Memorie di repressione, resistenza e solidarietà in Brasile e in America Latina
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Il volume presenta i risultati delle ricerche svolte nell'ambito di un più ampio progetto che la Fondazione Lelio e Lisli Basso - ISSOCO ha realizzato con la Comissão de Anistia del Ministero della Giustizia del Brasile e in collaborazione con l'Università federale del Paraíba (UFPB). Collegato al lavoro delle Commissioni di Verità, costituitesi in Brasile e in altri paesi dell'America Latina, il progetto ha inteso offrire un contributo al percorso della giustizia di transizione, volto ad accertare e a rendere pubbliche le violazioni dei diritti umani perpetrate negli anni dei regimi repressivi.
Proprio uno degli obiettivi che si propose Lelio Basso quando, all'inizio degli anni settanta, elaborò, istruì e diede vita al Tribunale Russell II sulla repressione in Brasile, Cile e America Latina il cui Fondo archivistico
rappresenta, nell'ambito del progetto, il corpus principale della documentazione trattata e delle fonti utilizzate per le ricerche.
La Fondazione Basso, ente morale dal 1974, offre un servizio continuativo con l'apertura della biblioteca e dell'archivio storico (consultabili anche online). La Biblioteca (circa 100.000 volumi e 5.000 testate di periodici) possiede fondi molto rari, a partire dal XVI secolo, sulla storia della democrazia e dei movimenti di massa in Europa, oltre a un importante fondo sull'America Latina, l'Africa e l'Asia. L'archivio storico, accanto ai fondi novecenteschi, conserva manoscritti e documenti sin dall'epoca della Rivoluzione francese. L'intensa attività scientifica e culturale si articola in ricerche, corsi di formazione, seminari, convegni,
pubblicazioni e mostre, nei settori della ricerca storica, della cultura delle fonti, della teoria politica e del diritto.

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I.
MEMORIE DI REPRESSIONE E RESISTENZA IN BRASILE E IN AMERICA LATINA
La repressione politico-sociale in Brasile nelle carte del Tribunale Russell II
di Davide Conti
1. Contesto storico e avvento della dittatura militare in Brasile
Nella metà degli anni sessanta le relazioni geopolitiche tra le due superpotenze USA e URSS si erano strutturate lungo la linea politica della ‘distensione’ (détente) che, avviata dall’amministrazione Kennedy, guardava alla normalizzazione della contrapposizione frontale che aveva caratterizzato il confronto bipolare negli anni cinquanta.
Tuttavia le trasformazioni degli anni sessanta sul piano internazionale determinarono la crisi degli equilibri interni ai paesi dell’alleanza atlantica producendo effetti politici non solo sul piano istituzionale e di governo, ma soprattutto su quello del ruolo delle masse all’interno dei conflitti.
La stessa linea della distensione internazionale, se sul piano delle relazioni USA-URSS si orientò a un graduale confronto tra le due superpotenze, pur caratterizzato da momenti di acuta crisi come quella dei missili a Cuba del 1961, su quello dei rapporti con gli Stati appartenenti alle rispettive aree d’influenza produsse forme d’irrigidimento e di chiusura verso l’autonomia politica dei singoli Stati nazionali. In questo quadro trovò diretta espressione la dottrina della sovranità limitata esercitata, in forme diverse sul piano dell’intervento militare, dagli USA nel Brasile del 1964, con il sostegno al golpe contro Joao Goulart, e dall’URSS nella Cecoslovacchia del 1968, con l’intervento diretto dei carri armati sovietici a Praga.
Il conflitto assunse una fisionomia nuova rispetto alla connotazione classica degli anni cinquanta, introducendo l’elemento civile all’interno della competizione politico-militare e ponendo al centro della contesa l’elemento psicologico dell’adesione all’ordine sociale costituito. Era la teoria della ‘guerra rivoluzionaria’ che, partendo dall’analisi del quadro geopolitico degli anni sessanta in cui il rischio di conflitto nucleare frenava lo sviluppo delle forme di guerra convenzionale, considerava le lotte sociali, economiche e ancor più quelle politiche, sia nella forma legale sia illegale, un fattore di rottura dell’equilibrio politico interno ai paesi dell’alleanza atlantica a favore del campo comunista1.
