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I Malavoglia gold collection
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I Malavoglia, gold collection by GCbook
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Information
Capitolo 1
Un tempo i Malavoglia erano
stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce
n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava
gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal
nomignolo, come dev’essere. Veramente nel libro della parrocchia si
chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che
il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li
avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che
avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al
sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron
’Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch’era
ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello
zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla. Le burrasche
che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano
passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla barca
ammarrata sotto il lavatoio; e padron ’Ntoni, per spiegare il
miracolo, soleva dire, mostrando il pugno chiuso - un pugno che
sembrava fatto di legno di noce - Per menare il remo bisogna che le
cinque dita s’aiutino l’un l’altro. Diceva pure, - Gli uomini son
fatti come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito
grosso, e il dito piccolo deve far da dito piccolo. E la
famigliuola di padron ’Ntoni era realmente disposta come le dita
della mano. Prima veniva lui, il dito grosso, che comandava le
feste e le quarant’ore; poi suo figlio Bastiano, Bastianazzo,
perché era grande e grosso quanto il San Cristoforo che c’era
dipinto sotto l’arco della pescheria della città ; e così grande e
grosso com’era filava diritto alla manovra comandata, e non si
sarebbe soffiato il naso se suo padre non gli avesse detto
«sòffiati il naso» tanto che s’era tolta in moglie la Longa quando
gli avevano detto «pìgliatela». Poi veniva la Longa, una piccina
che badava a tessere, salare le acciughe, e far figliuoli, da buona
massaia; infine i nipoti, in ordine di anzianità : ’Ntoni, il
maggiore, un bighellone di vent’anni, che si buscava tutt’ora
qualche scappellotto dal nonno, e qualche pedata più giù per
rimettere l’equilibrio, quando lo scappellotto era stato troppo
forte; Luca, «che aveva più giudizio del grande» ripeteva il nonno;
Mena (Filomena) soprannominata «Sant’Agata» perché stava sempre al
telaio, e si suol dire «donna di telaio, gallina di pollaio, e
triglia di gennaio»; Alessi (Alessio) un moccioso tutto suo nonno
colui!; e Lia (Rosalia) ancora né carne né pesce. - Alla domenica,
quando entravano in chiesa, l’uno dietro l’altro, pareva una
processione.
Padron ’Ntoni sapeva anche certi motti e proverbi che aveva
sentito dagli antichi, «perché il motto degli antichi mai mentì»: -
«Senza pilota barca non cammina» - «Per far da papa bisogna saper
far da sagrestano» - oppure - «Fa’ il mestiere che sai, che se non
arricchisci camperai» - «Contentati di quel che t’ha fatto tuo
padre; se non altro non sarai un birbante» ed altre sentenze
giudiziose. Ecco perché la casa del nespolo prosperava, e padron
’Ntoni passava per testa quadra, al punto che a Trezza l’avrebbero
fatto consigliere comunale, se don Silvestro, il segretario, il
quale la sapeva lunga, non avesse predicato che era un codino
marcio, un reazionario di quelli che proteggono i Borboni, e che
cospirava pel ritorno di Franceschello, onde poter spadroneggiare
nel villaggio, come spadroneggiava in casa propria. Padron ’Ntoni
invece non lo conosceva neanche di vista Franceschello, e badava
agli affari suoi, e soleva dire: «Chi ha carico di casa non può
dormire quando vuole» perché «chi comanda ha da dar conto». Nel
dicembre 1863, ’Ntoni, il maggiore dei nipoti, era stato chiamato
per la leva di mare. Padron ’Ntoni allora era corso dai pezzi
grossi del paese, che son quelli che possono aiutarci. Ma don
Giammaria, il vicario, gli avea risposto che gli stava bene, e
questo era il frutto di quella rivoluzione di satanasso che avevano
fatto collo sciorinare il fazzoletto tricolore dal campanile.
