Pel cielo, spinte da un vento irresistibile, correvano come
cavalli sbrigliati, e mescolandosi confusamente, nere masse di
vapori, le quali, di quando in quando, lasciavano cadere sulle cupe
foreste dell’isola furiosi acquazzoni; sul mare, pure sollevato dal
vento, s’urtavano disordinatamente e s’infrangevano furiosamente
enormi ondate, confondendo i loro muggiti cogli scoppi ora brevi e
secchi ed ora interminabili delle folgori.
Né dalle capanne allineate in fondo alla baia dell’isola, né
sulle fortificazioni che le difendevano, né sui numerosi navigli
ancorati al di là delle scogliere, né sotto i boschi, né sulla
tumultuosa superficie del mare, si scorgeva alcun lume; chi però,
venendo da oriente, avesse guardato in alto, avrebbe scorto sulla
cima di un’altissima rupe, tagliata a picco sul mare, brillare due
punti luminosi, due finestre vivamente illuminate.
Chi mai vegliava in quell’ora e con simile bufera, nell’isola
dei sanguinari pirati?
Tra un labirinto di trincee sfondate, di terrapieni cadenti, di
stecconati divelti, di gabbioni sventrati, presso i quali
scorgevansi ancora armi infrante e ossa umane, una vasta e solida
capanna s’innalzava, adorna sulla cima di una grande bandiera
rossa, con nel mezzo una testa di tigre.
Una stanza di quell’abitazione è illuminata, le pareti sono
coperte di pesanti tessuti rossi, di velluti e di broccati di gran
pregio, ma qua e là sgualciti, strappati e macchiati, e il
pavimento scompare sotto un alto strato di tappeti di Persia,
sfolgoranti d’oro, ma anche questi lacerati e imbrattati.
Nel mezzo sta un tavolo d’ebano, intarsiato di madreperla e
adorno di fregi d’argento, carico di bottiglie e di bicchieri del
più raro cristallo; negli angoli si rizzano grandi scaffali in
parte rovinati, zeppi di vasi riboccanti di braccialetti d’oro, di
orecchini, di anelli, di medaglioni, di preziosi arredi sacri,
contorti o schiacciati, di perle provenienti senza dubbio dalle
famose peschiere di Ceylan, di smeraldi, di rubini e di diamanti
che scintillano come tanti soli, sotto i riflessi di una lampada
dorata sospesa al soffitto.
In un canto sta un divano turco colle frange qua e là strappate;
in un altro un armonium di ebano colla tastiera sfregiata e
all’ingiro, in una confusione indescrivibile, stanno sparsi tappeti
arrotolati, splendide vesti, quadri dovuti forse a celebri
pennelli, lampade rovesciate, bottiglie ritte o capovolte,
bicchieri interi o infranti e poi carabine indiane rabescate,
tromboni di Spagna, sciabole, scimitarre, accette, pugnali,
pistole.
In quella stanza così stranamente arredata, un uomo sta seduto
su una poltrona zoppicante: è di statura alta, slanciata, dalla
muscolatura potente, dai lineamenti energici, maschi, fieri e d’una
bellezza strana.
Lunghi capelli gli cadono sugli omeri: una barba nerissima gli
incornicia il volto leggermente abbronzato.
Ha la fronte ampia, ombreggiata da due stupende sopracciglia
dall’ardita arcata, una bocca piccola che mostra dei denti
acuminati come quelli delle fiere e scintillanti come perle; due
occhi nerissimi, d’un fulgore che affascina, che brucia, che fa
chinare qualsiasi altro sguardo.
Era seduto da alcuni minuti, collo sguardo fisso sulla lampada,
colle mani chiuse nervosamente attorno alla ricca scimitarra, che
gli pendeva da una larga fascia di seta rossa, stretta attorno ad
una casacca di velluto azzurro a fregi d’oro. Uno scroscio
formidabile, che scosse la gran capanna fino alle fondamenta, lo
strappò bruscamente da quella immobilità . Si gettò indietro i
lunghi e inanellati capelli, si assicurò sul capo il turbante
adorno di uno splendido diamante, grosso quanto una noce, e si alzò
di scatto, gettando all’intorno uno sguardo nel quale leggevasi un
non so che di tetro e di minaccioso.
- È mezzanotte - mormorò egli. - Mezzanotte e non è ancora
tornato!
Vuotò lentamente un bicchiere pieno di un liquido color
dell’ambra, poi aprì la porta, s’inoltrò con passo fermo fra le
trincee che difendevano la capanna e si fermò sull’orlo della gran
rupe, alla cui base ruggiva furiosamente il mare. Stette là alcuni
minuti colle braccia incrociate, fermo come la rupe che lo reggeva,
aspirando con voluttà i tremendi soffi della tempesta e spingendo
lo sguardo sullo sconvolto mare, poi si ritirò lentamente, rientrò
nella capanna e si arrestò dinanzi all'
armonium.
- Quale contrasto! - esclamò. - Al di fuori l’uragano e qua io!
Quale il più tremendo?
