschieri come ricovero per i ciechi e i mutilati di guerra, che infatti, ancora quando ero ragazzo io, passeggiavano lì intorno a braccetto di soldatini di leva raccomandati che in questo modo, portando a spasso qualche ora al giorno i vecchietti con le mani di plastica nera e gli occhiali scuri (come nel film Profumo di donna), evitavano di finire incasermati in Friuli o in Sardegna. Una ventina d’anni fa l’edificio dalla curiosa facciata circolare stretta tra due ali è stato ristrutturato efficacemente, rendendolo ancora più fascista dell’originale (un singolare caso di restauro iper-realista e di quello che i filosofi chiamano, credo, “movimento retrogrado del vero”, fin nel dettaglio grafico della scritta LUISS realizzata ex-novo con un lettering romanissimo, LVISS, la V al posto della U). Da allora l’università privata, che vorrebbe essere, immagino, l’equivalente centro-meridionale della Bocconi a Milano, è tirata a specchio, le aiole d’erba verdissima, che i giardinieri hanno impiantato a rotoli, falciate con regolarità, le zone ricreative per gli studenti molto confortevoli, un paio di uscieri in divisa che ne sorvegliano l’ingresso…
Peccato che appena fuori dall’università, sul marciapiedi opposto della stretta via Parenzo, si accumulino la spazzatura, le montagnole di cicche, le bottiglie e lattine di birra, insomma il degrado al novanta per cento creato da chi quella prestigiosa università frequenta, e per il resto dalla solita incuria del Comune di Roma. Tutto ciò che è “dentro” è lindo e pinto, lo schifo lo si rovescia “fuori” e lì resta, e nemmeno lo si nota, semplicemente non esiste. Di fronte all’ingresso sostano spesso Mercedes con autista ad aspettare i professori venuti a far lezione, illustri ospiti, ex ministri, principi del foro e maghi della finanza, e io mi chiedo come riescano a non vedere i rifiuti sparsi sul marciapiedi, le erbacce alte mezzo metro che sbucano dall’asfalto spaccato. Basterebbe un paio d’ore di lavoro per ripulire la zona e renderla almeno decente, ma non gli spetta, appunto, quel marciapiedi è il “fuori”, è di tutti quindi di nessuno, non certo della LUISS, e dunque…
Da tempo pensavo di scrivere tutto questo in una lettera al Rettore, e invece l’ho fatto qui.
Non troverai altro luogo non troverai
altro mare.
La città ti verrà dietro. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai
nello stesso quartiere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
non c’è nave non c’è strada per te.
Perché sciupando la tua vita in questo
angolo discreto
tu l’hai sciupata su tutta la terra.
(Kavafis tradotto da Nelo Risi)
Buche, merde di ogni colore, carta di pizza, depliant marciti, cocci di bottiglia, mascherine accartocciate, merde, guanti usa-e-getta, lattine, ancora merde, monopattini elettrici sdraiati a terra, scoli otturati dal fango, tombini mai puliti dai detriti e dalle foglie, rigogliosi ciuffi di erbacce nelle crepe dell’asfalto, batterie di auto abbandonate, un vecchio materasso piegato accanto al cassonetto, buche, merde di cane: le mie lentissime passeggiate con le stampelle per il quartiere Trieste di Roma.
Da un’interessante intervista a Jean-Pierre Le Goff sul «Foglio» ricavo alcune considerazioni. Le Goff spiega come la bolla comunicativa (e forse non immagina quanto immensa sia quella che si è formata in Italia, una sorta di ininterrotto messaggio a reti unificate, di allucinazione nazionale) abbia fatto insorgere una pandemia parallela, la “pandemia delle chiacchiere”, in cui ognuno “cerca di dimostrare a tutti i costi di avere ragione”. A forza di essere “ricoperto di commenti senza fine”, l’evento in sé è divenuto inattingibile. Come diceva Kafka, si può giungere sull’orlo della verità, ma poi non si resiste alla tentazione di sommergerla di parole. Le Goff cita l’Ecclesiaste: “Dall’abbondanza di parole nascono discorsi insensati”.
Cercando di flettere il ginocchio operato qualche grado in più, come mi ha raccomandato di fare varie volte al giorno il fisioterapista, guardo pezzi della partita Verona-Spezia alternati a pezzi de Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino. Scarsa tecnica nel primo spettacolo, parecchia nel secondo.