Invece don Franco lo speziale si metteva a ridere fra i peli della
barbona, e gli giurava fregandosi le mani che se arrivavano a
mettere assieme un po’ di repubblica, tutti quelli della leva e
delle tasse li avrebbero presi a calci nel sedere, ché soldati non
ce ne sarebbero stati più, e invece tutti sarebbero andati alla
guerra, se bisognava. Allora padron ’Ntoni lo pregava e lo
strapregava per l’amor di Dio di fargliela presto la repubblica,
prima che suo nipote ’Ntoni andasse soldato, come se don Franco ce
l’avesse in tasca; tanto che lo speziale finì coll’andare in
collera. Allora don Silvestro il segretario si smascellava dalle
risa a quei discorsi, e finalmente disse lui che con un certo
gruzzoletto fatto scivolare in tasca a tale e tal altra persona che
sapeva lui, avrebbero saputo trovare a suo nipote un difetto da
riformarlo. Per disgrazia il ragazzo era fatto con coscienza, come
se ne fabbricano ancora ad Aci Trezza, e il dottore della leva,
quando si vide dinanzi quel pezzo di giovanotto, gli disse che
aveva il difetto di esser piantato come un pilastro su quei
piedacci che sembravano pale di ficodindia; ma i piedi fatti a pala
di ficodindia ci stanno meglio degli stivalini stretti sul ponte di
una corazzata, in certe giornataccie; e perciò si presero ’Ntoni
senza dire «permettete». La Longa, mentre i coscritti erano
condotti in quartiere, trottando trafelata accanto al passo lungo
del figliuolo, gli andava raccomandando di tenersi sempre sul petto
l’abitino della Madonna, e di mandare le notizie ogni volta che
tornava qualche conoscente dalla città , che poi gli avrebbero
mandato i soldi per la carta. Il nonno, da uomo, non diceva nulla;
ma si sentiva un gruppo nella gola anch’esso, ed evitava di
guardare in faccia la nuora, quasi ce l’avesse con lei. Così se ne
tornarono ad Aci Trezza zitti zitti e a capo chino. Bastianazzo,
che si era sbrigato in fretta dal disarmare la Provvidenza, per
andare ad aspettarli in capo alla via, come li vide comparire a
quel modo, mogi mogi e colle scarpe in mano, non ebbe animo di
aprir bocca, e se ne tornò a casa con loro. La Longa corse subito a
cacciarsi in cucina, quasi avesse furia di trovarsi a quattr’occhi
colle vecchie stoviglie, e padron ’Ntoni disse al figliuolo:
- Va a dirle qualche cosa, a quella poveretta; non ne può
più.
Il giorno dopo tornarono tutti alla stazione di Aci Castello per
veder passare il convoglio dei coscritti che andavano a Messina, e
aspettarono più di un’ora, pigiati dalla folla dietro lo
stecconato. Finalmente giunse il treno, e si videro tutti quei
ragazzi che annaspavano, col capo fuori dagli sportelli, come fanno
i buoi quando sono condotti alla fiera. I canti, le risate e il
baccano erano tali che sembrava la festa di Trecastagni, e nella
ressa e nel frastuono ci si dimenticava perfino quello stringimento
di cuore che si aveva prima.
- Addio ’Ntoni! - Addio mamma! - Addio! ricordati! ricordati! -
Lì presso, sull’argine della via, c’era la Sara di comare Tudda, a
mietere l’erba pel vitello; ma comare Venera la Zuppidda andava
soffiando che c’era venuta per salutare ’Ntoni di padron ’Ntoni,
col quale si parlavano dal muro dell’orto, li aveva visti lei, con
quegli occhi che dovevano mangiarseli i vermi. Certo è che ’Ntoni
salutò la Sara colla mano, ed ella rimase colla falce in pugno a
guardare finché il treno non si mosse. Alla Longa, l’era parso
rubato a lei quel saluto; e molto tempo dopo, ogni volta che
incontrava la Sara di comare Tudda, nella piazza o al lavatoio, le
voltava le spalle. Poi il treno era partito fischiando e
strepitando in modo da mangiarsi i canti e gli addii. E dopo che i
curiosi si furono dileguati, non rimasero che alcune donnicciuole e
qualche povero diavolo, che si tenevano ancora stretti ai pali
dello stecconato, senza saper perché. Quindi a poco a poco si
sbrancarono anch’essi, e padron ’Ntoni, indovinando che la nuora
dovesse avere la bocca amara, le pagò due centesimi di acqua col
limone.
