Viva la libertà. Un percorso nelle idee e nella storia del concetto di libertà
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Viva la libertà. Un percorso nelle idee e nella storia del concetto di libertà

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La parola "libertà" ha mille e più volti. Ancora oggi si ascoltano giuramenti di eterno amore nei suoi confronti e per lei si dà battaglia. L'utilizzo eccessivo rischia però di trasformarla in un vuoto riferimento retorico, destinato a una perdita di incisività. Ecco che diventa importante cercare di riscoprirne almeno i volti principali, per provare ad afferrare il suo valore profondo. Eric Cò cerca qui, grazie a testi fondamentali di grandi uomini della Storia, di indagare uno dei concetti più controversi del pensiero politico e sociale, di cui molti hanno voluto – e vogliono ancora – appropriarsi.
Un punto di partenza per liberare la propria mente, innanzitutto.

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Information

La conquista della libertà

La cosa più strana è che la gente impara presto ad amare le proprie catene e dopo un po’ comincia a credere che siano ali. Credo di sapere il perché. È una situazione di solitudine la libertà, l’indipendenza o comunque vuoi chiamare quella condizione che ti permette e ti impone di fissarti da solo le tue regole. È antiumana, in un certo senso, e ti mette nei pasticci.
John Steinbeck
Io sono fatto per combattere il crimine, non per governarlo. Non è ancor giunto il tempo in cui gli uomini onesti possono servire impunemente la patria. I difensori della libertà saranno sempre dei proscritti, finché la masnada dei furfanti dominerà.
Maximilien de Robespierre, Ouvres, x
Le parole di Rousseau ne Il contratto sociale ben ci informano sul bisogno, quando si parla di libertà, di mettersi in gioco in prima persona: “L’uomo è nato libero ma dovunque è in catene. Occorre liberarsi da queste catene per conquistare la libertà. Forse questa lotta per la conquista diventa proprio il senso della storia dell’uomo”.
Come ho già scritto più volte, la libertà deve essere guadagnata sul campo, occorre conquistarla con le proprie mani e difenderla, e ancora riconquistarla ogni giorno. Non esistono dubbi al riguardo: bisogna lottare in prima persona, senza fare deleghe, perché la libertà è un impegno e una responsabilità “privata”.
Si parla di lotta, e le lotte richiedono sempre un certo grado, anche minimo, di violenza. Ciò non deve comunque far paura: come ha chiaramente espresso Gobetti, “una nazione [...] che rinunzia per pigrizia alla lotta politica è un nazione che vale poco”[23]. In questo senso la storia non è mai stata avara, a cominciare dalla resistenza antifascista, esempio fulgido di lotta per la libertà. Ma la violenza alla quale vogliamo fare riferimento non è solo quella esteriore, implicita nel combattimento concreto che può nascere fra chi prova a distruggere la libertà degli individui. Esiste anche la violenza interiore i cui presupposti possono essere compresi illustrando la vicenda, famosissima, del grande inquisitore del romanzo I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij: in un tempo in cui ogni giorno eretici e streghe vengono arsi vivi “per la gloria di Dio”, appare Gesù, al quale l’inquisitore dimostra che il suo stesso messaggio di amore è caduto nel vuoto perché gli uomini temono la libertà; essi preferiscono obbedire, alla ricerca responsabile e autonoma della felicità preferiscono che sia colui al quale attribuiscono potere a decidere per loro e a istruirli su come devono essere felici.
A prima vista, una visione riduttiva e semplicistica dell’uomo. Ma ne siamo proprio sicuri?
Non sono pochi gli autori che ritengono che l’uomo potrebbe essere libero anche subito, se lo volesse veramente. Ma la libertà richiede uno sforzo enorme, che solo pochi individui vogliono compiere. Ecco cosa scrive Gherardo Colombo:“Chi è libero sceglie, chi non è libero non può scegliere. Ma chi è libero è responsabile della sua scelta. La responsabilità non piace, e spesso si preferisce non essere liberi pur di non essere responsabili. I bambini devono imparare e hanno bisogno dell’esempio degli altri. Gli adulti, invece, dovrebbero saper scegliere da soli. Se non lo sanno fare è perché sono rimasti bambini”[24].
Rendersi indipendenti da ciò che altri hanno decretato giusto e necessario, decidere per conto proprio ciò che si deve o non si deve fare, capire, comprendere e vivere la libertà è la sfida più bella della nostra vita. Ma è insieme immane e agghiacciante. Ne siamo all’altezza?

