1.
Contro lo Stato democratico
La fisiologia della protezione
di Novello Papafava
Perché l’Europa, il continente dove l’uomo ha storicamente dato il meglio di sé in ogni campo (e forse anche il peggio), oggi ha perso ogni primato e ricorda sempre più una casa di cura per depressi senza uno scopo? Il Vecchio continente assomiglia a un paziente che nel Novecento ha tentato il suicidio violento e che ora, traumatizzato dal gran spavento, aspetta la morte, ben sedato, tra passeggiate e sonnellini.
Non riesco a non pensare, a proposito, a uno dei miei film preferiti, Qualcuno volò sul nido del cuculo, nella scena in cui McMurphy, interpretato in modo commovente da Jack Nicholson, s’accorge sbigottito che gran parte degli internati nel manicomio in cui è finito, in realtà, si trova lì e si sottopone alle terapie volontariamente. Per fortuna alcuni di noi ancora vivono lo sconcerto che deriva dall’osservazione che la servitù contemporanea è prevalentemente volontaria.
Quel grande ospedale psichiatrico che è il socialismo, nelle sue varianti comuniste, nazionaliste e oggi socialdemocratiche, pur essendo coercitivo nei confronti dei singoli che vorrebbero trasgredire, si fonda però su un solido consenso di massa. La maggioranza delle persone ha accettato l’idea secondo cui l’ordinamento politico in cui è inserita ha una sua razionalità e addirittura una certa superiorità morale rispetto agli altri e assume volontariamente le prescrizioni dei dottori.
L’adesione totale
Tutto comincia da fanciulli, alla scuola dell’obbligo, quando l’autorità naturale dei genitori cede il passo a quella di maestri abilitati che impartiscono compiti, non sempre gravosi, ma il cui unico scopo pare sia distogliere il giovane in formazione da impieghi più appaganti e costruttivi del proprio tempo, disporre della sua vita e, in sostanza, fargli capire chi comanda. L’apprendere nozioni elementari, che potrebbe avvenire con mille metodi migliori, è del tutto secondario rispetto all’inquadramento in quell’opprimente cerimoniale fine a se stesso che dura ogni anno da metà settembre a metà giugno, e solo i bimbi più spenti non comprendono dopo poco che la vita è ciò che accade al di fuori di quella struttura.
Purtroppo però, verso la fine del percorso educativo del ragazzo, dopo circa una dozzina d’anni passati ad annuire, la sua mente sarà ormai plasmata per diventare un buon cittadino rispettoso delle regole e non c’è più molto da fare.
I più diligenti si iscrivono all’università, ad esempio a giurisprudenza, e già alle prime lezioni sulla gerarchia delle fonti del diritto accettano senza troppe spiegazioni che un parlamento possa legiferare e non sono neppure in grado di formulare ipotesi alternative, come estranee al regno della possibile indagine. E sì che il potere legislativo pone seri problemi morali di per sé. De Maistre a fine ’700 ancora si chiedeva: «Come potrà una legge essere al di sopra di tutti se qualcheduno l’ha fatta?». E questa domanda che è forse la più importante riguardo al diritto, oggi invece appare ai più un’assurdità fuori dal mondo.
Anche gli studenti di economia interiorizzano presto una concezione talmente impersonale e avalutativa della produzione e del consumo che l’idea che un pianificatore debba orientarle razionalmente, come si fa con animali da soma, tra carota e bastone, sembra l’essenza stessa della scienza economica. Ugualmente i testi di macro si concentrano su politiche monetarie e fiscali per equilibrare i cicli e stimolare una domanda aggregata sempre insufficiente. Anche qui la libertà è il male e lo Stato la cura. Che esista una banca centrale che può contraffare moneta all’infinito o un fisco che può prelevare a piacere ricchezze dagli individui sono dati fuori discussione. Si può dissertare all’infinito sugli effetti dell’intervento X o Y, ma non sull’esistenza stessa dello strumento per intervenire che dovrebbe invece destare grande stupore.
Ma forse più potente è la generale accettazione di chi non professa direttamente dottrine politico-economiche. Scienziati, filosofi, storici, medici, mai metterebbero in discussione il meccanismo che li alimenta come un cordone ombelicale. Immersi e perfettamente a proprio agio nelle questioni dell’Essere, disinvolti nel macinare integrali doppie e triple e pronti a moraleggiare su tutto, in cambio però di decorosi stipendi e pensioni sicure, si fanno silenti e sospendono il giudizio sul colossale esproprio in corso senza precedenti nella storia, come se fosse una questione di poco conto. Auto-rappresentandosi sempre puri come colombe e mossi solo dall’amore per il sapere diffondono alla popolazione il più falso dei non sequitur: scienza e cultura sono cose buone, scienza e cultura sono impartite dallo Stato, quindi lo Stato è cosa buona (e anche scientifica!). Così i giovani attratti da quelle affascinanti materie s’arruolano più o meno consapevolmente tra i nuovi avanguardisti dello statalismo.