Comare Venera la Zuppidda, per confortare comare la Longa, le
andava dicendo: - Ora mettetevi il cuore in pace, che per cinque
anni bisogna fare come se vostro figlio fosse morto, e non pensarci
più. Ma pure ci pensavano sempre, nella casa del nespolo, o per
certa scodella che le veniva tutti i giorni sotto mano alla Longa
nell’apparecchiare il deschetto, o a proposito di certa ganza che
’Ntoni sapeva fare meglio di ogni altro alla funicella della vela,
e quando si trattava di serrare una scotta tesa come una corda di
violino, o di alare una parommella che ci sarebbe voluto l’argano.
Il nonno ansimando cogli ohi! ooohi! intercalava - Qui ci vorrebbe
’Ntoni - oppure - Vi pare che io abbia il polso di quel ragazzo? La
madre, mentre ribatteva il pettine sul telaio - uno! due! tre! -
pensava a quel bum bum della macchina che le aveva portato via il
figliuolo, e le era rimasto sul cuore, in quel gran sbalordimento,
e le picchiava ancora il petto, - uno! due! tre!
Il nonno poi aveva certi singolari argomenti per confortarsi, e
per confortare gli altri: - Del resto, volete che vel dica? Un po’
di soldato gli farà bene a quel ragazzo; ché il suo paio di braccia
gli piaceva meglio di portarsele a spasso la domenica, anziché
servirsene a buscarsi il pane. Oppure: - Quando avrà provato il
pane salato che si mangia altrove, non si lagnerà più della
minestra di casa sua. Finalmente arrivò da Napoli la prima lettera
di ’Ntoni, che mise in rivoluzione tutto il vicinato. Diceva che le
donne, in quelle parti là , scopavano le strade colle gonnelle di
seta, e che sul molo c’era il teatro di Pulcinella, e si vendevano
delle pizze, a due centesimi, di quelle che mangiano i signori, e
senza soldi non ci si poteva stare, e non era come a Trezza, dove
se non si andava all’osteria della Santuzza non si sapeva come
spendere un baiocco. - Mandiamogli dei soldi per comperarsi le
pizze, al goloso! brontolava padron ’Ntoni; già lui non ci ha
colpa, è fatto così; è fatto come i merluzzi, che abboccherebbero
un chiodo arrugginito. Se non l’avessi tenuto a battesimo su queste
braccia, direi che don Giammaria gli ha messo in bocca dello
zucchero invece di sale. La Mangiacarrubbe, quando al lavatoio
c’era anche Sara di comare Tudda, tornava a dire:
- Sicuro! le donne vestite di seta aspettavano apposta ’Ntoni di
padron ’Ntoni per rubarselo; che non ne avevano visti mai dei
cetriuoli laggiù!
Le altre si tenevano i fianchi dal ridere, e d’allora in poi le
ragazze inacidite lo chiamarono «cetriuolo».
’Ntoni aveva mandato anche il suo ritratto, l’avevano visto
tutte le ragazze del lavatoio, come la Sara di comare Tudda lo
faceva passare di mano in mano, sotto il grembiule, e la
Mangiacarrubbe schiattava dalla gelosia. Pareva San Michele
Arcangelo in carne ed ossa, con quei piedi posati sul tappeto, e
quella cortina sul capo, come quella della Madonna dell’Ognina,
così bello, lisciato e ripulito che non l’avrebbe riconosciuto più
la mamma che l’aveva fatto; e la povera Longa non si saziava di
guardare il tappeto e la cortina e quella colonna contro cui il suo
ragazzo stava ritto impalato, grattando colla mano la spalliera di
una bella poltrona; e ringraziava Dio e i santi che avevano messo
il suo figliuolo in mezzo a tutte quelle galanterie. Ella teneva il
ritratto sul canterano, sotto la campana del Buon Pastore - che gli
diceva le avemarie - andava dicendo la Zuppidda, e si credeva di
averci un tesoro sul canterano, mentre suor Mariangela la Santuzza
ce ne aveva un altro, tal quale chi voleva vederlo, che glielo
aveva regalato compare Mariano Cinghialenta, e lo teneva inchiodato
sul banco dell’osteria, dietro i bicchieri. Ma dopo un po’ di tempo
’Ntoni aveva pescato un camerata che sapeva di lettere, e si
sfogava a lagnarsi della vitaccia di bordo, della disciplina, dei
superiori, del riso lungo e delle scarpe strette. - Una lettera che
non valeva i venti centesimi della posta! borbottava padron ’Ntoni.