Il golpe militare del 1964 in Brasile maturò dunque in un contesto interno e internazionale caratterizzato dall’associazione diretta tra movimenti sociali, politiche di riforma e ‘pericolo comunista’. In questo senso soggetti sociali come il movimento operaio o quello contadino erano considerati ‘oggettivamente’ fattori di destabilizzazione del quadro politico ed economico, dell’ordine costituito e dunque della stessa appartenenza e corrispondenza del Brasile al sistema di alleanze militari internazionali.
La linea politica espressa dalla presidenza di Joao Goulart in materia di riforme sociali si era orientata verso la ricezione di alcune istanze presenti nelle rivendicazioni dei movimenti sociali in Brasile: la riforma agraria, il progetto di esproprio dei latifondi incolti e l’assegnazione ai contadini della terra. Leghe contadine e sindacati operai avevano sostenuto il nuovo indirizzo politico proposto da Goulart, il quale, seguendo una linea di maggiore indipendenza e sovranità economica dagli USA, aveva promosso un piano di riforme delle tassazioni fiscali sui profitti accumulati dalle multinazionali straniere che operavano in Brasile, insieme a maggiori vincoli sull’esportazione all’estero dei loro capitali. Nel 1959 il governatore dello Stato di Rio Grande do Sul Lionel Brizola aveva espropriato l’azienda USA di telecomunicazioni ITT.
Le valutazioni del Dipartimento di Stato sono molto vicine alle nostre. Il telegramma descrive la totale inettitudine del presidente Goulart e la sua incapacità a controllare sia il declino dell’economia sia lo sfaldamento del sistema politico. [...] Washington è molto preoccupata per le conseguenze provocate dalla legge [brasiliana] sulla Rimessa dei Profitti, che ha già bruciato il miliardo di dollari investito dagli americani in Brasile2.
In politica estera questo indirizzo, sostenuto anche dalla precedente presidenza Quadros, si era tradotto nel 1961 nella riapertura delle relazioni diplomatiche con l’URSS e in particolare con il riavvicinamento a Cuba, manifestatosi nell’astensione brasiliana sulla sua esclusione dall’Organizzazione degli Stati americani (OSA) e soprattutto con il voto contrario, sempre in ambito OSA, all’intervento militare americano nell’isola, il cosiddetto ‘sbarco della baia dei porci’.
Le linee di tendenza seguite da Joao Goulart e improntate a una maggiore accentuazione della sovranità nazionale brasiliana avevano suscitato forti preoccupazioni in seno all’amministrazione statunitense e più in generale in ambito NATO dove i membri si domandavano se vi fosse «qualcosa che possiamo fare per prevenire la deriva del Brasile verso un tipo di anarchia che – in una seconda fase – potrebbe anche condurre all’instaurazione di un regime comunista, alterando in tal modo gli equilibri internazionali»3.
In questo quadro, già dalla fine del 1963 cominciarono a essere definiti i primi scenari sui possibili sviluppi politici interni al Brasile e sull’ipotesi di un rivolgimento militare-golpista contro il presidente legittimo:
Prende sempre più corpo la possibilità che si verifichi un colpo di Stato militare contro il presidente Goulart, in conseguenza della rivolta dei Sergenti avvenuta a Brasilia il 12 settembre scorso. In data 18 settembre, i ministri militari avrebbero sollecitato Goulart a mettere fine agli scioperi dei sindacati di sinistra e ad instaurare lo Stato d’assedio. Goulart avrebbe respinto il consiglio, chiedendo le dimissioni di Jair, il ministro della Guerra. Jair – che sembra essere il capo dei dissidenti – si sarebbe rifiutato di obbedire. Se tali informazioni corrispondono al vero, la fine della presidenza Goulart potrebbe essere vicina. È questo il commento dell’addetto militare [americano in Brasile, n.d.r.]4.
