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La rivincita di Yanez di Emilio Salgari in ebook
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La rivincita di Yanez
opera completa di Emilio Salgari in versione integrale
lettura agevolata in formato ebook
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Information
Capitolo XIX - Sindhia alla riscossa
— Un altro parlamentario! Dategli una fucilata prima che venga a portarci il colera, — gridò Sandokan, il quale vegliava giorno e notte sulle trincee improvvisate con grossi tronchi d’albero.
— Aspetta un po’ — disse Yanez alzandosi. — Potrebbe essere Kiltar, e non vorrei ammazzare quel bramino che ci ha resi tanti favori.
— Infatti mi pare che sia proprio lui — disse Tremal-Naik, il quale fumava placidamente la sua pipa sdraiato su un folto strato di foglie fresche.
— È inutile che venga qui ancora — disse la Tigre. — Rimanga in mezzo ai microbi.
— Sindhia avrà qualche notizia importante da comunicarci — disse il Maharajah .
— La solita, fratellino: arrendetevi o vi stermineremo tutti!
— E consegnate prima di tutto i tesori della corona! — aggiunse Tremal-Naik. — Quel furfante ci tiene a spogliare la rhani dei suoi gioielli.
— Dev’essere a corto di denaro — disse Yanez. — Ventimila uomini costano, quantunque i paria ed i fakiri si accontentino di un po’ di riso con qualche pezzo di pesce secco e poca frutta. Orsú, lasciamolo entrare.
— È la quarta volta che viene, Yanez, — disse Sandokan, il quale pareva di assai cattivo umore. — Sarebbe ora che grattasse i piedi al rajah.
— Se è il suo primo ministro!...
— Un ministro malfermo in gambe. Io non vorrei trovarmi al suo posto. Vedrai che un giorno o l’altro quel pazzo di Sindhia lo farà schiacciare da qualcuno dei suoi elefanti.
— Cioè dei miei — corresse Yanez. — Andiamo a vedere. Intanto il nostro famoso medico prenda le precauzioni necessarie, onde il colera non scoppi anche fra noi.
Dayachi, malesi, sikkari e maout, vedendo i tre capi avanzarsi verso l’ultimo sperone della collina, si erano prontamente raggruppati collocando le mitragliatrici, temendo sempre qualche sorpresa da parte di quei ventimila disperati, se pure erano ancora ventimila.
Kiltar, il bramino a cui un giorno Yanez aveva donata la vita mentre era già stato attaccato alla bocca d’un cannone, saliva lentamente la costa della collina, tenendo in mano una lancia sulla quale pendeva una bandiera piú o meno bianca.
Era solo; ma a mille passi di distanza tre o quattrocento rajaputi si erano schierati nella pianura, dinanzi ai vasti accampamenti del rajah, pronti a proteggerlo.
— Che nuove dunque, signor ministro del rajah dell’Assam? — gridò Yanez con voce ironica, facendo cenno al parlamentario di fermarsi. — Possiamo parlare anche a cinquanta metri di distanza. I microbi non faranno cosà lunghi salti: noi non vogliamo saperne del colera.
— Mi manda il mio padrone — rispose il bramino fermandosi presso una roccia e piantando la bandiera.
— Mi porti delle sigarette? Sai che non ne ho piú e che sono furibondo?
— Non abbiamo che del pessimo tabacco del Mysore, Altezza, — rispose il bramino. — Tutto quello che avevamo lo ha consumato il rajah.
— Il rajah! Alto là , amico! Rajah di che cosa? Del Bengala forse, o del Guzerate, o del Coromondal?
— Dell’Assam, dice lui.
— Ah, dice lui! Non siamo ancora vinti, e la rhani coi montanari di Sadhja non tarderà a giungere e rovescerà sui campi di Sindhia migliaia e migliaia di cavalieri agguerriti.
— Venivo appunto a dirti, Altezza, che i soccorsi stanno per giungerti. Noi siamo stati informati che la rhani, tua moglie, marcia a gran furia sulla capitale.
— La mia capitale! — gridò Yanez, rompendo in una fragorosa risata. — Bisognerà rifarla da cima a fondo.
— Quando tu avrai riconquistato nuovamente l’impero, Altezza, farai fabbricare palazzi piú grandiosi di prima. Il denaro non manca di certo alla rhani e nemmeno a te.