La Longa se la prendeva con quegli sgorbj, che sembravano ami di
pesceluna, e non potevano dir nulla di buono. Bastianazzo dimenava
il capo e faceva segno di no, che così non andava bene, e se fosse
stato in lui ci avrebbe messo sempre delle cose allegre, da far
ridere il cuore agli altri, lì sulla carta, - e vi appuntava un
dito grosso come un regolo da forcola - se non altro per
compassione della Longa, la quale, poveretta, non si dava pace, e
sembrava una gatta che avesse perso i gattini. Padron ’Ntoni andava
di nascosto a farsi leggere la lettera dallo speziale, e poi da don
Giammaria, che era del partito contrario, affine di sentire le due
campane, e quando si persuadeva che era scritto proprio così,
ripeteva con Bastianazzo, e con la moglie di lui:
- Non ve lo dico io che quel ragazzo avrebbe dovuto nascer
ricco, come il figlio di padron Cipolla, per stare a grattarsi la
pancia senza far nulla!
Intanto l’annata era scarsa e il pesce bisognava darlo per
l’anima dei morti, ora che i cristiani avevano imparato a mangiare
carne anche il venerdì come tanti turchi. Per giunta le braccia
rimaste a casa non bastavano più al governo della barca, e alle
volte bisognava prendere a giornata Menico della Locca, o
qualchedun altro. Il re faceva così, che i ragazzi se li pigliava
per la leva quando erano atti a buscarsi il pane; ma sinché erano
di peso alla famiglia, avevano a tirarli su per soldati; e
bisognava pensare ancora che la Mena entrava nei diciassett’anni, e
cominciava a far voltare i giovanotti quando andava a messa.
«L’uomo è il fuoco, e la donna è la stoppa: viene il diavolo e
soffia.» Perciò si doveva aiutarsi colle mani e coi piedi per
mandare avanti quella barca della casa del nespolo. Padron ’Ntoni
adunque, per menare avanti la barca, aveva combinato con lo zio
Crocifisso Campana di legno un negozio di certi lupini da comprare
a credenza per venderli a Riposto, dove compare Cinghialenta aveva
detto che c’era un bastimento di Trieste a pigliar carico.
Veramente i lupini erano un po’ avariati; ma non ce n’erano altri a
Trezza, e quel furbaccio di Campana di legno sapeva pure che la
Provvidenza se la mangiavano inutilmente il sole e l’acqua, dov’era
ammarrata sotto il lavatoio, senza far nulla; perciò si ostinava a
fare il minchione. - Eh? non vi conviene? lasciateli! Ma un
centesimo di meno non posso, in coscienza! che l’anima ho da darla
a Dio! - e dimenava il capo che pareva una campana senza batacchio
davvero. Questo discorso avveniva sulla porta della chiesa
dell’Ognina, la prima domenica di settembre, che era stata la festa
della Madonna, con gran concorso di tutti i paesi vicini; e c’era
anche compare Agostino Piedipapera, il quale colle sue barzellette
riuscì a farli mettere d’accordo sulle due onze e dieci a salma, da
pagarsi «col violino» a tanto il mese. Allo zio Crocifisso gli
finiva sempre così, che gli facevano chinare il capo per forza,
come Peppinino, perché aveva il maledetto vizio di non saper dir di
no. - Già ! voi non sapete dir di no, quando vi conviene,
sghignazzava Piedipapera. Voi siete come le... e disse come.
Allorché la Longa seppe del negozio dei lupini, dopo cena, mentre
si chiacchierava coi gomiti sulla tovaglia, rimase a bocca aperta;
come se quella grossa somma di quarant’onze se la sentisse sullo
stomaco. Ma le donne hanno il cuore piccino, e padron ’Ntoni
dovette spiegarle che se il negozio andava bene c’era del pane per
l’inverno, e gli orecchini per Mena, e Bastiano avrebbe potuto
andare e venire in una settimana da Riposto, con Menico della
Locca. Bastiano intanto smoccolava la candela senza dir nulla .