La contraddittoria relazione tra riforme sociali e rafforzamento della sovranità nazionale, interpretati come un pericoloso cedimento a sinistra dell’equilibrio politico interno, e i vincoli internazionali dell’alleanza atlantica, irriducibilmente incompatibili con posizioni neutraliste in politica estera, posero all’ordine del giorno l’esame di un intervento diretto in senso conservatore dell’indirizzo politico brasiliano determinando, in ultima istanza, le condizioni per il sostegno statunitense al pronunciamento golpista del marzo 1964:
Se non riuscissimo a prevenire la guerra civile – e se ciò conducesse all’instaurazione di una dittatura di sinistra –, il Brasile potrebbe diventare un alleato di Castro. Di conseguenza, gli Stati Uniti potrebbero essere obbligati ad attuare un’azione militare in funzione della loro sicurezza. [...] Con ogni probabilità, il periodo critico è quello che ci separa dal 1965, durante il quale Goulart non potrà essere rimosso con metodi costituzionali5.
Il nesso tra ingerenza statunitense negli affari politici interni del Brasile, avvento della giunta golpista e suo consolidamento militare al potere si inquadrò non solo nell’organicità di personale USA e brasiliano in ambito economico e politico (il generale Golbery fu dirigente della filiale brasiliana della multinazionale statunitense Chemical Dow; il suo collaboratore Heitor Ferreira fu dirigente del gruppo multinazionale di Daniel Keith Ludwig; Vernon Walters6, ex addetto militare e poi vice-capo della CIA, oltre a coordinare l’azione golpista tramite Castelo Branco divenne elemento chiave dell’ambasciata americana guidata da John Tuthill), ma anche nella più complessiva formulazione teorico-pratica della «frontiera ideologica» anticomunista in America Latina elaborata dall’amministrazione americana.
In questo senso, già il presidente J.F. Kennedy, prima del golpe militare, aveva con preoccupazione richiamato la centralità strategica della regione sudamericana e in particolare del Brasile: «Nelle scorse settimane, per ben due volte, il presidente Kennedy ha affermato pubblicamente di considerare l’America Latina ‘l’area chiave del mondo’. In un’altra occasione, egli ha descritto il Brasile come ‘il Paese chiave per l’America Latina’»7. Il suo successore Lyndon Johnson avviò una fase di maggior interventismo finalizzato alla modifica della struttura e dell’equilibrio politico del paese: «Ho parlato a lungo con Niles Bond, il nuovo console generale statunitense a San Paolo [...]. Secondo Bond, è probabile che l’atteggia-mento del presidente Johnson nei confronti dell’America Latina si sviluppi con maggiore durezza rispetto a quello messo in campo dal presidente Kennedy»8.
2. Disarticolazione dello Stato di diritto e repressione militare contro i civili
2.1. I caratteri della violazione dei diritti umani e la dottrina della «Sicurezza nazionale»
La dottrina della ‘Sicurezza nazionale’, elaborata dal generale golpista Golbery do Couto e Silva e pubblicata nel 1966 nel volume Geopolitica do Brasil, rappresentò il principale supporto ideologico su cui la giunta militare salita al potere con il colpo di Stato del 31 marzo 1964 fondò l’involuzione autoritaria del paese sul piano legislativo, giuridico e politico-sociale.
Tale base teorica, in perfetta corrispondenza con le analisi delle strutture militari e d’intelligence della NATO, poggiò sull’idea dell’irriducibilità del conflitto in atto tra l’area geopolitica del mondo «libero, democratico e cristiano», ovvero l’Occidente di cui il Brasile faceva pienamente parte, e la parte del pianeta egemonizzata dall’ateismo e dal materialismo politico, culturale ed economico del comunismo di matrice sovietica. Secondo Golbery all’interno della divisione verticale del mondo, se il Nord e il Sud America, insieme all’Africa, rappresentavano il cosiddetto «emiciclo interno», la vasta area asiatica comprendente la Cina, l’Indocina, l’Indonesia, la Malesia, fino alle Filippine, veniva considerata un pericoloso «emiciclo esterno» in grado di rappresentare una costante minaccia al mondo libero e cristiano e in particolare alla sicurezza della nazione brasiliana che si veniva a trovare in posizione coincidente, e dunque centrale, con la frontiera tra i due blocchi contrapposti. «Da questo emiciclo esterno – scrisse Golbery – possono sorgere minacce pericolose in qualsiasi momento. È questo dunque l’emiciclo pericoloso contro il quale l’America del Sud dovrà strutturare solidamente la sua sicurezza»9.
