Capitolo 1
Le donne del terrorismo islamico
Il coinvolgimento delle donne nelle organizzazioni che esercitano violenza politica è fenomeno non estraneo al Medio Oriente e all’Africa. Per secoli, le donne musulmane hanno partecipato a diversi conflitti al fianco degli uomini, morendo in prima linea sul campo di battaglia.
Come spiega Margherita Picchi nel libro dell’orientalista Massimo Campanini Quale Islam?: Jihadismo, Radicalismo, Riformismo, le testimonianze pervenute dalla tradizione islamica sulla realtà precedente al formarsi della società musulmana, in arabo hadith, raccontano che le donne non furono seguaci passive degli uomini ma, al contrario, partecipanti attive alla vita della comunità. Alcune di queste, nel tempo, divennero note per le loro gesta. La più celebre è Aisha, la moglie favorita di Maometto che lo consigliò e lo seguì in diverse battaglie. Nelle fonti viene descritta come una donna indipendente e forte, che non esitava a contraddire il marito e a rimbeccarlo qualora avesse un’opinione diversa dalla sua. Anche dopo la morte di Maometto, Aisha rimase estremamente attiva all’interno della comunità musulmana tanto che, in seguito all’avvento nel 656 del cugino e genero del Profeta, Ali, come successore del terzo califfo, lei si rifiutò di riconoscerne l’autorità. La loro contesa provocò una battaglia, alla quale Aisha prese parte in prima persona, osservandola seduta su un baldacchino in groppa a un cammello. Per tale ragione, lo scontro viene ricordato come “la battaglia del cammello”.
Un’altra donna musulmana dell’antichità che si unì al jihad fu Nusayba bint Ka’b, che partecipò alla battaglia di Uhud insieme al marito e i due figli durante il califfato di Abu Bakr (632-634). Alla fine dei combattimenti, Nusayaba riportò 11 ferite e perse un braccio.
Oggi, tali esempi vengono spesso utilizzati, in quanto considerati iconici, per giustificare il compimento di azioni suicide da parte delle donne nelle organizzazioni terroristiche del mondo arabo. Nel corso del tempo, il numero delle donne che si è unito al jihad globale è aumentato progressivamente. In parte, tali donne sono state, e sono tutt’oggi spinte dalla convinzione di voler cambiare le condizioni dei musulmani sotto occupazione. Altre donne, invece, vengono reclutate dai gruppi terroristici, come al-Qaeda, i quali fanno leva sul loro sentimento di vendetta per la perdita dei figli o dei mariti nella guerra in nome dell’Islam.
La studiosa di terrorismo Anne Speckhard ha elencato i gruppi islamisti che si sono serviti di attentatrici suicide, quali il Syrian Socialist Nationalist Party nel Sud del Libano a partire dal 1985; il Kurdistan Workers’ Party (PKK) contro i turchi dal 1996; i separatisti ceceni e i militanti palestinesi dal 2000; al-Qaeda a partire dal 2005; i fondamentalisti somali dal 2006 e i jihadisti nigeriani di Boko Haram dal 2009.
Tuttavia, all’interno delle organizzazioni terroristiche del mondo islamico, le donne non svolgono soltanto il ruolo di attentatrici suicide, ma ricoprono un ampio elenco di funzioni. Oltre a essere bombe umane, fungono da scout, cercando e scegliendo il luogo dove compiere un attentato; reclutano altre donne o altri uomini e dirigono persino operazioni.
Dal momento che in questa sede non è possibile contestualizzare tutti i casi di terrorismo femminile del mondo islamico, sono presi in considerazione quelli ritenuti più emblematici ed utili a dimostrare che, nell’ambito del terrorismo, le donne e gli uomini possono essere posti sullo stesso piano.