Così fu risoluto il negozio dei lupini, e il viaggio della
Provvidenza, che era la più vecchia delle barche del villaggio, ma
aveva il nome di buon augurio. Maruzza se ne sentiva sempre il
cuore nero, ma non apriva bocca, perché non era affar suo, e si
affaccendava zitta zitta a mettere in ordine la barca e ogni cosa
pel viaggio, il pane fresco, l’orciolino coll’olio, le cipolle, il
cappotto foderato di pelle, sotto la pedagna e nella staffetta. Gli
uomini avevano avuto un gran da fare tutto il giorno, con
quell’usuraio dello zio Crocifisso, il quale aveva venduto la gatta
nel sacco, e i lupini erano avariati. Campana di legno diceva che
lui non ne sapeva nulla, come è vero Iddio! «Quel ch’è di patto non
è d’inganno»; che l’anima lui non doveva darla ai porci! e
Piedipapera schiamazzava e bestemmiava come un ossesso per metterli
d’accordo, giurando e spergiurando che un caso simile non gli era
capitato da che era vivo; e cacciava le mani nel mucchio dei lupini
e li mostrava a Dio e alla Madonna, chiamandoli a testimoni.
Infine, rosso, scalmanato, fuori di sé, fece una proposta
disperata, e la piantò in faccia allo zio Crocifisso
rimminchionito, e ai Malavoglia coi sacchi in mano: - LÃ ! pagateli
a Natale, invece di pagarli a tanto al mese, e ci avrete un
risparmio di un tarì a salma! La finite ora, santo diavolone! - E
cominciò a insaccare - In nome di Dio, e uno! La Provvidenza partì
il sabato verso sera, e doveva esser suonata l’avemaria, sebbene la
campana non si fosse udita, perché mastro Cirino il sagrestano era
andato a portare un paio di stivaletti nuovi a don Silvestro il
segretario; in quell’ora le ragazze facevano come uno stormo di
passere intorno alla fontana, e la stella della sera era già bella
e lucente, che pareva una lanterna appesa all’antenna della
Provvidenza. Maruzza colla bambina in collo se ne stava sulla riva,
senza dir nulla, intanto che suo marito sbrogliava la vela, e la
Provvidenza si dondolava sulle onde rotte dai fariglioni come
un’anitroccola. - «Scirocco chiaro e tramontana scura, mettiti in
mare senza paura,» diceva padron ’Ntoni dalla riva, guardando verso
la montagna tutta nera di nubi. Menico della Locca, il quale era
nella Provvidenza con Bastianazzo, gridava qualche cosa che il mare
si mangiò. - Dice che i denari potete mandarli a sua madre, la
Locca, perché suo fratello è senza lavoro; aggiunse Bastianazzo, e
questa fu l’ultima sua parola che si udì.
Capitolo 2
Per tutto il paese non si parlava d’altro che del negozio dei lupini, e come la Longa se ne tornava a casa colla Lia in collo, le comari si affacciavano sull’Uscio per vederla passare.
- Un affar d’oro! - vociava Piedipapera, arrancando colla gamba storta dietro a padron ’Ntoni, il quale era andato a sedersi sugli scalini della chiesa, accanto a padron Fortunato Cipolla, e al fratello di Menico della Locca che stavano a prendere il fresco. - Lo zio Crocifisso strillava come se gli strappassero le penne mastre, ma non bisogna badarci, perché delle penne ne ha molte, il vecchio. - Eh! s’è lavorato! potete dirlo anche voi, padron ’Ntoni! - ma per padron ’Ntoni ei si sarebbe buttato dall’alto del fariglione, com’è vero iddio! e a lui lo zio Crocifisso gli dava retta, perché egli era il mestolo della pentola, una pentola grossa, in cui bollivano più di duecento onze all’anno! Campana di legno non sapeva soffiarsi il naso senza di lui.
Il figlio della Locca, udendo parlare delle ricchezze dello zio Crocifisso, il quale a lui gli era zio davvero perché era fratello della Locca, si sentiva gonfiare in petto una gran tenerezza pel parentado.
- Noi siamo parenti, ripeteva. Quando vado a giornata da lui mi dà mezza paga, e senza vino, perché siamo parenti.
Piedipapera sghignazzava.
- Lo fa per tuo bene, per non farti ubbriacare, e lasciarti più ricco quando creperà .
Compare Piedipapera si divertiva a sparlare di questo e di quello, come capitava, ma così di cuore, e senza malizia, che non c’era verso di pigliarsela in criminale. - Massaro Filippo è passato due volte dinanzi all’osteria, diceva pure, aspetta che la Santuzza gli faccia segno di andarla a raggiungere nella stalla, per dirsi insieme il santo rosario. Oppure al figlio della Locca:
- Tuo zio Crocifisso cerca di rubarle la chiusa, a tua cugina la Vespa; vuol pagargliela la metà di quel che vale, col darle ad intendere che la sposerà . Ma se la Vespa riesce a farsi rubare qualche cos’altro, potrai pulirti la bocca della speranza dell’eredità , e ci perdi i soldi e il vino che non ti ha dato.