A completare il lavoro di propaganda ci sono i giornali e i media col loro infido vocabolario: mentre il privato incassa, paga e ricava utili, i pubblici poteri invece promuovono, incoraggiano, assicurano servizi e raccolgono le risorse necessarie. E al solo aggettivo pubblico, che sia coniugato con sanità, sicurezza, viabilità ecc. il cittadino consegna docilmente i suoi denari e il suo tempo, disarmato davanti a tanta bontà.
Eppure, nonostante la totale dedizione all’apparato, tutti sono fortemente scontenti delle istituzioni, il malcontento è generale, ma questo è la grande forza che le perpetua. Essendo la colpa sempre addossata all’avidità che ha corrotto tutti, ai furbi che evadono le tasse, ai politici che pensano solo a sé, al dio denaro o al liberismo, tutte le speranze vengono riposte in chi ha un ancor maggiore senso della collettività.
Il neoconservatore aspirerebbe a uno Stato più rigoroso ed agguerrito in difesa dei valori occidentali, il democratico lo vorrebbe più sensibile alla scuola e alla ricerca, il populista invoca un rinnovo radicale del Parlamento, il liberal punta sulla teoria del gender contro le discriminazioni, e ognuno desidera imporre la propria visione agli altri senza saper pensare un sistema di convivenza diverso. E anche chi vorrebbe meno Stato comunque lo vorrebbe. Oggi quel termine appare quasi superfluo, invecchiato e non richiede neppure di essere citato perché semplicemente sta lì, sopra di noi. Anche per chi riflette dentro di sé: “ci vorrebbe un...”, “si dovrebbe...” o “non si dovrebbe...” è il soggetto implicito, la società stessa. È un’entità onnipresente che permea ogni ambito della vita, un po’ come la concezione di Dio nel Medioevo.
Storia e principi
Effettivamente, da quando la sovranità appartiene al popolo, il popolo non è mai stato tanto sottomesso. Il numero di leggi da osservare, l’intrusione nella vita privata e lo sfruttamento fiscale che oggi vengono considerati normali in tutti i paesi occidentali sarebbero stati impensabili anche da un sovrano come il Re Sole.
Eppure può essere interessante soffermarci proprio su quel senso di superiorità morale con cui ci è stato insegnato di guardare alle società pre-moderne e alle loro forme di governo. Se osserviamo, ad esempio, i palazzi delle vecchie aristocrazie o le antiche cattedrali con una spontanea ammirazione estetica, al tempo stesso siamo tenuti a considerarli frutti di una società giuridicamente oggi improponibile. Fatta di rigide scale sociali, di privilegi, soprusi e non certo rispettosa dei diritti come sarebbe la nostra.
Davanti alla superiore bellezza dei centri storici delle città italiane o degli antichi borghi, rispetto ai desolanti casermoni delle periferie pianificate, dobbiamo sempre anche solo implicitamente convenire: “La modernità è bruttina, ma noi abbiamo la democrazia!”, “Palazzi splendidi, ma quante ingiustizie avran causato...”, “Non c’era l’uguaglianza davanti alla legge...”. Se cioè i resti dell’ancien régime, quanto a fascino e senso della vita ancora ci superano, non possiamo seriamente ammirare le istituzioni che li hanno generati a meno di non cadere in un tradizionalismo reazionario decisamente fuori tempo massimo o in certo imbarazzante suprematismo di alcuni eletti (à la Julius Evola, per capirsi).
Eppure, nelle prossime pagine, Hans-Hermann Hoppe ci dimostra che, in realtà, prima del trionfo dello Stato moderno, nella ultra-elitaria società medievale e rinascimentale, il privilegio era assai inferiore rispetto ad oggi, molte meno persone vivevano parassitariamente sulle spalle delle altre e maggiore era anche l’uguaglianza davanti alla legge di quanto sia nelle società contemporanee.
Il punto è che non tutte le gerarchie sono coercitive. Se osserviamo il funzionamento di un’azienda, un’orchestra o l’equipaggio di una nave, vediamo organizzazioni altamente gerarchiche alle quali, seppure alcuni dirigono altri, nessuno è costretto a partecipare. Vi è un’abissale differenza tra il comando di élite naturali, che emergono da negoziazioni sociali mutuamente vantaggiose, e gli ordini di élite artificiali che si impongono con la violenza. Come insistono i teorici del pensiero libertario, il potere di autorità naturali viene riconosciuto volontariamente in quanto essi si pongono al servizio dei loro interlocutori, mentre le élite artificiali si conquistano tale posizione con la violenza, la truffa e la legge del più forte o dei più numerosi. Per Rothbard, i governanti di Stato «sono chiaramente un’oligarchia coercitiva, un’élite artificiale, la quale usa la forza per reprimere un’élite volontaria o naturale (e il resto della popolazione)». Sottostare a uno Stato infat...