Fece scorrere le dita sulla tastiera, traendo dei suoni
rapidissimi e che avevano qualche cosa di strano, di selvaggio e
che poi rallentò, finché si spensero fra gli scrosci delle folgori
ed i fischi del vento.
Ad un tratto volse vivamente il capo verso la porta lasciata
semiaperta. Stette un momento in ascolto, curvo innanzi, cogli
orecchie tesi, poi uscì rapidamente, spingendosi fino sull’orlo
della rupe.
Al rapido chiarore di un lampo vide un piccolo legno, colle vele
quasi ammainate, entrare nella baia e confondersi in mezzo ai
navigli ancorati. Il nostro uomo accostò alle labbra un fischietto
d’oro e mandò tre note stridenti; un fischio acuto vi rispose un
momento dopo.
- È lui! - mormorò con viva emozione. - Era tempo!
Cinque minuti dopo un essere umano, avvolto in un ampio mantello
grondante d’acqua, si presentava dinanzi alla capanna.
- Yanez! - esclamò l’uomo dal turbante, gettandogli le braccia
al collo.
- Sandokan! - rispose il nuovo venuto, con un accento straniero
marcatissimo. - Brr! Che notte d’inferno, fratellino mio.
- Vieni!
Attraversarono rapidamente le trincee ed entrarono nella stanza
illuminata, chiudendo la porta.
Sandokan riempì due bicchieri e porgendone uno allo straniero
che si era sbarazzato del mantello e della carabina che portava ad
armacollo, gli disse, con accento quasi affettuoso:
- Bevi, mio buon Yanez.
- Alla tua salute, Sandokan.
- Alla tua.
Vuotarono i bicchieri e si assisero dinanzi al tavolo.
Il nuovo arrivato era un uomo sui trentatré o trentaquattro
anni, cioè un po’ più anziano del compagno. Era di media statura,
robustissimo, dalla pelle bianchissima, i lineamenti regolari, gli
occhi grigi, astuti, le labbra beffarde, e sottili, indizio di una
ferrea volontà . A prima vista si capiva che era un europeo non
solo, ma che doveva appartenere a qualche razza meridionale.
- Ebbene, Yanez, - chiese Sandokan, con una certa emozione, -
hai veduta la fanciulla dai capelli d’oro?
- No, ma so quanto volevi sapere.
- Non sei andato a Labuan?
- Sì, ma capirai che su quelle coste guardate dagli incrociatori
inglesi, riesce difficile lo sbarco a gente della nostra
specie.
- Parlami di questa fanciulla. Chi è?
- Ti dirò che è una creatura meravigliosamente bella, tanto
bella da essere capace di stregare il più formidabile pirata.
- Ah! - esclamò Sandokan.
- Mi dissero che ha i capelli biondi come l’oro, gli occhi più
azzurri del mare, le carni bianche come l’alabastro. So che Alamba,
uno dei nostri più feroci pirati, la vide una sera passeggiare
sotto i boschi dell’isola e che fu tanto colpito da quella bellezza
da fermare la sua nave per meglio contemplarla, a rischio di farsi
massacrare dagli incrociatori inglesi.
- Ma a chi appartiene?
- Da alcuni si dice che sia figlia di un colono, da altri di un
lord, da altri ancora che sia nientemeno che parente del
governatore di Labuan.
- Strana creatura - mormorò Sandokan, comprimendosi colle mani
la fronte.
- E così?… - chiese Yanez.
Il pirata non rispose. Si era bruscamente alzato in preda ad una
viva emozione e si era portato dinanzi all'
armonium,
facendo scorrere le dita sui tasti.
Yanez si limitò a sorridere e, staccata da un chiodo una vecchia
mandola, si mise a pizzicarne le corde, dicendo:
- Sta bene! Facciamo un po’ di musica.
Aveva però appena cominciato a suonare un’arietta portoghese,
allorquando vide Sandokan avvicinarsi bruscamente al tavolo,
puntandovi sopra le mani con tale violenza da farlo piegare.
Non era più lo stesso uomo di prima: la sua fronte era
burrascosamente aggrottata, i suoi occhi mandavano cupi lampi, le
sue labbra, ritiratesi, mostravano i denti convulsamente stretti,
le sue membra fremevano. In quel momento egli era il formidabile
capo dei feroci pirati di Mompracem, era l’uomo che da dieci anni
insanguinava le coste della Malesia, l’uomo che per ogni dove aveva
dato terribili battaglie, l’uomo la cui straordinaria audacia,
l’indomito coraggio gli avevano valso il nomignolo di Tigre della
Malesia.
- Yanez! - esclamò egli con un tono di voce, che più nulla aveva
d’umano. - Che cosa fanno gl’inglesi a Labuan?
- Si fortificano - rispose tranquillamente l’europeo.
- Forse che tramano qualche cosa contro di me?
- Lo credo.
- Ah! Tu lo credi? Che osino alzare un dito contro la mia
Mompracem! Di’ a loro che si provino a sfidare i pirati nei loro
covi! La Tigre li distruggerà fino all’ultimo e berrà tutto il loro
sangue. Dimmi, che cosa dicono di me?