Da queste considerazioni preliminari scaturiva la definizione della linea di condotta politica del Brasile, il suo ruolo all’interno del contesto internazionale e la sua funzione di potenza regionale in grado di stabilizzare in senso anticomunista l’equilibrio politico del continente latinoamericano: «Impegnare l’America del Sud e con lei il Brasile, decisamente e perseverantemente in mani amiche delle terre dell’emiciclo interno, rappresenta il minimo che possiamo, che dobbiamo fare per la sicurezza sud-americana»10.
Tuttavia il senso della dottrina della Sicurezza nazionale risiedeva più che su una sua applicazione bellica diretta, a fronte di un’improbabile aggressione dall’esterno operata dai paesi del blocco comunista, nella sua funzione interna, con evidenti richiami alle formulazioni teorico-militari della controinsorgenza11, relativa al contrasto del pericolo di infiltrazione ed espansione delle idee e delle pratiche «comuniste» in Brasile e più in generale nel continente sudamericano e africano:
Non basterà mai – continua Golbery – che ci limitiamo semplicemente nel mantenere il territorio nazionale e la sicurezza immediata dell’America del Sud immuni dall’infiltrazione persistente e mistificatrice del comunismo o dai meno probabili attacchi diretti. Importerà anche, e molto, che si sia vigilanti e disposti a cooperare, se e quando necessario, alla difesa ad ogni costo di questa Africa occidentale che ci sta di fronte, da cui possono venire minacce. [...] Prepariamoci dunque nell’America Latina a dare una mano a qualsiasi dei nostri vicini nella difesa di un impareggiabile patrimonio comune, contro qualsiasi attacco esotico, e non meno nella manutenzione dei bastioni difensivi del mondo occidentale che là lungo l’Europa, nel Sud asiatico e in Australia garantiscono la nostra relativa tranquillità e la nostra sicurezza12.
L’aggiornamento ideologico-dottrinario introdotto da Golbery nell’ambito della lotta politica brasiliana richiamò direttamente i dettami della ‘quarta dimensione della guerra’ e il concetto degli ‘Stati maggiori allargati’ comprendente un’organica e strutturata collaborazione tra militari e civili in funzione della guerra al comunismo e del mantenimento dell’ordine sociale interno13.
La battaglia contro il pericolo dell’espansionismo sovietico, attraverso Stati alleati dell’URSS o ‘quinte colonne’ interne ai paesi democratici, estendeva il suo perimetro all’intera società coinvolgendo, oltre a quello militare, gli ambiti dell’economia, della cultura, della politica e dell’opinione pubblica. Questa nuova dimensione del conflitto presupponeva anche la rinuncia all’esercizio democratico dei diritti fondamentali dell’uomo, sostituito dal primato della sicurezza dello Stato-Nazione e dei suoi alleati internazionali.
Oggi il concetto di guerra si è allargato [...] assorbendo nella voragine tremenda della lotta la totalità degli sforzi economici, politici, militari e culturali di cui era capace ogni singola Nazione, integrando tutte le attività in una risultante unica che si proponeva vittoria [...] che accomuna soldati e civili, uomini e donne e bambini negli stessi sacrifici e in pericoli identici, che obbliga alla rinuncia delle libertà secolari e dei diritti acquisiti con sforzo nelle mani dello Stato, signore onnipossente della guerra. [...] Il concetto di guerra si è allargato [...] oscura la figura politica della neutralità ed equipara belligeranti e non belligeranti in una estensione massima che disconosce qualsiasi limite di spazio. [...] Siamo in guerra14.