Della musica di Fedez non ho ascoltato che poche note, e mi sono parse insignificanti, i tatuaggi che ha sulla gola mi fanno senso, la sovraesposizione mediatica dei figli suoi e di Chiara Ferragni da denuncia penale: però, accidenti, che colpo ha messo a segno incastrando quelli della Rai nel labirinto della loro bigotteria partitica e mirando al cuore della beceraggine leghista. È raro che un briciolo di logica riesca ad avere la meglio sui balbettamenti, stavolta è accaduto. Cold facts, only cold facts. Inutile cavillare che è stato scorretto, fuori luogo, anche paraculo: solo da quell’orecchio ci sentono, solo le mazzate capiscono, quelli, non serve andarci con i guanti.
Penso e ripenso al 18 brumaio. Corroborante esempio di stile intellettuale. Modificandole appena e adattandone alcune al mio paese, riprendo il libro e ne traggo le seguenti massime.
Molto spesso il dittatore si presenta, e viene accolto e festeggiato, come colui che spezza le catene, non come colui che, di fatto, le sta imponendo.
Il dittatore vuole apparire come il benigno padre e il benefattore di tutte le classi: ma non può dare nulla a una di esse senza prenderlo all’altra.
Nemica mortale degli eroi presunti è l’incredulità.
L’aureola dei santi splende intorno alla loro testa fino al momento in cui le circostanze chiedono loro di compiere miracoli.
Il continuo succedersi di governi di breve durata è il termometro con cui un parlamento misura l’abbassamento del suo calore vitale, oppure il salire di una febbre parossistica.
Il dominio morale della borghesia è scemato con l’accrescersi del suo dominio reale.
Il tempio dei difensori dell’ordine venne raso al suolo, la loro bocca suggellata, la loro penna spezzata, la loro legge infranta nel nome della religione, della proprietà, della famiglia, dell’ordine.
La spada che ci protegge è la stessa che pende sulla nostra testa.
Quando si preannuncia una battaglia, è una pessima idea deporre le armi con cui la battaglia andrebbe combattuta.
L’ingiustizia diffusa in Italia viene resa sopportabile grazie al regalo di ulteriori e altrettanto diffuse ingiustizie: premi, sconti, condoni, prebende, esenzioni.
L’Italia viene derubata per farle dei regali.
Oggi infuria la polemica (tra massimi sistemi e chiacchiera…) sulla legge volta a tutelare i diritti di omosessuali&Co (spiacente, mi rifiuto di usare quella sigla fatta solo di consonanti) e a proteggerli da vessazioni e discriminazioni.
In tv assisto al consueto dibattito: una giornalista che intervista tre giornalisti. Tra di loro ce n’è uno che si oppone alla legge nel nome della libertà. Andrebbe studiato il fatto che a reclamare libertà, a inneggiare alla libertà, negli ultimi tempi e soprattutto nell’ultimo anno di pandemia siano soprattutto elementi di destra e di estrema destra: nelle piazze la bandiera della libertà viene spesso sventolata da veri e propri energumeni che, fino a non molto tempo fa (e anche adesso, in fondo) adoravano la dittatura e invocavano i dittatori. Ma su questa paradossale libertà ci tornerò, magari tra qualche giorno.
Intanto, osserviamo questo giornalista di destra, che si sente messo in minoranza dagli altri perché è l’unico ad avere il fegato di opporsi a una legge a suo parere liberticida, liberticida perché studiata per impedire che qualcuno impunemente offenda, oltraggi, molesti, discrimini e magari alla fine riempia di botte omosessuali&Co: è un tipo magrolino, pacato nei modi e rigido negli argomenti, che vorrebbe apparire dialogante e beneducato (quanto spesso sotto l’educazione cova l’odio, e non c’è nulla di più micidiale dell’odio tenuto a bada, quando ha modo di scatenarsi…), con la barbetta curata, insomma un tipo che una volta avrebbe preso la tonaca, aria da seminarista e logica capziosa (come li conosco questi tipi! Abituati per scuola a rovesciare l’evidenza…). Si scalda appena nel sostenere i suoi discutibili argomenti evocando lo spettro di una società punitiva e censoria, se mai passerà questa legge. Gli altri lo contestano, ma è inutile, egli si fa scudo dei suoi errori. C’è un dato nascosto dal suo aspetto di novizio, ma ovviamente nessuno ha la sfacciatezza di farlo emergere. Visto che questo apostolo della libertà di parola vorrebbe, in sostanza, che si continuasse a essere liberi di chiamare frocio un frocio, forse l’unico modo per scuotere le sue convinzioni o forse di farne emergere la vera natura, la segreta ragione per cui si oppone a una legge che tutela omosessuali&Co, e visto che quella di stasera potrebbe essere una delle ultime occasioni per poterlo fare prima che sulla nazione cali la cappa di piombo censoria della legge, gli altri ospiti dovrebbero interromperlo mentre, con modi sempre più striduli sta rivendicando le sue opinioni, e gridargli: “A frooociooo!”.