La scout
Ahlam Tamimi è una delle terroriste più note del mondo arabo. Ha pianificato la strage del ristorante Sbarro, avvenuta il 9 agosto 2001 a Gerusalemme est, in cui sono morte 15 persone, tra cui 8 bambini. Tamimi rappresenta al contempo il simbolo della resistenza palestinese e il volto femminile di Hamas. Guardando i video delle interviste caricati su YouTube, balza agli occhi il sorriso della ragazza che, a 21 anni, gioisce per gli omicidi di cui è responsabile. La terrorista ricostruisce le fasi dell’attentato di quel giorno, quando accompagnò il ventiduenne Izzedine as-Suheil al-Masri verso la pizzeria Sbarro all’incrocio tra la King George Street e Jaffa Street. Il kamikaze saltò in aria con un ordigno nascosto all’interno della fodera di una chitarra. Ahlam Tamimi, come una scout esperta, nei giorni precedenti all’attacco aveva perlustrato la zona prestando attenzione a tutti i dettagli che avrebbero potuto rendere l’attentato il più sanguinoso possibile. La scelta, spiega, cadde sulla pizzeria Sbarro perché all’ora di pranzo era sempre molto affollata, soprattutto da famiglie con bambini. La mattina del 9 agosto, Tamimi e al-Masri si incontrarono presso una stazione a Ramallah, in Cisgiordania, dove salirono su un autobus diretto a Gerusalemme est, zona della città che, allora come oggi, si trova sotto l’occupazione israeliana. Per passare inosservati, i due indossarono abiti in stile occidentale. La ragazza aveva i capelli sciolti e una macchina fotografica al collo per sembrare una turista, mentre il giovane portava occhiali da sole, jeans e una t-shirt. Intorno alle 14:00 al-Masri fece detonare la bomba all’interno del locale. Oltre alle 15 vittime, altre 130 persone rimasero ferite. L’esplosione fu talmente violenta da ridurre la maggior parte dei corpi in brandelli, tanto che i primi soccorritori giunti sul luogo raccontarono di essersi trovati di fronte a una scena raccapricciante. Ahlam Tamimi ha poi raccontato che, mentre tornava verso Ramallah a bordo dell’autobus, tutti i passeggeri palestinesi festeggiarono la notizia dell’attentato, gioendo per la morte degli israeliani. Queste le sue testuali parole:
«Si poteva percepire che tutti erano felici. (I passeggeri) non si conoscevano, ma si congratulavano gli uni con gli altri. Mentre ero seduta sull’autobus, l’autista ha acceso la radio, che riferiva che i morti erano 3. Ammetto di essere rimasta delusa all’inizio perché mi aspettavo un numero più alto. […] Pochi minuti dopo è stato comunicato che le vittime erano salite a 5, ho fatto fatica a nascondere il mio sorriso, Allah sia lodato, era grandioso. Man mano che le vittime aumentavano, i passeggeri applaudivano sempre di più. […] Persino i poliziotti ad un check-point stavano festeggiando l’accaduto. Erano tutti contenti».
Quello allo Sbarro è stato uno degli atti più sanguinari compiuti da un terrorista palestinese in Israele. Il ruolo di Tamimi è andato ben oltre l’accompagnare al-Masri sul luogo del delitto. È stata lei la mente dell’attentato: ha scelto l’orario, il luogo e gli obiettivi. La giovane donna fu meticolosa. Il 30 giugno 2001, aveva posizionato un ordigno all’interno di una lattina in un negozio di Gerusalemme est con l’intenzione di farlo saltare in aria a distanza. La polizia riuscì a disinnescare la bomba prima che esplodesse, vanificando i suoi piani. Da quel fallimento, sia Ahlam Tamimi sia Hamas, compresero che un attentatore suicida è più efficace di un ordigno con un timer. Un kamikaze è un’arma con un cervello, è capace di muoversi e adattarsi ai cambiamenti improvvisi, portando a termine l’azione con accuratezza. Come spiega Bruce Hoffman, direttore della rivista “Studies in Conflict and Terrorism”, nel libro Inside Terrorism, le azioni suicide sono anche poco costose e più efficaci in quanto, generalmente, un kamikaze riesce ad uccidere un numero di vittime quattro volte superiore ad altre tipologie di attentati. Inoltre, gli attacchi suicidi garantiscono una copertura maggiore nei media e costituiscono anche un’importante arma psicologica. Dal momento che la morte dell’attentatore è inclusa nel processo, la cosa più difficile da fare è recarsi sul luogo dell’obiettivo. Di grande importanza, inoltre, è l’esplosivo utilizzato. Un ordigno può essere ancora più mortale se fatto esplodere in un luogo circoscritto, come un negozio o un ristorante. Non appena l’esplosione si innesca, tutto l’ossigeno viene risucchiato e la stanza implode su se stessa. Ahlam Tamimi aveva suggerito ad al-Masri di farsi esplodere davanti alla pizzeria, al centro dell’incrocio, in modo da colpire anche i veicoli fermi ai semafori. Il kamikaze, invece, desideroso di uccidere il maggior numero possibile di persone, preferì recarsi all’interno del ristorante.
Nata il 20 ottobre 1980 ad Az-Zarqa, in Giordania, ma originaria di Nabi Saleh, in Cisgiordania, dopo gli studi Ahlam Tamimi si iscrisse alla facoltà di Stampa e Informazione della Birzeit University. Alla vigilia della laurea, lo scoppio della seconda Intifada, il 28 settembre del 2000, scatenò la dura reazione dei soldati israeliani che uccisero decine di palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Tamimi seguì le violenze attraverso i media e, impressionata dalla crudeltà delle immagini, decise di passare alla militanza. Attraverso un collega dell’università, entrò a far parte delle al-Qassam Brigades, il braccio armato di Hamas, divenendo il primo membro femminile del gruppo. Il 27 luglio 2001 affiancò i militanti della brigata nell’esecuzione di un’operazione a Gerusalemme. Poche settimane più tardi, in seguito all’uccisione di Jamal e Omar Mansour, leader di Hamas, nella città di Nablus il 31 luglio, la terrorista ricevette la chiamata dai vertici dell’organizzazione e in soli 9 giorni pianificò l’attacco alla pizzeria Sbarro.
Il sito ufficiale del braccio armato di Hamas riporta che, quando è stata arrestata dalla polizia israeliana, Ahlam Tamimi ha subito torture ed è stata condannata a 16 ergastoli. Durante il processo di fronte a una corte israe...