— Ebbene, che cosa vuoi? La Tigre della Malesia aveva già dato l’ordine di fucilarti.
— Io vengo come parlamentario e come parlamentario amico.
— Sia pure, ma resta lontano. Il colera ci ha finora risparmiati e non desideriamo prenderlo ora, proprio nel momento della suprema lotta. Cadono i guerrieri di Sindhia?
— Ne sono scomparsi almeno cinquemila in pochi giorni.
— E Sindhia?
— Gode ottima salute e non dispera di riprendersi l’Assam ed anche la bella rhani per soprammercato.
— Prendersi mia moglie? — urlò il portoghese con voce rauca.
— Ed anche tuo figlio cercherà di rapirti.
— Ah, brigante! Cosà forte si crede ancora? Quell’uomo è pazzo e finirà la sua vita in un manicomio. Si ubriaca sempre?
— Sempre, per preservarsi dal colera, dice lui.
— Ebbene, che cosa vuoi?
— Il mio padrone vorrebbe fare la pace con te a condizione che tu lasci a lui tutto l’Assam occidentale.
— Che è il piú ricco e il piú popolato.
— E conservi alla rhani le montagne di Sadhja.
— Ah, ah! — esclamò Yanez. — Quell’uomo è assolutamente straordinario. Si crede un Timur od un Tippo Saib.
— Non so che cosa dire, Altezza, — disse il bramino il quale rimaneva sempre allo stesso posto, sorvegliato da una dozzina di rajaputi. — Questa è la sua ultima proposta che ti fa.
— E mi lascerà la rhani?
— Certamente, se tu accetterai.
— E mi rapirà mio figlio?
— Ne ha avuta l’intenzione, ma credo che si sia raffreddato vista l’impossibilità dell’impresa. È fra i montanari tuo figlio; è vero?
— E ben al sicuro — rispose Yanez. — Non saranno i paria, né i fakiri di Sindhia che andranno a cacciarsi in mezzo a quelle gole per tentare una simile impresa.
— Lo credo anch’io — disse Kiltar. — E poi col colera che infuria sempre piú!... Non potresti, Altezza, mandarci il tobib bianco?
— Il mio medico è ammalato perché non ha piú sigarette.
— Fumi la pipa.
— Non gli piace. Allora, amico, puoi tornare dal tuo padrone per avvertirlo che fra poco lo spazzeremo via insieme con le sue orde.
— Ha qualche migliaio di rajaputi ed una ventina di elefanti.
— I montanari di Sadhja non hanno mai avuto paura di quei barbuti guerrieri.
— Sicché, Altezza?...
— Ho detto.
— Non accetti?
— Non sarò cosà stupido.
— Bada che il rajah farà un altro supremo tentativo per prenderti.
— E noi siamo qui ad aspettarlo — disse Sandokan, il quale fin allora era rimasto silenzioso.
— Contate sui montanari. Noi sappiamo che si avvicinano a grandi tappe e che sono moltissimi. Se giungono in tempo, risparmiate almeno la mia testa.
— Tu sei nostro amico — disse Yanez, — e saprò anzi ricompensarti quando questa guerra sarà finita.
— Addio, Maharajah ! Che Brahma, Siva e Visnú veglino su di te.
Spiantò la lancia, fece ondeggiare la bandiera, poi se ne andò scendendo lentamente l’ultimo sprone della collina, che declinava verso la distrutta capitale ed i campi del rajah.
— Che cosa dici tu, Sandokan? — chiese Yanez alla Tigre della Malesia.
— Che tu riconquisterai l’Assam — rispose il famoso pirata. — Se i montanari si sono già mossi e si avanzano velocissimi, noi metteremo un’ altra volta a posto quell’ostinato che vuole carpire la corona a tua moglie.
— Potremo resistere?
— Sono sette giorni che combattiamo e nessuno di quei predoni è ancora riuscito a mettere i piedi su questa collina. Hanno troppa paura delle mitragliatrici.
— Ma sono ancora in molti, ed hanno elefanti ed anche dei cannoni.
— Dei quali non sanno nemmeno servirsi — disse Tremal-Naik, il quale terminava la sua pipata, seduto su un grosso tronco d’albero, che serviva da trincea.