- Che è ora di finirla con un pirata così audace.
- E mi odiano molto?
- Tanto che s’accontenterebbero di perdere tutte le loro navi,
pur di appiccarti.
- Ah!
- Dubiti forse? Fratellino mio, sono molti anni che tu ne
commetti una peggiore dell’altra. Tutte le coste portano le tracce
delle tue scorrerie; tutti i villaggi e tutte le città sono state
da te assalite e saccheggiate; tutti i forti olandesi, spagnoli e
inglesi hanno ricevuto le tue palle e il fondo del mare è irto di
navi da te mandate a picco.
- È vero, ma di chi la colpa? Forse che gli uomini di razza
bianca non sono stati inesorabili con me? Forse che non mi hanno
detronizzato col pretesto che io diventavo troppo potente? Forse
che non hanno assassinato mia madre, i miei fratelli e le mie
sorelle, per distruggere la mia discendenza? Quale male avevo io
fatto a costoro? La razza bianca non aveva mai avuto da dolersi di
me, eppure mi volle schiacciare. Ora io li odio, siano spagnoli, od
olandesi, o inglesi o portoghesi tuoi compatrioti, io li esecro e
mi vendicherò terribilmente di loro, l’ho giurato sui cadaveri
della mia famiglia e manterrò il giuramento!
«Se sono però stato spietato coi miei nemici, qualche voce spero
si alzerà per dire che talvolta sono stato generoso.»
- Non una, bensì cento, mille voci possono ben dire che tu sei
stato coi deboli perfin troppo generoso - disse Yanez. - Possono
dirlo tutte quelle donne cadute in tuo potere che tu hai condotte,
a rischio di farti colare a picco dagli incrociatori, nei porti
degli uomini bianchi; possono dirlo le deboli tribù che tu hai
difeso contro le razzie dei prepotenti, i poveri marinai privati
dei loro legni dalle tempeste e che tu hai salvati dalle onde e
coperti di regali, e cento, e mille altri che ricorderanno sempre i
tuoi benefici, o Sandokan.
«Ma dimmi ora, fratellino mio, che cosa vuoi concludere?»
La Tigre della Malesia non rispose. Si era messo a passeggiare
per la stanza colle braccia incrociate e la testa china sul petto.
A che pensava quel formidabile uomo? Il portoghese Yanez,
quantunque lo conoscesse da lungo tempo, non sapeva
indovinarlo.
- Sandokan, - disse dopo qualche minuto, - a che cosa pensi?
La Tigre si fermò guardandolo fisso, ma ancora non rispose.
- Hai qualche pensiero che ti tormenta? - riprese Yanez. - Toh!
Si direbbe che ti crucci perché gl’inglesi ti odiano molto.
Anche questa volta il pirata stette zitto.
Il portoghese si alzò, accese una sigaretta e si diresse verso
una porta nascosta dalla tappezzeria, dicendo:
- Buona notte, fratellino mio.
Sandokan a quelle parole si scosse e, fermando con un gesto il
portoghese, disse:
- Una parola, Yanez.
- Parla adunque.
- Sai che voglio andare a Labuan?
- Tu!… A Labuan!…
- Perché tanta sorpresa?
- Perché tu sei troppo audace e commetteresti qualche pazzia nel
covo del tuoi più accaniti nemici.
Sandokan lo guardò con due occhi che mandavano fiamme ed emise
una specie di sordo ruggito.
- Fratello mio, - riprese il portoghese, - non tentare troppo la
fortuna. Sta’ in guardia! L’affamata Inghilterra ha messo gli occhi
sulla nostra Mompracem e forse non aspetta che la tua morte per
gettarsi sui tuoi tigrotti e distruggerli. Sta’ in guardia, poiché
ho veduto un incrociatore irto di cannoni e zeppo d’armati ronzare
nelle nostre acque, e quello là è un leone che altro non attende
che una preda.
- Ma incontrerà la Tigre! - esclamò Sandokan, stringendo i pugni
e fremendo dai piedi al capo.
- Sì, la incontrerà e forse nella pugna soccomberà , ma il suo
grido di morte giungerà fino sulle coste di Labuan ed altri
muoveranno contro di te. Morranno molti leoni, poiché tu sei forte
e tremendo, ma morrà anche la Tigre!
- Io!…
Sandokan aveva fatto un salto innanzi, colle braccia contratte
pel furore, gli occhi fiammeggianti, le mani raggrinzate come se
stringessero delle armi. Fu però un lampo: si sedette dinanzi al
tavolo, tracannò d’un sol fiato una tazza rimasta piena e disse con
voce perfettamente calma:
- Hai ragione, Yanez; tuttavia io andrò domani a Labuan. Una
forza irresistibile mi spinge verso quelle spiagge, e una voce mi
sussurra che io devo vedere la fanciulla dai capelli d’oro, che io
devo…
- Sandokan!…
- Silenzio fratellino mio: andiamo a dormire.