Certo che così finirebbero per dargli ragione, per soddisfare la sua pretesa che il linguaggio resti libero.
“A frooociooo!!!”
Ma i suoi colleghi non possono, è ovvio, arrivare a tanto. Lo faccio io al posto loro. È straordinario eppure tipico l’accanimento contro i “diversi” manifestato per timore, disgusto di sé, desiderio di distanziarsene e così via. Tanto più si è tradizionalisti, o difensori della famiglia, o cultori di una mascolinità incontaminata, quanto più si deve occultare dentro di sé l’esatto opposto di questi valori. (Ci ho già scritto su decine, anzi, centinaia di pagine: non ci tornerò sopra.)
Il pretino di estrema destra, alfiere della libertà a tutti costi, per esemplificare l’avvento della tirannia politically correct si lagna del fatto che alcune presentazioni di un suo libro siano state boicottate. Ecco dove ci condurrà la nuova legge anti-discriminazione: a discriminare quelli come lui che la contestano. Ma dài, su, bello mio, ringrazia! Finora ti ha detto piuttosto bene, prima o poi potrebbero darti un fracco di legnate per esserti opposto a una legge che protegge omosessuali e trans, mentre oggi le legnate toccano agli omosessuali e ai trans che la legge a cui ti opponi intende proteggere.
E quindi, seguendo il filo del tuo discorso ultra-libertario, finiresti per ricevere quel che ti meriti, quel che tu stesso hai invocato.
Del resto fu Storace, sì, Storace, il ruspante politico del Movimento sociale e poi di Alleanza nazionale, ai giornalisti che lo inseguivano implorando, “Dài France’, dicci qualcosa di destra…!”, fu lo strafottente Storace a rispondergli d’istinto: “A frooociii!!”.
Mai battuta fu più spontanea e aderente al suo modo di vedere le cose.
Il dramma può svolgersi a vari livelli, si soffre in modo diverso ma si soffre comunque: due fratelli si uccidono tra loro, una donna si butta dalla finestra stringendo tra le braccia il figlioletto, rubano il motorino a cui non avevi messo la catena, il negozio dello zio chiude e i cugini finiscono in miseria, l’uomo che cominciavi ad amare non si fa più vivo, la donna che amavi scopre di avere la leucemia, smarrisci il portafogli con tutti i documenti, il gatto non ritorna, l’acqua oggi di nuovo sa di fogna, una barca si rovescia e affogano tutti, suonano alla porta i carabinieri, viene alla luce una fossa comune, gettano acido in faccia, un ictus, la prigione, i debiti, il terremoto, il declino della bellezza, il voltafaccia di un amico, la maculopatia, il treno deragliato, Cesare pugnalato, i bambini nella Torre di Londra strangolati, mentre alle due di notte tornava in moto a casa gli ha tagliato la strada una Smart, un innocente viene giustiziato perché la prova che era innocente giunge un minuto troppo tardi, la corona del re rotola nella polvere, l’onore è perso, arrivi lì e lei se n’era andata, l’orario era sbagliato, il posto era sbagliato, l’errore è irrimediabile.
5 maggio
Ei fu. Siccome immobile
restò incastrato nell’automobile.
Quanto mi piacciono i calembour scolastici! Più sono sciocchi o volgari e più mi piacciono. Mi divertirebbe ascoltarne di nuovi, io sono fermo a quelli della mia adolescenza con scarse acquisizioni successive.
L’ex sindaco di Firenze, ex segretario del Partito democratico e ex premier Matteo Renzi è stato ripreso da un cellulare in un’area di parcheggio dell’Autostrada del Sole (credo Fiano Romano) mentre si intratteneva con un agente dei servizi segreti, Marco Mancini, dal passato questionabile. Interrogato da un giornalista di Report sul perché di quell’incontro irrituale, Renzi ha detto di aver incontrato lì l’agente segreto perché questi voleva consegnargli dei “Babbi”. Cioè, dei wafer al cioccolato. Come Renzi anch’io li chiamo “Babbi”, malgrado Babbi a rigore sia il nome dell’azienda che li produce, a Cesena. Immagino che Renzi si riferisse ai “Viennesi”, strepitosi wafer alla crema di forma quadrata (circa 4x4) ricoperti di cioccolato. Vado pazzo per i Babbi, la mia ex suocera (è un mondo popolato di ex) ne riceveva per Natale una confezione-regalo dall’editore Garzanti, e la gi...

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