— Vorrei che Khampur fosse già qui — disse Yanez. — Mi sentirei piú tranquillo. Vedrai che stanotte il rajah tenterà un altro colpo disperato per prenderci tutti.
— Se riuscirà a prenderci! — disse Sandokan. — Di quei guerrieri non dobbiamo aver piú paura.
— Eppure hai veduto che per tre volte sono montati all’assalto con gran coraggio.
— Per scappare dopo come sciacalli ai primi colpi delle mitragliatrici. Non siamo che in cento, e non abbiamo perduto finora che sei uomini, mentre il rajah ha cinquemila cadaveri nei suoi campi. Tuttavia prendiamo le nostre precauzioni. Non ci lasciamo sorprendere.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Da quando Yanez, Sandokan, Tremal-Naik coi loro valorosi dayaki e malesi avevano lasciate le grandi cloache per rifugiarsi su quella collina isolata, che sorgeva proprio di fronte alle rovine della capitale, i combattimenti si erano seguiti ora di giorno ed ora di notte, ma le malferme bande del rajah non erano mai riuscite a spuntarla.
Avevano lasciato lungo gli sproni dell’altura centinaia di uomini, fulminati dalle mitragliatrici e dal fuoco serrato delle carabine, e ora immense turbe di marabú e di aiutanti li stavano spolpando.
Il rajah si era provato a mettere in batteria una mezza dozzina di vecchi cannoni, ma i rajaputi, i soli che avrebbero saputo servirsene, erano stati pei primi colpiti dal colera, e dopo pochi colpi, senza nessun risultato, le grosse bocche erano tornate mute, poiché ne i paria, né i fakiri, né i bramini s’intendevano di quelle armi cosà grosse.
Era molto se sapevano adoperare le carabine e spararle come coscritti.
Nondimeno Sindhia non si era perduto di coraggio, ed aveva spinte colonne su colonne verso la collina, ormai completamente difesa da grossi alberi e da grosse stecconate che i pirati si erano affrettati ad abbattere.
Tutti gli sforzi del pazzo erano stati quindi assolutamente nulli e ci aveva rimesso ogni notte un bel numero di disgraziati paria e di fakiri, decimati crudelmente dal fuoco regolare delle tigri della Malesia e dalle mitragliatrici.
Durante quei sette giorni d’assedio il valoroso drappello non aveva sofferto né la fame né la sete, poiché i cavalli abbondavano e vi erano ancora degli elefanti. Chi per primo si era lamentato della lunghezza della guerra era stato il Maharajah , perché era rimasto senza sigarette e non sapeva adattarsi alla pipa.
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Sandokan ed i suoi amici seguirono cogli sguardi il bramino che aveva sempre dato loro preziose informazioni, poi quando lo videro scomparire sotto l’altissima tenda di seta rossa del rajah, si ripiegarono verso le trincee facendo mettere in batteria le mitragliatrici.
Erano sicurissimi di non passare la notte tranquilla e si preparavano animosamente all’ultima prova in attesa dei montanari di Khampur:
— La tua corona dipende forse da questa notte — disse Sandokan a Yanez, il quale continuava a frugarsi le tasche, sempre colla speranza di scoprire una sigaretta.
— Lo temo anch’io; eppure non sono affatto spaventato. Quei banditi pidocchiosi non possono resistere cinque minuti al fuoco serrato. Ma che Sindhia tenti un gran colpo, ne sono sicurissimo.
— E forse Khampur non è lontano!
— E con lui ci sarà pure, spero, Kammamuri — disse il vecchio cacciatore della Jungla nera.
— È un furbo che non si fa prendere facilmente — disse Yanez. — Vale cinque uomini.
— E se lo avessero ucciso? Tu sai che il rajah ha mandato dei cavalieri ad inseguire i nostri amici che si recavano verso le montagne.
— Ha con sé il gigantesco rajaputo, un altro uomo che ne vale dieci per forza, e poi Timul.
— Tuttavia non sono tranquillo, Yanez, — disse Tremal-Naik, la cui fronte si era oscurata.
In quel momento il cacciatore di topi, innalzato alla carica di gran cuoco, si avvicinò ai tre capi annunciando loro che la cena era pronta.