L’amore per la libertà

Tocqueville ritiene che la libertà è presupposto di crescita, perché “l’arbitrio di un padrone non manca mai di ritardare o di arrestare il progresso della prosperità pubblica”. Però la libertà non può essere ottenuta solo per “interesse”, essa è anche il frutto di un “maschio e nobile piacere”. Perché, prima di tutto, la libertà va amata.
L’odio, che gli uomini liberi o degni di esserlo, nutrono per il potere assoluto nasce contemporaneamente da due cose: da una idea ragionata e da un sentimento istintivo.
Hanno appreso e ritenuto che, a lungo andare, l’arbitrio di un padrone non manca mai di ritardare o di arrestare il progresso della prosperità pubblica, che crea spesso l’oppressione e sempre la guerra, e che non garantisce neppure quel benessere che porta le anime avide e le nazioni degenerate a sopportarlo. Per questa ragione, lo respingono. Ma quel che li porta ad abbandonarlo e a sottrarglisi ad ogni costo, è il gusto, in qualche modo disinteressato istintivo e involontario, dell’indipendenza, è il maschio e nobile piacere di poter parlare, agire, respirare senza costrizioni; è il gusto di sentire che non si dipende da un uomo, ma solo da Dio e dalla legge.
Le rivoluzioni, la miseria possono insegnare ai popoli più avidi e più vili quel che il dispotismo ha di inconvenienti. Ma chi dà agli uomini il gusto della libertà, se non l’hanno conosciuto o l’hanno perduto? Chi farà loro capire quei nobili piaceri, chi la farà loro amare per se stessa, se questo amore non è naturalmente nel loro cuore? E chi, ancora, potrà vantarsi di far capire loro i piaceri che essa dà, quei piaceri di cui si perde persino il ricordo, non appena se ne è perso l’uso?
Voi credete un popolo libero, volete sapere qual è l’avvenire probabile della sua libertà? Esaminate la natura del legame che lo unisce a questa... Che cosa loro manca, per essere sicuri che conserveranno la loro libertà? Che cosa? Il piacere stesso di essere liberi.
Guardate un popolo prospero e tranquillo sotto il dominio di libere istituzioni. Aumenta, si arricchisce, eccelle. Non giurate ancora che la sua indipendenza sia duratura, se sono i suoi beni materiali che lo legano ad essa; perché questi beni la libertà glieli può momentaneamente togliere, mentre il dispotismo può, per un certo tempo, procurarglieli...
L’interesse non sarà mai abbastanza costante e abbastanza visibile, da trattenere il cuore degli uomini nell’amore per la libertà, se non ve li fissa il loro sentimento...
C’è dunque un gusto ragionato e interessato per la libertà, che ha origine nella considerazione dei benefici che essa procura. E poi c’è una tendenza istintiva, irresistibile, quasi involontaria verso di lei, che nasce dalla invisibile sorgente di tutte le grandi passioni. Non dimenticatelo mai, quando ragionate. Gusto che si ritrova, è vero, in tutti gli uomini, ma che occupa il primo posto solo nel cuore di un piccolissimo numero... Sorgente comune, non solo della libertà politica, ma di tutte le maschie ed alte virtù... Si scopre che è meno la vista dei vantaggi che la libertà procura che il piacere di essere liberi, che li rende cosi fortemente attaccati ai loro diritti e li rende cosi gelosi.
[A. de Tocqueville, Frammenti e note inedite sulla Rivoluzione, in Scritti politici (a cura di N. Matteucci), vol. i, utet, Torino, 1968]

L’amore per gli uomini

Siamo nel novembre del 1942, quando in una breve nota Spinelli ragiona sul rapporto fra uomo e libertà. Il risultato è allo stesso tempo tragico e felice. L’uomo non ama istintivamente la libertà e quindi deve essere costretto con la forza a sperimentarla. Sembra un controsenso, ma non lo è del tutto, perché questa è l’unica via per innalzare l’uomo al di sopra della propria mediocrità, l’unica strada che lo può condurre a verificare i benefici della libertà, affinché ne sappia poi riconoscere autonomamente l’irrinunciabilità.
Non capisco come si possano amare gli uomini. Sono stupidi, vanitosi, permalosi. Amare il prossimo significa amarli come sono, accettare la loro stupidità, vanitosità, permalosità. Significa contribuire a mettere altre tonnellate di ottusaggine umana su quel che vi è di geniale e che si trova semisoffocato.
L’unica cosa che meriti di essere amata è il genio umano, il Deus absconditus che è forse fra questi spregevoli esseri poiché di tanto in tanto si manifesta.
Non amarlo si deve, il prossimo, ma farlo soffrire, costringendolo a vivere in modo non adeguato alla sua mediocrità in modo tale che sia reso più facile lo spuntare della pianta preziosa.
Noi vogliamo che gli uomini siano liberi. Non perché sappiano vivere liberi. Anzi manifestatamente non sanno. La novella del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov rappresenta in modo profondo il modo con cui chi ama il prossimo viene incontro al tenace bisogno che hanno gli uomini di convertire ogni libertà loro imposta, in nuove catene. I veri amatori del prossimo sono i creatori di dispotismi, di autorità in cui le stupide bestie possano vivere tranquille e soddisfatte.
Chi vuol dare la libertà agli uomini deve farlo non per spirito di umanità – sarebbe uno sciocco illuso –. Deve farlo con la spietata consapevolezza di costringerli a vivere in modo per loro innaturale,...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Introduzione
  5. Libertà: una definizione difficile
  6. La legge della libertà
  7. Il sistema economico tutela la libertà?
  8. La mia proprietà privata è la tua libertà?
  9. La povertà è nemica della libertà?
  10. Libertà ed eguaglianza
  11. Comunismo è libertà!
  12. Democrazia? Stato? Libertà? Anarchia!
  13. La libertà di culto
  14. La libertà e la scuola
  15. Sesso e libertà
  16. Libertà di stampa e d’espressione
  17. La conquista della libertà