Allora si misero a quistionare, perché padron ’Ntoni sosteneva che lo zio Crocifisso alla fin fine era cristiano, e non aveva dato ai cani il suo giudizio, per andare a sposare la figliuola di suo fratello.
- Come c’entra il cristiano e il turco? ribatteva Piedipapera. È un pazzo, volete dire. Lui è ricco come un maiale, mentre la Vespa non possiede altro che quella chiusa grande quanto un fazzoletto da naso.
- Lo dite a me che ci ho a limite la vigna, padron Cipolla gonfiandosi come un tacchino.
- Li chiamate vigna quei quattro fichidindia? rispose Piedipapera.
- In mezzo ai fichidindia ci sono le viti, e se San Francesco ci manderà una buona pioggia, lo vedrete poi che mosto darà . Il sole oggi si coricò insaccato - acqua o vento.
- «Quando il sole si corica insaccato si aspetta il vento di ponente», aggiunse padron ’Ntoni.
Piedipapera non poteva soffrire quello sputasentenze di padron Cipolla, il quale perché era ricco si credeva di sapere tutto lui, e di dar a bere le corbellerie a chi non aveva denari.
- Chi la vuol cotta e chi la vuol cruda, conchiuse. Padron Cipolla aspetta l’acqua per la sua vigna, e voi il ponente in poppa alla Provvidenza. Lo sapete il proverbio «Mare crespo, vento fresco». Stasera le stelle sono lucenti, e a mezzanotte cambierà il vento; sentite la buffata? Sulla strada si udivano passare lentamente dei carri.
- Notte e giorno c’è sempre gente che va attorno per il mondo, osservò poi compare Cipolla.
E adesso che non si vedeva più né mare né campagna, sembrava che non ci fosse al mondo altro che Trezza, e ognuno pensava dove potevano andare quei carri a quell’ora.
- Prima di mezzanotte la Provvidenza avrà girato il Capo dei Mulini, disse padron ’Ntoni, e il vento fresco non le darà più noia. Padron ’Ntoni non pensava ad altro che alla Provvidenza, e quando non parlava delle cose sue non diceva nulla, e alla conversazione ci stava come un manico di scopa.
- Voi dovreste andare a mettervi con quelli della spezieria, che discorrono del re e del papa; gli diceva perciò Piedipapera. Colà ci fareste bella figura anche voi! Li sentite come gridano?
- Questo è don Giammaria, disse il figlio della Locca, che litiga collo speziale.
Lo speziale teneva conversazione sull’uscio della bottega, al fresco, col vicario e qualchedun altro. Come sapeva di lettere leggeva la gazzetta, e la faceva leggere agli altri, e ci aveva anche la Storia della Rivoluzione francese, che se la teneva là , a portata di mano, sotto il mortaio di cristallo, perciò quistionavano tutto il giorno con don Giammaria, il vicario, per passare il tempo, e ci pigliavano delle malattie dalla bile; ma non avrebbero potuto stare un giorno senza vedersi. Il sabato poi, quando arrivava il giornale, don Franco spingevasi sino ad accendere mezz’ora, ed anche un’ora di candela, a rischio di farsi sgridare dalla moglie, onde spiattellare le sue idee, e non andare a letto a mo’ dei bruti, come compare Cipolla, o compare Malavoglia. L’estate poi non c’era neppur bisogno della candela, giacché si poteva star sull’uscio, sotto il lampione, quando mastro Cirino l’accendeva, e qualche volta veniva don Michele, il brigadiere delle guardie doganali; e anche don Silvestro, il segretario comunale, tornando dalla vigna si fermava un momento. A...
Table of contents
- Copertina
- I Malavoglia
- Indice dei contenuti
- Prefazione
- Capitolo 1
- Capitolo 2
- Capitolo 3
- Capitolo 4
- Capitolo 5
- Capitolo 6
- Capitolo 7
- Capitolo 8
- Capitolo 9
- Capitolo 10
- Capitolo 11
- Capitolo 12
- Capitolo 13
- Capitolo 14
- Capitolo 15