Beni comuni. Diversità, sostenibilità, governance. Scritti di Elinor Ostrom
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Beni comuni. Diversità, sostenibilità, governance. Scritti di Elinor Ostrom

a cura di John Akwood. Con saggi di Giulio Sapelli e Lorenzo Coccoli

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Beni comuni. Diversità, sostenibilità, governance. Scritti di Elinor Ostrom

a cura di John Akwood. Con saggi di Giulio Sapelli e Lorenzo Coccoli

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In un'economia polifonica dove convivono e operano privato, pubblico, terzo settore, cooperative e i nuovi soggetti della rete, i beni comuni sono un'opzione importante, anzi essenziale per gestire risorse strategiche per il futuro del pianeta. Il concetto di beni comuni e di comunità, discusso in questo libro, riguarda proprio il governo delle grandi risorse naturali: le foreste, gli oceani, l'acqua e il cielo; risorse che rischiano la spoliazione, se non cambia il modo in cui sono amministrate. Lo sviluppo del dibattito sui beni comuni ha un suoi punto di riferimento. È Elinor Ostrom, la prima donna ad aver ricevuto il Premio Nobel per l'economia in forza della sua "analisi della governance in economia, in particolare del bene comune". In questo libro sono presentati, in traduzione italiana, cinque articoli della Ostrom e un'intervista della studiosa che getta luce sul suo metodo aperto e interdisciplinare, come pure sul suo percorso di donna nella comunità tutta maschile degli economisti. Nelle introduzioni Giulio Sapelli e Lorenzo Coccoli trattano la questione dei beni comuni da un punto di vista storico-politico e filosofico. Negli eXtras: ancora un contributo di Giulio Sapelli sul progetto di comunità di Adriano Olivetti e un saggio di Lorenzo Coccoli sulla critica di Rousseau al concetto di proprietà. Chiude l'articolo di Garrett Hardin del 1969 La tragedia dei beni comuni, che ha dato il via al dibattito internazionale.

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Information

Publisher
Go Ware
Year
2019
ISBN
9788833631431

Ripensare i beni comuni
di Elinor Ostrom

Le risorse comuni

In generale, i sistemi di risorse naturali utilizzati da più individui si possono classificare come risorse comuni. Le risorse comuni generano quantità finite di unità di risorsa e il loro utilizzo da parte di un singolo sottrae quantità di unità di risorsa altrimenti disponibili per altri ([53] Ostrom, Gardner, Walker, 1994). La maggior parte delle risorse comuni è sufficientemente grande da consentire l’uso simultaneo del sistema, mentre gli sforzi per escludere potenziali utenti richiederebbero un costo.
Gli esempi di risorse comuni possono essere sia naturali sia artificiali: le falde freatiche, i sistemi d’irrigazione, le foreste, i terreni da pascolo, i mainframe, le collezioni di stato o delle società, oltre a Internet. Come esempi di unità di risorsa derivanti dalle risorse comuni si possono ricordare l’acqua, il legname, il foraggio, le unità di elaborazione dei computer, i bit d’informazione, e la ripartizione del budget ([12] Blomquist, Ostrom, 1985).
Se le unità di risorsa hanno un valore elevato e se sono molti gli attori che potrebbero trarre vantaggio dall’appropriarsene per scopi di consumo, di scambio oppure come fattore di produzione, qualora un singolo individuo se ne appropri, ne potrebbero derivare conseguenze negative per altri.
Le risorse non rinnovabili, come ad esempio il petrolio, si possono prelevare con una competizione scoordinata tale da ridurre la quantità di unità di risorsa prelevabile, con conseguente aumento dei costi di appropriazione. Le risorse rinnovabili, come i prodotti ittici, possono essere fin troppo disponibili in un determinato periodo, ma possono anche essere soggette a una raccolta talmente eccessiva da distruggere le scorte necessarie a generare il flusso di quell’unità di risorsa.
Una risorsa comune non regolata, ad accesso aperto e in grado di generare unità di risorsa di valore elevato, può essere sfruttata eccessivamente e addirittura distrutta, qualora l’abuso distrugga le scorte o la struttura in grado di generare il flusso di quell’unità di risorsa.