In questo contesto l’uso e l’arruolamento dei civili, che troverà una manifestazione diretta con i cosiddetti ‘Squadroni della morte’, nonché l’utilizzo di metodi terroristici istituzionalizzati contro oppositori politici interni, divenivano fattori centrali e consequenziali dell’effettivo esercizio del potere dello Stato «in guerra» e, dunque, in regime politico-giudiziario di ‘eccezionalità’: «Per questa guerra onnipresente, tra le armi più efficaci del suo molteplice arsenale, sono la propaganda e la contro-propaganda, le ideologie tentatrici e gli slogan suggestivi, per uso interno ed esterno, la persuasione, la minaccia e anche il terrore»15.
La legge sulla Sicurezza nazionale, rappresentando un fattore essenziale dell’esercizio del potere della giunta militare nel corso degli anni della dittatura, divenne oggetto di modifiche ed emendamenti intesi a renderla funzionale all’effettiva attuazione sul piano della repressione sociale e politica nel paese. Il giurista Salvatore Senese analizzandone la struttura complessiva presentò nella sua relazione al Tribunale Russell II (TRII) l’analisi delle violazioni dei diritti fondamentali presenti nell’ordinamento giuridico espresso dalla legge:
Evidentemente molti degli istituti giuridici che noi abbiamo analizzato sono in opposizione formale con i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Vi cito ad esempio l’art. 9 di questa Dichiarazione Universale: «Nessuno può essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato». L’art. 59 della legge di Sicurezza nazionale dà alla polizia il potere di arrestare sulla base di mero sospetto, senza che questo sospetto possa essere controllato da alcuno, senza che l’arrestato possa difendersi, è chiaramente in opposizione all’art. 9. [...] Parimenti l’Atto istituzionale n. 13, che istituisce la pena dell’esilio, è in contrasto con l’art. 916.
Sul piano della separazione delle sfere giuridica e politica, inoltre, la giunta golpista operò una concentrazione dell’esercizio del potere che, facendo leva sulla legge di Sicurezza nazionale, permise ai tribunali speciali militari di divenire unico soggetto giudicante dei reati contro lo Stato e la sicurezza pubblica cancellando il principio della terzietà del giudice, il quale era direttamente nominato dalle sfere militari, nonché il principio della sua indipendenza, essendo il giudice un militare soggetto a regole gerarchiche:
Tutte le violazioni alla legge di Sicurezza Nazionale, e cioè un campo enorme, attesa la latitudine delle previsioni di questa legge, sono demandate alla cognizione di tribunali militari speciali; questi tribunali fanno parte ufficiale delle Forze Armate, cioè di quello stesso gruppo che gestisce e detiene il potere, che gestisce la polizia. In modo particolare l’art. 84 della legge di Sicurezza Nazionale prevede che i membri dei tribunali militari che dovranno giudicare coloro che sono accusati di delitti per i quali è prevista la pena di morte o l’ergastolo, [...] siano scelti, dopo il fatto, dai Ministri della Marina Militare, dell’Esercito e dell’Aeronautica Militare17.
Era poi il complesso e la natura stessa della legge sulla Sicurezza nazionale a rovesciare il principio fondamentale, sancito dall’articolo 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, della presunzione di innocenza improntando i procedimenti giudiziari all’opposta presunzione di colpevolezza. Senese evidenziò inoltre un aspetto nevralgico del nesso tra concentrazione dei poteri dello Stato, da parte della giunta militare, e repressione della popolazione civile: la costruzione di nuovi istituti determinava, infatti, non soltanto una progressiva assimilazione tra sic...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Prefazione
  5. Presentazione
  6. Memorie Di Repressione E Resistenza In Brasile E In America Latina
  7. Per Una Storia Della Solidarietà Europea
  8. Primo repertorio delle fonti per la storia della solidarietà europea con i popoli latinoamericani
  9. Le autrici e gli autori
  10. Note