Aveva fatto abbattere un elefante che stava per morire di fame, non essendovi piú foglie né erbe sulla collina, e ne aveva cucinato gli zamponi e la tromba. Il medico olandese aveva preso parte allo squartamento del gigantesco animale, essendo anche un terribile chirurgo.
— Che i sahibs mi seguano — disse il cacciatore di topi. — Il sole sta per tramontare, e i bocconi scelti del pachiderma sono fumanti. Ah, che profumo!
Per i capi, in mezzo alle trincee improvvisate, era stata innalzata una spaziosa capanna ben riparata da ammassi di vecchie foglie, che ormai i cavalli e gli elefanti non mangiavano piú.
Dinanzi alla porta quattro dayaki , sotto la sorveglianza del medico olandese, avevano già levato dai forni improvvisati i pezzi migliori del bestione, e li avevano deposti sulle ultime foglie di banano, che erano riusciti ancora a scoprire nei dintorni della collina.
Un profumo squisito si espandeva intorno alla casa, che parecchi malesi guardavano colle carabine a bandoliera, temendo sempre qualche brutta sorpresa da parte dei paria, i quali si erano spinti piú volte fin lassú per tentare di distruggere le trincee.
Malgrado le loro preoccupazioni, Yanez ed i suoi compagni fecero onore ad un pezzo di proboscide, lasciando agli altri i mostruosi piedi, bocconi altrettanto eccellenti, innaffiando la cena colla loro ultima bottiglia di whisky, che il medico olandese aveva serbata per le grandi occasioni.
Sandokan e Tremal-Naik avevano accese le loro pipe, mentre Yanez per la centesima volta si frugava le tasche, sempre colla speranza di trovarci qualche sigaretta, quando Sambigliong, il vecchio capo dei malesi, entrò dicendo:
— Si vede nelle pianure d’oriente un fuoco che arde e non pare si espanda. Si direbbe che è un faro.
— Dei fari nel mio Stato non ve ne sono mai stati — disse Yanez. — Delle torri e delle pagode, finché vuoi: se ne trovano anche in mezzo alle piú selvagge jungle.
— Che sia qualche segnale? — disse Sandokan. — Andiamo a vedere, Yanez. Io non sono affatto tranquillo ora.
— Un segnale fatto da chi? Ad oriente non vi devono essere guerrieri di Sindhia.
— Se fossero i montanari di Khampur...
— Vedremo — rispose Yanez con un sospiro. — Il fatto è che noi passeremo certamente una pessima notte e che dovremo difenderci peggio delle tigri.
— Tu non hai pensato agli altri tre elefanti che stanno pure per morire.
— Che cosa vuoi dire, Sandokan?
— Che noi li getteremo addosso alle bande di Sindhia quando tenteranno di montare la cresta.
— Infatti io non avevo pensato a quelle povere bestie che continuano a domandare dall’alba alla sera la colazione, il pranzo e la cena con barriti che cominciano a diventare spaventevoli.
— Ed allora li sacrificheremo — disse Sandokan. — Sindhia ne ha degli altri, quelli che prese a te con l’infame tradimento di quelle canaglie di rajaputi.
— Me ne ha portati via venti.
— Lo credono un pazzo! Io invece lo credo un uomo di guerra capace di tentare tutto. Ma non farà altra strada, speriamo, se i montanari di tua moglie giungono in tempo per liberarci da questo noioso assedio.
— Il faro, torre o pagoda che sia, bruci...
Table of contents
- Copertina
- La rivincita di Yanez
- Indice dei contenuti
- Capitolo I - La colonna infernale
- Capitolo II - Il parlamentario
- Capitolo III - I bacilli del colera
- Capitolo IV - L’assedio
- Capitolo V - La ritirata
- Capitolo VI - Un brutto tiro
- Capitolo VII - Sul margine della jungla
- Capitolo VIII - La posta indiana
- Capitolo IX - La notte nella jungla
- Capitolo X - Il gurú
- Capitolo XI - In trappola
- Capitolo XII - Le furie del Rajah
- Capitolo XIII - Fra le acque e le tenebre
- Capitolo XIV - Il cavallo del bandito
- Capitolo XV - L’assalto dei coccodrilli
- Capitolo XVI - Il padrone dello stallone
- Capitolo XVII - L’assalto alla torre
- Capitolo XVIII - L’arrivo dei montanari
- Capitolo XIX - Sindhia alla riscossa
- Note