Teoria convenzionale delle risorse comuni

A partire dai primi, importanti studi sulle aree pescose a libero accesso effettuati da Gordon (1954) e Scott (1955), gli studiosi di economia politica hanno per lo più analizzato i sistemi di risorse comuni semplici, partendo da presupposti relativamente simili ([26] Feeny, Hanna, Mcevoy, 1996).
In questi sistemi si presume che la risorsa generi una disponibilità finita e molto prevedibile di un tipo di unità di risorsa – ad esempio una specie – per ogni periodo di tempo preso in considerazione. Anche gli appropriatori sono assunti come omogenei in termini di utili, competenze, tassi di sconto e cultura. Sono inoltre considerati degli attori a breve termine, in grado di massimizzare i profitti, e in possesso di informazioni complete.
Con riguardo a questa teoria, possono accedere a una risorsa e appropriarsi di qualche sua unità. Gli appropriatori acquisiscono i diritti di proprietà soltanto per quanto riguarda i loro raccolti, che poi saranno venduti su un mercato aperto e competitivo. La condizione di accesso aperto si considera data. Gli appropriatori non si sforzano di mutare la situazione, agiscono indipendentemente e non comunicano né coordinano in nessun modo le loro attività.
In una situazione di questo tipo, come dimostra la brillante analisi di Gordon e Scott, ogni singolo pescatore dovrà tener conto dei propri costi marginali e dei propri ricavi, mentre ignorerà il fatto che un aumento del suo pescato può influire sugli utili di altri pescatori e sulla salute delle scorte ittiche future. [...] La rendita economica viene dissipata; ne consegue un eccesso di pesca a livello industriale, che può anche portare a un eccesso di pesca in senso ecologico. ([26] Feeny, Hanna, McEvoy, 1996: 189).
Molti libri di testo di diritto e di economia delle risorse presentano questa teoria convenzionale riguardante una singola risorsa comune come l’unica teoria necessaria per ottenere una comprensione più generale delle risorse comuni (per un approccio differente, [4] Baland, Platteau, 1996). In seguito al crescente utilizzo della teoria dei giochi, l’appropriazione delle risorse comuni viene spesso rappresentata come il gioco del dilemma del prigioniero, effettuato una sola volta oppure ripetuto per un numero finito di volte ([23] Dawes, 1973; [22] Dasgupta, Heal, 1979).
Questi modelli formalizzano il problema in modo diverso ma non cambiano nessuno dei presupposti teorici fondamentali sulla disponibilità finita e prevedibile di un’unità di risorsa, l’informazione completa, l’omogeneità degli utenti, la massimizzazione dei profitti previsti e la mancanza d’interazione tra utenti, nonché l’incapacità di mutare le istituzioni.
Esiste un numero sufficiente di esempi empirici, laddove l’assenza di diritti di proprietà e d’indipendenza degli attori cattura l’essenza del problema a cui si trovano di fronte gli appropriatori e cioè che l’ampia applicabilità empirica di questa teoria non è mai stata messa in discussione fino alla metà degli anni Ottanta.
La massiccia deforestazione nei paesi tropicali, il collasso della pesca delle sardine in California e l’esaurimento di altre aree pescose negli oceani hanno confermato le previsioni più negative tratte da molti studiosi sulla base di questa teoria. L’interessantissimo articolo di Hardin ([28] Hardin, 1968) ha convinto molti non-economisti che questa teoria catturi l’essenza del problema, che riguarda molte risorse comuni del mondo.
Poiché si considera che gli appropriatori siano come intrappolati in questi dilemmi, si è ripetutamente raccomandato che siano delle autorità esterne a imporre un insieme di istituzioni atte a regolare questi scenari. Alcuni consigliano la proprietà privata, come la forma di proprietà più efficiente ([25] Demsetz, 1967; [57] Posner, 1977; [67] Simmons, Smith, Georgia, 1996). Altri raccomandano la proprietà e il controllo da parte dello stato ([48] Ophuls, 1973).
Implicitamente, i teorici presumono che i regolatori agiscano nel pubblico interesse e capiscano come funzionano i sistemi ecologici e come si debbano cambiare le istituzioni in modo da indurre comportamenti socialmente ottimali ([26] Feeny, Hanna, McEvoy, 1996: 195).
Fino a poco tempo fa, nella letteratura economica, non si era mai presa seriamente in considerazione la possibilità che fossero gli appropriatori stessi ...

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